Afganistan: oboli di sangue e speranza di democrazia

Si chiamava Alessandro Romani, 36 anni, tenente del nono Reggimento d’assalto de La Folgore, trentesima vittima italiana in quell’inferno senza uscita e senza vincitori che è la guerra in Afganistan. E’ stato ucciso il 17, durante l’operazione di cattura di alcune persone che poco prima avevano piazzato un ordigno sulla strada nel distretto di Bakwa, […]

Si chiamava Alessandro Romani, 36 anni, tenente del nono Reggimento d’assalto de La Folgore, trentesima vittima italiana in quell’inferno senza uscita e senza vincitori che è la guerra in Afganistan. E’ stato ucciso il 17, durante l’operazione di cattura di alcune persone che poco prima avevano piazzato un ordigno sulla strada nel distretto di Bakwa, nella provincia di Farah, intervenendo assieme ad un collega (anche lui ferito gravemente) nell’area di Bakwa, a seguito della segnalazione di elementi ostili nell’area, rilevati da un drone Predator. Il distaccamento era decollato dalla base di Farah a bordo di un elicottero Chinook del Reos (Raggruppamento elicotteri per operazioni speciali), scortato da due A-129 Mangusta, per neutralizzare la minaccia. Una volta giunti sul posto, però, i militari sono stati attaccati e feriti entrambi. Lo stesso Chinhook li ha evacuati presso l’ospedale role 2 di Farah e da subito le condizioni di Alessandro sono apparse gravissime. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha espresso alla famiglia (interpretando il cordoglio del Paese) sentimenti di affettuosa vicinanza e sincera partecipazione al loro grande dolore ed inoltre inviato il suo incoraggiamento e un affettuoso augurio al primo Caporal maggiore Elio Domenico Rapisarda, l’altro ferito nello scontro a fuoco. Romani era considerato un veterano e al suo battaglione, il “Col Moschin”, dicono che era tra i più attenti e tra i migliori. Ma non è bastato a salvargli la vita, in una guerra sporca e crudele, in cui il colpo mortale può arrivare da ovunque ed in qualsiasi momento. Il battaglione “Col Moschin”, fa parte della Task Forxìce 45, l’unità di forze speciali italiana su base nono reggimento, di cui fanno parte elementi di tutte le forze armate. Sono in tutto circa 200 commandos, che effettuano turni di tre mesi in missione e altrettanti di riposo. È un comando nazionale interforze land oriented (operazioni speciali terrestri) di cui fanno parte gli operatori delle forze speciali di tute le forze armate e al quale contribuiscono anche unità di supporto provenienti dal quarto reggimento alpini paracadutisti Monte Cervino (ranger, ndr.) e da assetti specialistici, a seconda delle esigenze. La Task force 45, dipende direttamente dalla Nato ed è divisa in due task unit. La prima si trova a Herat e la seconda a Farah. Oggi alle 14, a Ciampino, rientrerà la salma del tenente, dopo la cerimonia funebre svoltasi ieri ad Herat, trasportata a bordo di un C-130 dell’Aeronautica Militare e con ad accoglierlo, oltre ai genitori, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa e il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. La camera ardente sarà allestita al Celio e lunedì i funerali solenni a Roma, con bandiere a mezz’asta. Certamente i genitori, chiusi in un dignitoso silenzio, straziati da un lutto incolmabile, penseranno che il sacrificio di Salvatore possa almeno servire per riportare pace e democrazia in un luogo tanto remoto quanto inquieto. Ieri si sono ufficialmente concluse, in Afganistan, le elezioni di voto, con il drammatico bilancio di 41 morti, 11 civili e 27 talebani, 107 feriti ed una affluenza del 40%. E già si parla di elezioni farsa, con sicuri brogli e scarsissima presenza di osservatori internazionali. Si teme che si ripeta quanto già accaduto e cioè che attraverso tessere elettorali false i candidati abbiano permesso ai loro sostenitori di votare più volte in loro favore, mentre è sceso il controllo internazionale, segno che il mondo intero pare abbia deciso di abbandonare al suo destino l’Afghanistan. L’Unione Europea, ad esempio, che alle scorse