Commedie da Oscar

Dopo la delusione di Venezia il cinema italiano sogna il rilancio alla notte degli Oscar. L’ultima volta che l’Italia è riuscita ad entrare nella cinquina dei film stranieri in corsa per la preziosa statuetta, è successo con La bestia nel cuore di Cristina Comencini; mentre per gli Oscar bisogna consolarsi con il ricordo dei fasti […]

Dopo la delusione di Venezia il cinema italiano sogna il rilancio alla notte degli Oscar. L’ultima volta che l’Italia è riuscita ad entrare nella cinquina dei film stranieri in corsa per la preziosa statuetta, è successo con La bestia nel cuore di Cristina Comencini; mentre per gli Oscar bisogna consolarsi con il ricordo dei fasti ormai lontani di Roberto Benigni. Dopo le grandi delusioni di Gomorra e di Baarìa (scelti per rappresentare l’Italia alla notte delle stelle e scartati molto prima di arrivare al traguardo), sarebbe importante, per il nostro cinema, un’iniezione di euforia hollywoodiana. Il Comitato istituito presso l’Anica per designare l’opera si riunisce mercoledì, ma la ridda delle voci e il girotondo delle raccomandazioni fervono da giorni. Il presidente dei produttori dell’Anica, Riccardo Tozzi, precisa che l’elenco dei titoli in lizza non è “la classifica dei magnifici dieci italiani, i film si sono autocandidati e non c’è nessuna seleziona preventiva”. L’impennata di commedie (Baciami ancora, Basilicata coast to coast, Mine vaganti, La nostra vita, La prima cosa bella) è ben vista nell’ambiente del cinema. Era una commedia anche Mediterraneo (Oscar nel ‘92) di Gabriele Salvatores, che stavolta siede nel Comitato: “È vero – dice Tozzi, produttore della Nostra vita di Luchetti -, questa delle commedie è una coincidenza curiosa, sarebbe bello se vincesse un film di questo tipo”. La pensa così anche la sua collega Conchita Airoldi: “La presenza delle commedie mi ha colpito piacevolmente, non sono d’accordo con chi dice che trattano argomenti circoscritti all’Italia, anche se, certo, alcune sono più esportabili e altre meno”. Scrive su La Stampa Fulvia Caprara,  che nel settore opere straniere (cioè non in lingua inglese) correranno almeno 60 titoli da tutto il mondo. Ognuno disporrà di una sola proiezione ufficiale. Sui 12-14 mila votanti dell’Academy, sono in realtà non più di 200 quelli che giudicano le opere non americane. Nella composizione di questo gruppo sembra prevalgano le donne, ebree, di una certa età.
A questa pattuglia è stata affiancata, da qualche tempo, una squadra di tecnici e così si arriva alla rosa di dieci film (la famosa “short list” da cui nel passato recente sono stati esclusi, a sorpresa, sia Gomorra che Baarìa) da cui vengono fuori i cinque “nominati”. Prima di questo momento ci sarà stata la campagna, ovvero strategie di avvicinamento agli Oscar che comprendono le più varie manovre, dalla partecipazione alle feste giuste alla scelta, fondamentale, del quartier generale. Tozzi, produttore de La bestia nel cuore, racconta di essersi stabilito in California per il tempo della promozione evitando accuratamente New York che, per la sua fama di fulcro del cinema Usa intellettuale, pare risulti sgradita nell’ambiente Academy. Ma sarà sufficiente questa mossa? Considerando che Benigni non è stato neanche ascoltato come consulente dalla Warner Bros che intende realizzare un adattamento in live-action (attori in carne e ossa) del  Pinocchio, celeberrimo capolavoro di Collodi, ma preferisce Bryan Fuller,  che firmerà la sceneggiatura, ispirata  ad Alice in Wonderland di Tim Burton, si vede come il cinema italiano in USA non gode oggi di grande considerazione. Ricordiamo, infatti, che la versione di Benigni del 2002 (l’ultima in ordine di tempo del capolavoro di Collodi del 2002), ricevette una valanga di recensioni negative in territorio americano: fu un vero flop al botteghino e la critica lo fece letteralmente a pezzi. Tornando al film d inviare, noi punteremmo su “La Passione” di Carlo Mazzacurati, che sembra rappresentare la rivincita del cinema italiano all’incombenza di quello americano del Festival di Venezia. Anche in sala gli spettatori hanno sorriso alla varie manie del protagonista, un regista che da anni non dirige e che si trova in un paesino fiorentino a rappresentare la passione di Cristo. La crisi di Gianni Dubois, il protagonista del film,  è in definitiva la stessa di Guido in 8 e ½ di Federico Fellini, ripresa nel recente musical di Bob Marshall. Ma in Fellini non un evento economico minava l’ispirazione: insomma non era nella penuria sul conto corrente. Era altro, era l’amante, il ricordo del passato, la difficoltà di staccarsi dalla madre. Qui invece il crisi economica, quasi a sottolineare che la cattiva congiuntura di capitali non porta a girare un film. E solo con i mezzi umili, come quelli trovati per la rappresentazione della Passione di Cristo nella festa di paese, si esce da questa impasse. Fuori di metafora: il cinema deve tornare a raccontare con umiltà, con un pauperismo creativo in sintonia con i tempi. Ma gli americani questo lo capiranno? La regia è perfetta e su tutti svetta l’interpretazione dolente e beffarda  di Silvio Orlando e quella dimessa di Kasia Smutniak. La fotografia pittoresca di Luca Bigazzi offre poi una visione positiva della vicenda, quasi a sottolineare che solo all’esterno del protagonista (la natura, le piccole cose, la vita vera) si può trovare la salvezza. Sarebbe un film da premiera ma, roprio per questo, forse ad Hollywood non piacerebbe affatto.

