A scuola di violenza

“Compassione significa ‘patire assieme’. ‘Mettersi nei panni degli altri’ è l’espressione popolare che più si avvicina al significato dell’espressione: ‘ebbe compassione per loro’”. Oreste Benzi Nella società dello svuotamento dei valori e della crescente perdita dei punti di riferimento, i media sembrano interessarsi ai giovani soltanto quando sono protagonisti di delitti efferati o di episodi […]

Compassione significa ‘patire assieme’. ‘Mettersi nei panni degli altri’ è l’espressione popolare che più si avvicina al significato dell’espressione: ‘ebbe compassione per loro’”. Oreste Benzi

Nella società dello svuotamento dei valori e della crescente perdita dei punti di riferimento, i media sembrano interessarsi ai giovani soltanto quando sono protagonisti di delitti efferati o di episodi di violenza nei confronti di persone e cose: dagli atti vandalici contro gli edifici scolastici, sino alle aggressioni fisiche o verbali ai danni di compagni e insegnanti. L’allarme bullismo esplode soprattutto nella scuola, dove si esprime in molteplici forme, individuali o di gruppo, mentre Youtube e i telefonini contribuiscono a diffondere una nuova “devianza” giovanile: il cyberbullismo. Il libro tenta di evidenziare il ruolo ambivalente e al contempo decisivo della comunicazione mediatica, che da un lato produce rappresentazioni dei giovani e dei loro vissuti, ma dall’altro, attraverso la Media education, si propone come ambiente privilegiato per l’acquisizione di una capacità critica e come sostegno valido ed efficace per la prevenzione di situazioni di disagio sociale. Quale sarà il futuro di questi giovani? Resteranno sempre i ragazzi fuori dalla società, dalla famiglia, dal gruppo, dalle “buone regole” del vivere civile? Il bullismo rappresenta una nuova forma di devianza, propria dei giovani, che necessita di grande attenzione, in quanto spesso si manifesta come azione di gruppo nei confronti di uno o più individui incapaci di difendersi. Il suo persistere può trasformare i bulli in futuri devianti o criminali e le vittime in soggetti irrimediabilmente depressi o suicidi. Il bullismo va scoperto, analizzato e compreso nelle sue diverse forme e sfaccettature, perché solo con un impegno costante si può favorire il recupero di un clima più sereno nell’ambito scolastico, in primis, e in quello familiare poi. Il termine bullismo, dall’inglese bullying, è usato per etichettare gli atteggiamenti di prepotenze e angherie ripetuti in ambito scolastico, di cui sono vittime i ragazzi più deboli. Il fenomeno del bullismo è sempre esistito, pur se ignorato o sottostimato, ma da qualche tempo se ne parla molto, forse perché è stato scoperto dai mass media e di conseguenza ha avuto una nuova “visibilità”. Si ha così l’impressione, non verificabile a causa della mancanza di dati riferiti al passato, di un aumento dei casi. Ormai tutti riconoscono i danni dei comportamenti bullistici sulla salute mentale non solo delle vittime, ma anche sugli stessi bulli, i cui comportamenti di prepotenza sfociano sempre più frequentemente in gravi reati contro la persona. E doveroso perciò che la società si interroghi sulle ragioni di queste violenze. Qual è il ruolo degli adulti coinvolti nel problema? Genitori, educatori, servizi e giudici sono preparati e attenti ad arginare il fenomeno in famiglia, a scuola, nel contesto delle comunità e, se necessario, nei tribunali? Il dibattito su questi temi sta diventando articolato ed appassionante, coinvolgendo giudici, insegnanti, medici, psicologi, ricercatori e sociologi. A pochi giorni dall’apertura della scuola, già la cronaca è piena di episodi di bullismo, con liti violente ed accoltellamenti. Gli ultimi due episodi sono di ieri, uno in provincia di Modena, con un sedicenne accoltellato da un coetaneo e l’altro all’istituto Venier di Venezia, sempre con due sedicenni vittima e protagonista. Il Secolo XIX di oggi racconta poi, attraverso la triste vicenda di una dodicenne gallese, suicida a causa di episodi di bullismo, cosa sta accadendo nella generazione dei giovani di tutto il mondo e come mai il fenomeno è ormai così globalmente diffuso. La storia del 18enne studente di origini italiane, Tyler Clementi, ha scosso in questi giorni, l’opinione pubblica americana. La scorsa settimana il giovane violinista, iscritto