elezioni presidenziali era presenta con 120 osservatori, quest’anno ne solo 7. La Nato, ieri, ha fatto sapere di aver registrato meno violenze rispetto alle elezioni presidenziali del 2009 e il comandante della forze internazionali David Petraeus, ha sostenuto il voto come “un’ottima opportunità per il Paese e per reintegrare nella società persone che ora ne sono ai margini”, ma i 150 seggi attaccati dai talebani, la notizia di reiterati brogli, la debolezza e la corruzione del governo ci dicono che la situazione non è affatto in via né di miglioramento né avviata a risoluzione, che la guerra continuerà e farà molte altre vittime, convinte di portare, con la loro vita, un deciso contributo ad un processo di democratizzazione che in realtà non si avvia. Le elezioni presidenziali in Afghanistan, le seconde dalla caduta del regime dei talebani nel 2001, rappresentano un importante passo verso la realizzazione di un processo democratico, ma l’affluenza non esaltante e la mancanza di controlli ne minano sin d’ora il significato. Questa terra, fra le più povere del mondo, è in guerra da trenta anni e, secondo l’ultimo rapporto del rappresentante speciale Onu Kai Eide, la situazione della sicurezza è oggi addirittura peggiorata. Il capo dello Stato uscente spera di poter chiudere la partita al primo turno raggiungendo il 50% più uno dei voti. Se così non fosse – e questo si saprà fra un numero imprecisabile di giorni – dovrà vedersela in un ballottaggio con il suo ex ministro degli Esteri, Abdullah Abdullah, che i sondaggi davano nelle ultime settimane in forte crescita. Ma comunque vadano le cose non sembra che né Karzai né Abdullah possano cambiare lo stato delle cose. Soprattutto fortissima resta la minaccia di al-Qaeda. Anche oggi, all’indomani delle elezioni, una forte esplosione è stata udita dalla base multinazionale di Shindand, nell’Afghanistan occidentale. La deflagrazione è stata provocata da un ordigno esplosivo improvvisato (led). La bomba è esplosa a circa due chilometri di distanza dalla base di Shindand, dove sono dispiegati circa 500 militari italiani della Task Force Centre. Inoltre, verso le 13,50, sei bambini sono stati uccisi i da un proiettile di mortaio caduto nella provincia settentrionale afghana di Kunduz e sono stati ritrovati i corpi di tre scrutatori che erano stati rapiti ieri nella provincia settentrionale afghana di Balkh, barbaramente trucidati. L’integralismo jaddista è tutt’altro che sconfitto e la partita tutt’altro che chiusa. Accanto al problema della sicurezza, inoltre, quello dei brogli. Denunce di intimidazioni e una vasta gamma di irregolarita’, compresi problemi con l’inchiostro indelebile, hanno caratterizzato la giornata di voto. Ahmad Rafat Zia, un membro della Commissione per i reclami elettorali (Ecc), ha riferito di due casi in cui l’inchiostro indelebile si sarebbe staccato dal foglio e altre denunce su un numero di presunte irregolarita’. I funzionari statunitensi e quelli dell’Onu hanno evidenziato che le frodi e la sicurezza sono state le principali preoccupazioni nell’elezione, la seconda votazione parlamentare dall’inizio dell’invasione americana nel 2001, che ha portato alla caduta del regime talebano e che, in sostanza, non ha mostrato un andamento migliore della prima. La Commissione ha riferito che c’e’ stato ”un monitoraggio del processo”, ma ulteriori dettagli non sono disponibili. E’ stato segnalato che gli afgani sono riusciti a cancellare l’inchiostro con le dita con poco sforzo, nonostante i funzionari abbiano detto che era quello di migliore qualità indelebile a disposizione. ”A Kabul ovest l’inchiostro si cancella. Dopo che ho votato, l’inchiostro e’ stato cancellato”, ha detto Mohammad Zahir Najafi Zada, uno dei candidati per il Parlamento. Forse, allora, vanno cambiate alcune cose ed alcune persone, se vogliamo che i sacrifici in vite umane di tutto il mondo, Italia compresa, non siano inutili oboli da pagare ad un occidente alla ricerca sola di garantire se stesso.

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