Sfilacciamenti

Ieri sera a Porta a Porta (sede forse più istituzionale di tutte, oggi nella politica italiana), Bocchino ha chiesto un tavolo di maggioranza a ‘tre gambe’ per decidere sul documento da leggere. Ma non solo Berlusconi ha rifiutato, ma dalla dichiarazione, con una nota scritta, si sono dissociati i finiani non più tanto doc Mario Baldassarri, […]

Ieri sera a Porta a Porta (sede forse più istituzionale di tutte, oggi nella politica italiana), Bocchino ha chiesto un tavolo di maggioranza a ‘tre gambe’ per decidere sul documento da leggere. Ma non solo Berlusconi ha rifiutato, ma dalla dichiarazione, con una nota scritta, si sono dissociati i finiani non più tanto doc Mario Baldassarri, Roberto Menia, Silvano Moffa e Pasquale Viepoli, che hanno vergato, nero su bianco, che loro “ continuano a ritenere, soprattutto in questa delicata fase, che la via più difficile, ma più utile per il paese, resti quella del confronto responsabile e rigoroso, anche se aspro, sui temi che interessano la vita quotidiana di milioni di famiglie e di milioni di imprese”. Chi si schiera con Bocchino dice che “a parlare sono due sottosegretari e due presidenti di commissione, che finora con il Cavaliere hanno minimizzato e devono far vedere che non gli hanno raccontato balle”. Ma, di fatto, il fronte finiano si divide e si sfilaccia alla vigilia del discorso di domani quando il premier chiederà il consenso (non la fiducia), sul programma in cinque punti, mostrando nei fatti  che, al momento, quelli dell’Fli non sanno che pesci pigliare. Intanto si svolge un vertice con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi e lo stato maggiore del Pdl a Palazzo Grazioli, con i coordinatori Verdini, Bondi e La Russa, i capigruppo di Camera e Senato i ministri Tremonti, Alfano, Matteoli, Frattini e Vito e, al solito, presente anche l’avvocato Niccolò Ghedini. Come scrivono in molti, sembra che la maggioranza di 316 voti sia meno ostica da raggiungere di quanto sembrava. L’asse Pdl Lega, infatti, ha conquistato 7 nuovi voti, quelli di 5 deputati dell’Udc (i siciliani Mannino, Romano, Drago, Ruvolo ed il campano Pisacane) e di 2 deputati dell’Api (Calearo e Cesario), tutti passati oggi al gruppo misto con l’obiettivo di svincolarsi dai dettami del partito e votare la fiducia al governo. Le prime dichiarazioni di voto vengono da Casini che dice che domani voterà contro il governo e dopo aver ascoltato Berlusconi in aula il partito presenterà un proprio documento.  “Se c’è la fiducia votiamo no – spiega Casini – se c’è un giudizio da dare su questi due primi anni di legislatura, daremo un giudizio negativo. Se il presidente del Consiglio, invece, spiegherà che vorrà fare cose che condividiamo, allora diremo ‘bene, realizzale, presenta dei ddl e ti aiuteremo. La nostra è un’opposizione repubblicana, molto chiara, non è cambiata di una virgola dall’inizio di questa legislatura”. Ma casini ha gatte da pelare in casa, forse più gravi di quelle dello sfilacciato Fli. ella conferenza stampa in cui è stato annunciato il varo di un sottogruppo alla Camera composto da deputati ex Udc in netto dissenso con Casini, Calogero Mannino, parlando a nome dei colleghi, ha ripercorso le tappe che hanno portato allo strappo con i vertici centristi. Romano lamenta che ai dissidenti è stato “negato il diritto al confronto” e sottolinea che da mesi vive una condizione di “grande difficoltà, anche nel rapporto personale con Casini”, cosa che “rincresce moltissimo” a lui e agli altri quattro ex Udc. Per l’ex ministro, la trasformazione – decisa da Casini – dell’Udc in un “Partito della nazione” poggia su un grande equivoco, anche linguistico. Visto che “il termine ‘nazione’ è totalmente straneo alla cultura cattolica” e nella storia politica nazionale è stato usato “solo dal partito fascista”. Casini, continua Mannino, ha fatto trasparire l’obiettivo di intercettare il dissenso interno al Pdl, come è emerso chiaramente dopo il varo dei gruppi autonomi finiani. Ma l’idea di dare vita a un’area della “responsabilità nazionale” non è stata apprezzata dai centristi ora staccatisi dal gruppo. A loro pareva evidente che “difficilmente si sarebbe aperta una crisi di governo”, una possibilità “inseguita da Casini” che dai dissidenti era giudicata “estremamente dannosa”. Il contrasto interno è poi stato acuito dal “segnale inquietante” del ruolo assunto da Casini rispetto al “laboratorio” di Raffaele Lombardo in Sicilia. La “capanna” immaginata dai fuoriusciti” (meglio non parlare di tenda, “sarebbe assimilabile a Gheddafi”, scherza Romano) può costituire l’embrione di un nuovo partito di centro, popolare, di ispirazione liberale”, in grado di costruire una “trama con la tradizione socialista e liberale, il meglio delle energie che stavano in Forza Italia”, per “ricomporre il quadro” e consentire l’approdo a “un bipolarismo