alla prestigiosa Rutgers University del New Jersey, si è buttato dal ponte George Washington dopo che i suoi compagni di scuola lo avevano filmato con un altro giovane nella cameretta che spartivano all’università, per poi esporre la sua omosessualità in streaming su Internet. E, sempre negli USA, soltanto nelle ultime tre settimane, quattro ragazzi si sono tolti la vita, dopo essere rimasti vittime di un preoccupante bullismo gay da parte dei compagni di scuola o dei coetanei. Il bullismo, che oggi è chiamato dagli psicologi anche mobbing in età evolutiva, è divenuto epidemico nel mondo occidentale e le cause sono molte, articolate e complesse. Le cause primarie di questo fenomeno sono da ricercarsi non solamente nella personalità del giovane bullo, ma anche nei modelli familiari sottostanti, negli stereotipi imposti dai mass- media, nella società di oggi a volte disattenta alle relazioni sociali. L’enorme eco che gli episodi di bullismo hanno ottenuto in quest’ultimo anno sui mass-media segnala la diffusione, nell’opinione pubblica, di una crescente consapevolezza del problema. È di fondamentale importanza, infatti, che tutti riconoscano la gravità degli atti di bullismo e delle loro conseguenze per la crescita sia delle piccole vittime, che nutrono una profonda sofferenza, sia dei piccoli prevaricatori, che corrono il rischio di intraprendere percorsi caratterizzati da devianza e delinquenza. Da non sottovalutare la causa più importante: una libera scelta incondizionata e consapevole da parte del prevaricatore di danneggiare il compagno. Insomma, la mancanza di solidi basi etiche familiari e la contemporanea dominanza di modelli diseducativi nei media e nella società, sono in grado, in soggetti predisposti, di aprire la strada a fenomeni gravi di bullismo subdolo o apertamente violento. Va inoltre detto, come sottolineano Elena Buccoliero e Marco Maggi, nel libro Bullismo, bullismi. Le prepotenze in adolescenza, Edito da Franco Angeli nel 2005, che il bullismo, a differenza del vandalismo e del teppismo, si presenta come una forma di violenza antitetica a quelle rivolte contro le istituzioni e i loro simboli (docenti o strutture scolastiche): queste ultime sarebbero estroverse, dove il bullismo è invece introverso, una sorta di cannibalismo psicologico interno al gruppo dei pari. Inoltre è da sottolineare come quasi sempre, in particolare nei casi di ostracismo, l’intera classe tende ad essere coinvolta nel bullismo, attivo o passivo, rivolto verso le vittime del gruppo, tramite meccanismi di consenso, più o meno consapevole, non solo nel timore di diventare nuove vittime dei bulli, o per mettersi in evidenza nei loro confronti, ma perché questi spesso riescono ad esprimere sia pur in negativo, attraverso la designazione della vittima quale capro espiatorio, la cultura identitaria del gruppo. In un suo bell’articolo on-line, G. Serra ci dice cosa la scuola può fare contro tale allarmante fenomeno, piuttosto che organizzare (come proposto dal duo La Russa-Gelimini), corsi paramilitari per rispondere alla violenza con la violenza. In primo luogo il problema va affrontato dalla più giovane età e tenuto regolarmente sotto controllo in modo tale che ognuno possa capire il problema senza sottovalutarlo o inquadrarlo come uno scherzo tra ragazzi. Se c’è stata una lamentela da parte di un genitore o se si notano atteggiamenti di bullismo tra ragazzi, è bene organizzare una riunione del corpo insegnante sull’argomento con l’obiettivo di risolvere il problema o comunque di affrontarlo subito. A questo proposito si possono fare delle schede su cos’è il bullismo, sulle azioni che concretizzano comportamenti da bullo, sui sentimenti di isolamento e insicurezza che si insinuano nella vittima del bullismo e sui sentimenti e sulle azioni dell’oppressore e quindi sulle varie soluzioni che possano servire a fermare il bullismo. La scuola è la prima vera istituzione sociale dove gli studenti devono essere incoraggiati a denunciare episodi di bullismo per un pronto intervento di autorità. In tal senso è molto importante la fiducia che i ragazzi devono avere nelle istituzioni, ricordate la fiducia deve essere meritata. Genitori e istituzioni sono chiamati per primi alla responsabilità che il loro ruolo comporta. I ragazzi chiedono di essere gratificati, ma anche puniti