Dopo la delusione di Venezia il cinema italiano sogna il rilancio alla notte degli Oscar. L’ultima volta che l’Italia è riuscita ad entrare nella cinquina dei film stranieri in corsa per la preziosa statuetta, è successo con La bestia nel cuore di Cristina Comencini; mentre per gli Oscar bisogna consolarsi con il ricordo dei fasti ormai lontani di Roberto Benigni. Dopo le grandi delusioni di Gomorra e di Baarìa (scelti per rappresentare l’Italia alla notte delle stelle e scartati molto prima di arrivare al traguardo), sarebbe importante, per il nostro cinema, un’iniezione di euforia hollywoodiana. Il Comitato istituito presso l’Anica per designare l’opera si riunisce mercoledì, ma la ridda delle voci e il girotondo delle raccomandazioni fervono da giorni. Il presidente dei produttori dell’Anica, Riccardo Tozzi, precisa che l’elenco dei titoli in lizza non è “la classifica dei magnifici dieci italiani, i film si sono autocandidati e non c’è nessuna seleziona preventiva”. L’impennata di commedie (Baciami ancora, Basilicata coast to coast, Mine vaganti, La nostra vita, La prima cosa bella) è ben vista nell’ambiente del cinema. Era una commedia anche Mediterraneo (Oscar nel ‘92) di Gabriele Salvatores, che stavolta siede nel Comitato: “È vero – dice Tozzi, produttore della Nostra vita di Luchetti -, questa delle commedie è una coincidenza curiosa, sarebbe bello se vincesse un film di questo tipo”. La pensa così anche la sua collega Conchita Airoldi: “La presenza delle commedie mi ha colpito piacevolmente, non sono d’accordo con chi dice che trattano argomenti circoscritti all’Italia, anche se, certo, alcune sono più esportabili e altre meno”. Scrive su La Stampa Fulvia Caprara,  che nel settore opere straniere (cioè non in lingua inglese) correranno almeno 60 titoli da tutto il mondo. Ognuno disporrà di una sola proiezione ufficiale. Sui 12-14 mila votanti dell’Academy, sono in realtà non più di 200 quelli che giudicano le opere non americane. Nella composizione di questo gruppo sembra prevalgano le donne, ebree, di una certa età.A questa pattuglia è stata affiancata, da qualche tempo, una squadra di tecnici e così si arriva alla rosa di dieci film (la famosa “short list” da cui nel passato recente sono stati esclusi, a sorpresa, sia Gomorra che Baarìa) da cui vengono fuori i cinque “nominati”. Prima di questo momento ci sarà stata la campagna, ovvero strategie di avvicinamento agli Oscar che comprendono le più varie manovre, dalla partecipazione alle feste giuste alla scelta, fondamentale, del quartier generale. Tozzi, produttore de La bestia nel cuore, racconta di essersi stabilito in California per il tempo della promozione evitando accuratamente New York che, per la sua fama di fulcro del cinema Usa intellettuale, pare risulti sgradita nell’ambiente Academy. Ma sarà sufficiente questa mossa? Considerando che Benigni non è stato neanche ascoltato come consulente dalla Warner Bros che intende realizzare un adattamento in live-action (attori in carne e ossa) del  Pinocchio, celeberrimo capolavoro di Collodi, ma preferisce Bryan Fuller,  che firmerà la sceneggiatura, ispirata  ad Alice in Wonderland di Tim Burton, si vede come il cinema italiano in USA non gode oggi di grande considerazione. Ricordiamo, infatti, che la versione di Benigni del 2002 (l’ultima in ordine di tempo del capolavoro di Collodi del 2002), ricevette una valanga di recensioni negative in territorio americano: fu un vero flop al botteghino e la critica lo fece letteralmente a pezzi. Tornando al film d inviare, noi punteremmo su “La Passione” di Carlo Mazzacurati, che sembra rappresentare la rivincita del cinema italiano all’incombenza di quello americano del Festival di Venezia. Anche in sala gli spettatori hanno sorriso alla varie manie del protagonista, un regista che da anni non dirige e che si trova in un paesino fiorentino a rappresentare la passione di Cristo. La crisi di Gianni Dubois, il protagonista del film,  è in definitiva la stessa di Guido in 8 e ½ di Federico Fellini, ripresa nel recente musical di Bob Marshall. Ma in Fellini non un evento economico minava l’ispirazione: insomma non era nella penuria sul conto corrente. Era altro, era l’amante, il ricordo del passato, la difficoltà di staccarsi dalla madre. Qui invece il crisi economica, quasi a sottolineare che la cattiva congiuntura di capitali non porta a girare un film. E solo con i mezzi umili, come quelli trovati per la rappresentazione della Passione di Cristo nella festa di paese, si esce da questa impasse. Fuori di metafora: il cinema deve tornare a raccontare con umiltà, con un pauperismo creativo in sintonia con i tempi. Ma gli americani questo lo capiranno? La regia è perfetta e su tutti svetta l’interpretazione dolente e beffarda  di Silvio Orlando e quella dimessa di Kasia Smutniak. La fotografia pittoresca di Luca Bigazzi offre poi una visione positiva della vicenda, quasi a sottolineare che solo all’esterno del protagonista (la natura, le piccole cose, la vita vera) si può trovare la salvezza. Sarebbe un film da premiera ma, roprio per questo, forse ad Hollywood non piacerebbe affatto.

Carlo Di Stanislao

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