razionale” in cui ci sia posto per una forza di centro ispirata alla tradizione democristiana. Dunque domani i fuoriusciti dall’Udc ascolteranno l’esposizione del premier sui cinque punti, “tutti importanti”, e valuteranno i possibili “spazi di convergenza”. Il punto restano i finiani e Fini, divisi i primi e sulla brace il secondo, non tanto per l’affare Tulliani (che non rientra), ma soprattutto per le critiche, anche da sinistra (vedi Il Fatto Quotidiano), circa il suo atteggiamento quiescente per 14 anni affianco al Cavaliere. Citando Pirandello a sproposito, oggi Mannnino ha auspica la nascita di una “nuova classe dirigente” e così, inconsapevolmente, ha descritto la buia, contorta, ignobile atmosfera della politica di questi giorni, che anche il cardinal Bascasco non esita a definire ignobile. Nella sua prolusione di ieri (il testo può essere letto su:  http://www.toscanaoggi.it/notizia.php?IDCategoria=1&IDNotizia=13308), l’alto prelato, presidente della CEI, ha parlato “di momenti di grande sconcerto e di acute pena per discordie personali che, diventando presto pubbliche, sono andate assumendo il contorno di conflitti apparentemente insanabili” col risultato di “bloccare i pensieri di un’intera Nazione” all’interno di una “drammatizzazione mediatica che sembra dedita alla rappresentazione di un Paese ciclicamente depresso”. Ha quindi esortato “a deporre realmente i personalismi che mai hanno a che fare con il bene comune”, esortando tutte le parti verso questa direzione. Ai cattolici impegnati nel sociale, in particolare, ha chiesto di “buttarsi nell’agone, di investire il loro patrimonio di credibilità”, con un “protagonismo costruttivo”, senza trascurare l’affermazione di quei “valori non negoziabili” che fanno riferimento soprattutto ai temi della famiglia, vita e bioetica e che si collegano alla “morale naturale”. L’imminente Settimana Sociale dei Cattolici Italiani di Reggio Calabria (14-17 ottobre) – ha aggiunto – “non farà mancare, dalla visuale che le è propria, un apporto di sviluppo coerente”. Sono poi seguiti passaggi dedicati alla crisi economica, alla disoccupazione giovanile, alla salvaguardia della scuola e della sua “qualità”. Per i più avvertiti e meno obnubilati della Nazione, pertanto,è  il momento di sviluppare quel confronto ampio che è richiesto dal salto culturale senza il quale non si dà riforma e respiro alla società, rinunciando ai colpi di fango e di sciabola, per ritrovare una politica coesa su patti organizzati attorno ai veri problemi. Certo si potrà dire che anche in politica la pubblicità è centrale ed è meglio stare dentro uno scandalo o una polemica che non comparire affatto. Quale miglior esempio quello dello spot Martini Rossi del ’93, in quel di Portofino, dove galeotti furono gli schermi di mamma Rai e un chiodo. Chi non ricorda una bionda mozzafiato (Charlize Theron ancora in pillole) che, alzandosi e allontanandosi dalla telecamera, rivela – complice lo sfilacciamento dell’abito impigliato nella sedia – un meraviglioso fondoschiena? Ma lo sfilacciamento della politica di oggi è volgare e deprecabile e, soprattutto, il fondoschiena, di tutti i protagonisti, alquanto osceno. Dice bene, pertanto, Ginetta Gambino, quando con tre parole descrive la politica di oggi: suggestione, persuasione, corruzione e ricorda, in un suo mirabile elzeviro di qualche tempo fa, il passaggio dai concetti di suggestione e di persuasione a quello di corruzione viene ben esemplificato dalla vicenda del processo a Socrate. Il potere politico si difende dalle potenzialità eversive del dialogo, assimilando la persuasione, della quale Socrate stesso è protagonista nei confronti dei suoi allievi, non solo alla suggestione ma anche alla corruzione. Socrate sarà costretto da una sentenza, alla quale poteva pure sottrarsi ma che invece accetta, a bere la cicuta, essendo nei suoi confronti erogata la sanzione massima. Ciò succedeva perché nel dialogo, nella persuasione, il potere politico vedeva, in quel momento, non solo una suggestione, una coazione psicologica, ma anche una corruzione, e … la corruzione più grave, quella dei giovani. Ma oggi, cogliendone tutta l’estensione, il lemma corruzione contiene ben ulteriori significati: alterazione, deterioramento, disfacimento, degenerazione, immoralità, malcostume, perversione, imbarbarimento.  Qualcosa che molti avvertono come caratteristiche dell’ Italia di oggi e che  necessita più che mai di modelli forse meno “suggestivi” e “persuasivi” di quelli attuali, ma piuttosto “irreprensibili”  moralmente (nella dimensione privata) ed eticamente (nella dimensione pubblica). Il contrario del  vocabolo “corruzione” è infatti: integrità, moralità, rettitudine, cose che i politici in campo, territoriali e nazionali, pare spesso abbiano dimenticato.

Carlo Di Stanislao

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