se è necessario. Un comportamento giustamente punito tutela tutti forti, deboli, bulli e non. Naturalmente a patto che sia la famiglia, custode e testimone di valori positivi e responsabili. Infatti, dobbiamo sempre ricordare, che ciò che i ragazzi chiedono e di avere relazioni con adulti responsabili e coerenti e non con individui che della sopraffazione e della’imbroglio fanno l’unico credo. Pertanto, per i genitori di coloro che perpetuano il Bullismo continua ad essere importante capire gli stati d’animo del ragazzo ed è importante fargli capire il valore della compassione, il valore dell’autorità scolastica, il valore delle regole e soprattutto il valore del rispetto della vita altrui. Non assecondate vostro figlio solo per il timore di non ammettere che esiste un problema, parlatene in privato con lui, ascoltate i suoi malesseri per renderlo più sereno. Ancora, i ragazzi vivono di miti e simboli e qui bastano poche importanti parole.  Quindi, con la forza che solo i media conoscono, è importante entrare nelle case delle famiglie per essere ascoltati in modo intelligente, poichè è importante che se ne parli, sempre. Sul sito SOS Bullismo, troviamo scrittio che in Italia , quasi manca una vera e propria definizione (ed una autentica coscienza) di “bullismo”, contrariamente alla quasi totalità del mondo “sviluppato” che considera ufficiale la definizione data da Dan Olweus, bullyng, che scrive: uno studente risulta vittimizzato nel momento in cui viene sottoposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni di scuola e non. Bene o male, tutti gli psicologi sono d’accordo con questa definizione che sembra inglobarle tutte, anche se ancora riusciamo a vedere solo la punta dell’iceberg: nella valutazione del bullismo come fenomeno psicologico a livello sociale, di gruppo ed individuale le idee sono piuttosto confuse. Ciò che però sappiamo è che il “bullo” è individuo aggressivo verso i coetanei ed i genitori, bisognoso di dominio e dotato di scarsissima empatia. Poiché, inoltre, ha livelli di ansia e di insicurezza relativamente bassi, facile da comprendere come, sfogando l’insicurezza verso altre persone, egli possa sentirsi meglio ogni giorno. Inoltre, sul piano social-scolastico, il bullo non arriva mai ad un livello di impopolarità come la vittima, però nemmeno giunge ad essere una celebrità. Ancora, importante è chiedersi quale sia il ruolo del bullo domani, nella società. Secondo alcune statistiche, i prevaricatori a scuola hanno una buona possibilità di incorrere in processi penali pesanti a causa dei gravi reati commessi. Quindi: il bullo di oggi è il criminale di domani. Infine, va sempre tenuto presente, da parte di tutti, che la sua forza poggia essenzialmente sull’omertà e sulla codardia dei compagni di classe. Questi infatti, secondo alcune ricerche, anche a causa dei mass media, ritengono degradante la condizione di vittima e sono portati a disprezzarla, isolarla e magari anche colpirla. I dati italiani recenti sono allarmanti. Sono 22 su 100 i bambini che dalla prima alla terza elementare hanno esperienze di prepotenze, come la sottrazione di giocattoli o merende. L’indice sale al 30 per cento in quarta e quinta elementare, arriva al 45 alle medie. E se si esamina il problema della socializzazione, alla base del fenomeno del bullismo, emerge che è un grave disagio nel 16 per cento dei bambini di prima e terza elementare e nel 23 di chi frequenta la quarta e la quinta classe. E l’indice cresce con l’età. Altro problema, la difficoltà nel bimbo di attribuire un ruolo di autorità all’adulto. Sono 9 su cento gli alunni della prima che non riconoscono questo ruolo alla maestra, una percentuale che cresce fino al 14 nelle ultime due classi. Tutto questo ci dice che i valori ed i modelli educativi sono alla base del bullismo e riguardano anche chi copre i bulli alla’interno di una classe. Recentissimamente, Valerio Fasani, eclettico formatore ed educatore di ragazzi in età pre-adolescenziale e adolescenziale nelle province di Brescia, Cremona e Mantova,”, in occasione della prima serata del percorso formativo “Genitori in cammino 2010-2011”, analizzando la comunicazione multimediale che le nuove tecnologie offrono ai giovanissimi (internet, le chat, Facebook) e i mass media in generale, ha fatto notare che la rapidità con cui si