Ndrangheta: le immagini di un potere

Sabato 2 ottobre 2010 dalle 18 a Teramo, in Via Vecchio Mattatoio n.5 (discesa per il parco fluviale, nei pressi di piazzale S. Francesco) si terrà  l’incontro conferenza del Museo della ‘ndrangheta dal titolo “Ndrangheta: Le immagini di un potere” presentato da  Claudio La Camera, Direttore del Museo della ndrangheta  di Reggio Calabria e coordinatore  […]

Sabato 2 ottobre 2010 dalle 18 a Teramo, in Via Vecchio Mattatoio n.5 (discesa per il parco fluviale, nei pressi di piazzale S. Francesco) si terrà  l’incontro conferenza del Museo della ‘ndrangheta dal titolo “Ndrangheta: Le immagini di un potere” presentato da  Claudio La Camera, Direttore del Museo della ndrangheta  di Reggio Calabria e coordinatore  del progetto di ricerca “Valori e pratiche della violenza e del consenso” per la cattedra di Antropologia dell’Università “Sapienza” di Roma.
A seguire, lo spettacolo “10 domande su …..mafia, sud e resistenza” della Compagnia dei Merli Bianchi.Il progetto Museo della ndrangheta è un’operazione culturale senza precedenti che si occupa di ricerca, analisi, attività e programmazione sul territorio con il fine di realizzare una conoscenza oggettiva della mentalità diffusa su cui l’elemento criminalità organizzata attecchisce. L’obiettivo è fare i conti in modo razionale e cosciente e intervenire sulla trasmissione di valori che informa le nuove generazioni, agendo sui processi di inculturazione diretta e indiretta.
Identità Anti-ndrangheta
Allo stato attuale esiste una cultura della ndrangheta che funziona. Accanto alla strapotenza economica, vige un codificato sistema di simboli che permette ai gruppi della criminalità di realizzare un alto grado di coerenza interna, di comunicare valori con facilità (recapitare una testa di un animale morto vale più di dieci lezioni universitarie), di trasmettere nel tempo un sapere, di proporre per inculturazione modelli di virilità e spregio del pericolo che affascinano a tutti i livelli. Le modalità che ha la ndrangheta di gestire silenzi carichi di significato, di utilizzare il sistema delle parentele spirituali, di manipolare a proprio uso un campionario di immagini tradizionali pur essendo calata pienamente nelle trame dell’economia globale, fanno parte di un sistema di segni culturalmente fondato e trasmissibile che, nel suo adattarsi continuo alle nuove esigenze dei tempi, costituisce pienamente quello che correttamente si definisce tradizione. Il sentimento di appartenenza che ipoteticamente dovrebbe accomunare la maggioranza antindrangheta è invece labilissimo. L’identità è sempre un criterio contrappositivo che si alimenta sulle linee di confine con l’alterità. Quella della ndrangheta è una cultura che, per la sua pervasività e per la sua capacità di operare in silenzio, per i più non è identificabile e quindi non risulta utile a provocare il sentimento di un’identità contrapposta. La stragrande parte della popolazione non avverte nei fatti il fiato sul collo dell’organizzazione criminale: per tanti la ndrangheta non è una vera minaccia, e vorrei dire che più che un clima di paura da noi si interiorizza un modello di pre-paura-. Un atteggiamento pre-omertoso, o comunque di vaga disponibilità all’omissione, che è diventato un tratto caratteristico della nostra cultura.
Conoscere davvero
La conoscenza è il punto chiave, perché la mafia nella regione non la si conosce. Se con questa parola intendiamo la capacità di descrivere un fatto e analizzarlo, possiamo affermare che la ndrangheta, almeno dalla stragrande parte della popolazione, non è conosciuta. Ciò che si possiede è un sapere parziale appreso indirettamente.  Tutte le nozioni che si apprendono in questo modo difficilmente diventano conoscenza. Anche l’immagine della ndrangheta è solo una memoria passiva, mai assunta criticamente, che resta costante in generazioni differenti senza che uno shock culturale riesca a farla assumere come problema cogente.
Occorre invece reificare il problema, renderlo “cosa” analizzabile. Occorre spiegare con le parole giuste ai bambini cosa impedisce il progresso economico di questa regione, e bisogna farlo a scuola. Occorre chiedere ai ragazzi di elaborare idee razionali del fenomeno. Tutte le altre esperienze di conoscenza che altrimenti possono fare del fenomeno sono esperienze che costruiscono le logiche almeno dell’omissione.

Nel corso della conferenza sarà proiettato il documentario “Penombre” di Giusy Utano e Claudio La Camera, in collaborazione con RAI Calabria.Una riflessione sulla percezione del senso della legalità e della giustizia all’indomani di importanti operazioni di repressione dell’attività criminale della ndrangheta nella provincia di Reggio Calabria.

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