I libri nella “rete”

Scrittore americano di origine russa piuttosto stimato e tradotto in tutto il mondo, Gary Shteyngar, nel suo ultimo libro intitolato “Super Sad True Love Story“,immagina un futuro molto prossimo in cui ci si riferisce ai libri – le rare volte che capita di parlarne – chiamandoli “fermaporta”.Le considerazioni di Shafer sono interessanti e sarebbe sciocco […]

Scrittore americano di origine russa piuttosto stimato e tradotto in tutto il mondo, Gary Shteyngar, nel suo ultimo libro intitolato “Super Sad True Love Story“,immagina un futuro molto prossimo in cui ci si riferisce ai libri – le rare volte che capita di parlarne – chiamandoli “fermaporta”.Le considerazioni di Shafer sono interessanti e sarebbe sciocco snobbarle con uno “sciagurato, nessuno mi toglierà mai la passione per i miei libri e la mia libreria e il fruscìo della carta  e il libro è cultura”, eccetera. Quello che il libro  anticipa sta davvero succedendo vicino a noi, e presto succederà anche a noi. E non è solo una questione di fine della carta e passaggio al digitale, nello stesso formato. È il concetto di libro ad attraversare una trasformazione e la sua centralità nella costruzione della cultura contemporanea sta accelerando il proprio declino. Come scrive Jack Shafer, importante columniste e bibliofilo statunitense, quasi tutti i quotidiani occidentali hanno cancellato i loro inserti dedicati ai libri, convertendoli a sezioni interne del giornale e  la ragione principale della perdita di fascino e importanza del libro anche agli occhi dei saggisti stess, i è che se una volta il libro era la certificazione dell’immortalità del proprio lavoro e del proprio pensiero, un testo di riferimento a cui i lettori sarebbero ricorsi ogni volta che fossero stati in cerca delle informazioni in esso contenute, oggi questo non accade più. Il luogo immortale e perenne di deposito delle informazioni è diventato la rete e la pubblicazione di un libro ha perso gran parte dell’aura di consacrazione che aveva un tempo. Ci sono due tendenze principali che rendono marginale il libro nelle nostre culture. Una è quella citata da Shafer del trasferimento sulla rete del deposito delle informazioni – buone o cattive che siano -, l’altra è quella dell’accorciamento delle elaborazioni e delle analisi, fattore e conseguenza dell’accorciamento della nostra soglia attenzione e concentrazione su uno stesso tema. Cambia il luogo del prodotto letterario o saggistico, cambia il suo formato. Chi negli ultimi mesi ha cominciato a essere familiare con l’uso di iPad (parliamo degli Stati Uniti, che in Italia non c’è niente da leggere) si è accorto che – contrariamente alle speranze degli editori – non ha incentivato una maggiore familiarità con la lettura di libri, malgrado siano più accessibili, più economici, più trasportabili: ma piuttosto ospita una riproduzione dei meccanismi di lettura rapida, multitasking, attività continue e alternate, ormai tipica del nostro rapporto con la tecnologia. E in ogni caso, la maggior familiarità con i libri digitali – smaterializzati – ci indurrà a una maggiore indifferenza nei confronti della loro concretezza, come è già avvenuto con la musica. Il contenitore che un tempo ci pareva imprescindibile dal contenuto, ora si rivela inutile. E trova rivincita una vecchia accusa di alcuni uomini colti e dispettosi che prendevano in giro la sopravvalutazione dell’oggetto libro a discapito della cultura che possono o non possono contenere. Natalia Poggi, proprio oggi su Il Tempo, si occupa del tema in un articolo dal titolo emblematico: “Divoratori di Libri”, in cui si dice che “lettori si diventa e non si nasce”. Nel senso che è necessario abituare i bambini fin da piccolissimi a maneggiare, sfogliare, annusare i libri. Ancora prima di imparare a leggere e scrivere. Nelle librerie ben fornite il reparto dell’infanzia sta lì anche per questo. Tra gli scaffali un’orgia di libri colorati, sonori, morbidi perfino profumati che sembrano solo dirti: prendimi, aprimi e perché no, comprami. L’imprinting è importantissimo. Il discorso poi cambia in età scolare. Perché è vero che i ragazzi sono sollecitati dagli insegnanti alla lettura di questo o quel libro ma non si può delegare totalmente alla scuola, l’educazione e l’amore per la lettura. E siccome anche in questo caso l’imprinting è importantissimo, il problema semmai è: che cosa far leggere a nostro figlio/a? Come orientarsi nell’immensità di un’offerta editoriale che spazia dai classici ai classici rivisitati, ai moderni e ai best-sellers da cui si si traggono film di successo planetario con merchandising e paccottiglie annesse? Restano sempre validi i consigli di Daniel Pennac che nel suo “Come un romanzo” invita a leggere “solo ciò che piace”,  ricordando che esiste anche un diritto (del lettore) alla “non lettura”.

Carlo Di Stanislao

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