L’australiano al Movieplex

Durante una partita di cricket tra la squadra di Lampton e i ragazzi del manicomio, Charles Crossley, internato nella casa di cura, racconta la sua storia. Charles ha vissuto diciotto anni in Australia e ha appreso da uno stregone aborigeno una tecnica particolare e micidiale: un urlo capace di uccidere. Entrato nella vita dei coniugi […]

Durante una partita di cricket tra la squadra di Lampton e i ragazzi del manicomio, Charles Crossley, internato nella casa di cura, racconta la sua storia. Charles ha vissuto diciotto anni in Australia e ha appreso da uno stregone aborigeno una tecnica particolare e micidiale: un urlo capace di uccidere. Entrato nella vita dei coniugi Anthony e Rachel, sconvolge la loro esistenza, arrivando a indurre la donna all’adulterio… Oscura ma affascinante sfida interpretativa di 87 minuti con un ritmo infallibile e un freddo vento di ironia grottesca, tratta da un racconto di Robert Graves, l’autore di Io, Claudio, diretta nel 1978 da Jerzy Skolimowski ed interpretato da Susannah York, John Hurt, Tim Curry e Alan Bates. Le suggestioni antropologiche legate al mondo degli aborigeni australiani (che erano già approdate al cinema l’anno prima con “L’ultima onda” di Peter Weir) si sposano alla perfezione con le inquietudini familiari ed esistenziali di Skolimowski (che, ricordiamolo, era stato lo sceneggiatore del primo lungometraggio di Polanski, “Il coltello nell’acqua”) in un film disturbante e coinvolgente, tutto basato sulle percezioni sensoriali (soprattutto uditive: i suoni, i rumori, il racconto, l’urlo) e su quello che va oltre (il soprannaturale, i sogni, l’anima), e che paradossalmente trova maggior valore proprio nella frammentazione e nella confusione della vicenda (cui si adeguano persino la regia e il montaggio, tutt’altro che lineare). Come ne “Il gabinetto del dottor Caligari”, si rimane con il dubbio che l’intera vicenda sia soltanto frutto della fantasia di Crossley, che vi ha inserito come protagonisti alcune delle persone con cui è entrato in contatto nell’istituto (Anthony è uno dei ricoverati, Rachel sembrerebbe un’infermiera), anche se alcuni indizi (il dottore morto mentre si tappava le orecchie, la scena finale in cui Rachel recupera la sua fibbia) sembrano invece suggerire un fondo di verità. Magnifica l’ambientazione, una striscia abitabile imprigionata fra un mare impervio e le dune del deserto, ma bella anche la clinica di campagna dove si svolge l’incontro di cricket, e indimenticabili anche i personaggi minori (dal dottore che valuta la pazzia anche degli alberi, ai vari abitanti del villaggio). La colonna sonora è di Tony Banks, membro dei “Genesis”. Il personaggio interpretato da Tim Curry è in realtà l’autore del racconto originale da cui il film è tratto. Come scrisse lo stesso regista, si tratta di una “favola narrata da un idiota”, una sfida filmica riuscita, che rivedremo al Movieplex il 12 ottobre, con inizio alle 18, come quinto appuntamento di Cinema D’Essai, curato dalla stessa multisala e dall’Istituto Cinematografica Lanterna Magica, con pellicole della sua straordinaria cineteca. Polacco di nascita e francese di formazione, cresciuto nella Nouvelle vague, Jerzy Skolimowski è sempre alla ricerca dell’esasperato limite verso cui è spinto l’uomo. Non importa quali siano le circostanze, quello che conta è il segno profondo che resta dietro di lui, la macchia nera che lo circonda, mentre pochi lampi di luce devono bastare a mostrare i contorni. Nel suo ultimo film “Essential killing”, presentato all’ultimo Festival di Venezia, dal deserto ai boschi innevati, dal Medio Oriente delle guerre vere/false, fin dentro il cuore ghiacciato dell’Europa, Slilowski dirige Vincent Gallo (straordinario e irriconoscibile), conducendolo per un racconto che inizia come un war-movie e si conclude nel silenzio di un “pianeta” inospitale e alieno.

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