susseguono le immagini e la superficialità dei contenuti, mirano ad aumentare lo stimolo emotivo dei ragazzi a discapito dello stimolo cognitivo: non vi è spazio per la riflessione e l’interiorizzazione. Questo si ripercuote negativamente sul grado di vivere la propria cognitività: i ragazzi vengono bombardati da messaggi rapidi e superficiali che riducono lo stimolo all’approfondimento, cioè alla creazione di una immagine che porti con sé un’esperienza, che aiuti a crescere e ad andare avanti. Sul mondo mass-mediale e virtuale, invece, tutto è banalizzato: le relazioni, la sessualità. Il bisogno di amare si confonde con la pornografia, ci si abitua all’appagamento di un bisogno morboso con il rischio di giungere all’assuefazione. Le relazioni si cercano fra persone simili, chiudendosi in gruppi isolati. Arretra il valore della solidarietà, pilastro di uno stato civile: i valori sono diventati personali, per cui vandalismo e bullismo se non toccano personalmente sono questioni di altri. Questo denota la mancanza di senso di appartenenza: “Non mi riguarda perché io non appartengo a loro”. Dobbiamo far sentire ai ragazzi il peso di un’appartenenza ad una classe, ad una città, alla storia (altro che farli circolare nei centri commerciali, anche se il centro è terremotato). Dicono i grandi educatori che l’educazione formativa, in famiglia prima che a scuola, si deve basare sulle sei dimensioni fondamentali dell’esistenza umana: la dimensione biologica o corporeità, affettivo-relazionale, culturale, etica, ludica e riproduttiva o responsabile. La relazionalità non è solo emotiva, una persona che fa coincidere relazionalità ed emotività è fragile e facilmente influenzabile. Se l’aspetto ludico è preponderante a tal punto da diventare la base della relazione personale dell’individuo, la risposta non può che essere il “mercato” e tutto quanto ne consegue: consumismo, insoddisfazione, mancanza di desiderio e assuefazione, che poi portano, a seconda dei tipi umani, a bullismo, vandalismo, introversione, depressione o altre forme di disagio emotivo e sociale. L’aggressività fa parte della natura umana, ma la violenza deve essere tenuta sotto controllo fin dall’infanzia. A noi adulti il compito di leggere e tradurre questi segnali “in codice” e, missione ancora più ardua, di trovare risposte e soluzioni. Occorre imparare ad ascoltare, punendo quando è indispensabile, con autorevolezza, dimostrando, nei fatti, alle giovani generazioni che il mondo non appartiene ai violenti. Al contempo, avviare i giovani allo sport, alla musica, all’arte, come risorse per stimolare l’amore di sé, il piacere della sfida e il rispetto degli altri. Il bullismo va scoperto, analizzato e compreso nelle sue diverse forme e sfaccettature, perché solo con un impegno costante si può favorire il recupero di un clima più sereno nell’ambito scolastico, in primis, e in quello familiare poi. La scuola appare il luogo privilegiato di attuazione del fenomeno, ma anche il fattore causante, per cui risulta importante l’apporto collaborativo di tutti coloro che ruotano intorno a tale istituzione sociale: il dirigente scolastico, i docenti, il personale non docente, gli studenti e i familiari, nonché la struttura, l’organizzazione e la gestione della scuola stessa.

Carlo Di Stanislao

Letture consigliate
Abruzzese S. (a cura di): Bullismo e percezione della legalità. Operatori delle scienze psicosociali, del diritto ed educatori a confronto, Ed. Franco Angeli, Milano, 2008.
Borsini M. C., Ricci C.: Metti giù le mani. Bullismo: né vittime né prepotenti, Ed. Giunti Progetti Educativi, Firenze, 2006.
Cimino V., Capozza G.: Oltre il bullismo. Dal disagio alla cultura della non violenza, Ed. Milella, Bari, 2008
Civita A.: Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio minorile, Ed. Franco Angeli, Milano, 2007.
Esposito E.: Bullismo perché. Capire per meglio intervenire, Ed. Savera Multimedia, Roma, 2009.
Genta M. L. (a cura di): Il bullismo. Bambini aggressivi a scuola, Ed. Carocci, Milano, 2002.
Tirocchi S.: Ragazzi fuori. Bullismo e altri percorsi devianti tra scuola e spettacolarizzazione mediale, Ed. Franco Angeli, Milano, 2008.
Vergati S.: Bully kids. Socializzazione disadattante e bullismo fra i preadolescenti, Ed. Bonanno, Napoli, 2003.

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