L’Italia delle false riappacificazioni e delle vere tensioni

 Il titolo più emblematico (ed azzeccato) è de Il Tempo: “La paura fa la pace”. Ieri, a sorpresa, Silvio Berlusconi ha convocato una conferenza stampa a Palazzo Chigi per dire che lui alle elezioni anticipate non ha mai pensato e, a chi gli chiedeva ragione degli strepiti di Bossi che invece spinge verso le urne, […]

 Il titolo più emblematico (ed azzeccato) è de Il Tempo: “La paura fa la pace”. Ieri, a sorpresa, Silvio Berlusconi ha convocato una conferenza stampa a Palazzo Chigi per dire che lui alle elezioni anticipate non ha mai pensato e, a chi gli chiedeva ragione degli strepiti di Bossi che invece spinge verso le urne, ha detto che “il ministro va interpretato” e lui “possiede la chiave interpretativa”. Ha anche detto che Fini non farà mancare il suo sostegno al governo ed aggiunto, a proposito del neo costituito Fli: “Ho avuto rassicurazioni da parte del loro coordinatore che ci sarebbe stata assoluta lealtà”. Pace fatta allora? Proprio non sembrerebbe, ma è meglio fare finta di andare d’amore e d’accordo con una Lega che, in caso di voto, farebbe strage di consensi o, ancor di più, il rischio di un governo tecnico con tutti tranne che lui. Ancora tre giorni fa, sulla riforma della giustizia, Gianfranco Fini aveva messo un altolà. Queste riforme non devono “punire o penalizzare la magistratura”, aveva detto, pur ripetendo lealtà alla maggioranza, ma “a condizione che il programma venga declinato in tutte le sue parti, e non dimenticato o tradito, in alcune di esse”. Ora, dopo la conferenza stampa inaspettata e sparigliante, Berlusconi tenta di rilanciare la palla nel campo di Gianfranco Fini e, implicitamente, fa capire a chi si dovrebbe addebitare il ruolo di traditore se si dovesse giungere a una rottura. Così, annuncia un’agenda in risposta alla “politica delle chiacchiere” incardinata su cinque consigli dei ministri consecutivi che saranno chiamati a varare i cinque punti del programma appena approvati dal Parlamento con un voto di fiducia: si comincia con il federalismo (da votare in via definitiva entro marzo), si chiude con la riforma fiscale. Si potrebbe parlare quasi di una risposta berlusconiana alla giornata di ieri che Fini era riuscito a monopolizzare con la presentazione del nuovo partito. E siccome, come ricorda Pierfrancesco Frerè, al cavaliere non piacciono né i coni d’ombra, né tantomeno i condizionamenti degli alleati, invita a non dare eccessivo peso ai pronostici di Umberto Bossi (che parla di elezioni in marzo) e si fa affiancare dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Messaggio indiretto ma abbastanza esplicito sulla delicatezza della crisi economica ancora in atto (per combattere la quale secondo il Pd sarà necessaria una manovra correttiva) e dunque sul rischio per il Paese di tornare alle urne in un clima di scontro generalizzato. L’impressioni di molti è che il premier stia cercando di concludere una sorta di “pace d’attacco”: dal momento che i numeri in Parlamento lo vincolano inesorabilmente al gruppo finiano, determinante per la sopravvivenza della maggioranza, vuole almeno incassarne subito l’appoggio al programma in Consiglio dei ministri per circoscrivere il peso dei successivi, e inevitabili, negoziati parlamentari. E dare un’immagine di efficienza decisionista. I segnali distensivi non mancano: il vertice lampo che ha confermato gli attuali presidenti di commissione, compresi i finiani, è stato un gesto di buona volontà – dice Fabrizio Cicchitto – per tentare di andare avanti in un clima più sereno. La risposta di Futuro e libertà è stata la disponibilità a votare (ma “senza enfasi”) il lodo Alfano, cioé lo scudo giudiziario per il presidente del Consiglio. Tuttavia di diverso avviso Adalberto Signore sul Il Giornale, in un articolo in cui precisa che Berlusconi ha in mente una doppia strategia, fatta di carote e bastone, con mano aperta al mattino e pochi sconti nel pomeriggio. riunione dei capigruppo di maggioranza – allargata per la prima volta al Fli – è, spiega in privato Berlusconi, un messaggio piuttosto chiaro. Non solo perché dà il via libera alla conferma di tutte le presidenze di commissione, comprese quelle finiane, ma anche perché legittima la cosiddetta terza gamba. Un segnale di pace al quale segue però una decisa accelerazione se il Cavaliere mette nero su bianco la road map che dovrebbe portare alla realizzazione dei cinque punti progammatici su cui ha incassato la fiducia. Il timing è eloquente: si inizia con il federalismo e si prosegue con la giustizia, due temi che per ragioni diverse sono piuttosto indigesti a un Fini che è comunque vincolato al programma di governo. Poi a tarda sera, durante il ricevimento di nozze del capo ufficio stampa Pdl Luca D’Alessandro con Paola Picilli, parla del suo rapporto con l’ex cofondatore Pdl: “Che amarezza – ha detto ad alcuni deputati, dopo 16 anni in cui l’ho trattato come un figlio – essere ripagato così”. Come si vede una pace apparente e del tutto strategica e fittizia. Come scrive Antonio Chiappari su Il Quotidiano.Net, la verità su Berlusconi è che fa finta di voler durare e di volersi riappacificare con Fini, ma in realtà ha già messo su una formidabile campagna elettorale, con tanti circoli quante sono le sezioni elettorali, ovvero 61mila, mentre un milione e duecentomila persone nelle prossime settimane solcheranno la penisola per diffondere il suo programma e 10 milioni di cofanetti con schede patinate, saranno inviate ad altrettante famiglie per illustrare quanto fatto dal Governo. Il Cavaliere, quindi, in vista della manovre di Fini e della’opposizione e, soprattutto, temendo la Lega, si appresta a bussare alla porta degli italiani, con tanti suoi inviati, coordinati da un ufficio centrale che periodicamente darà input di temi, idee e quant’altro. Il progetto varato all’inizio dell’estate va avanti celermente e passa pure per l’elezione diretta dei coordinatori regionali e provinciali del partito, meccanismo che potrebbe anche essere poi usato per i vertici nazionali. Gli obbiettivi perseguiti dal Cavaliere sono ambivalenti. In primo luogo dare un’organizzazione capillare al partito, rispondendo all’attivismo di Generazione Italia. In secondo luogo per essere pronti in caso di elezioni. Questo ha spiegato— poco prima di passare il prossimo meritato week end di riposo nella dacia di Putin per ritemprarsi — a Verdini, Brambilla, Valducci e Mantovani (i responsabili dei ‘Team della Libertà’) che ieri ha visto a Palazzo Grazioli. “Non voglio andare alla guerra, voglio continuare a governare. Ma in caso di elezioni anticipate, voglio essere pronto”. A confortarlo, i suoi sondaggi che danno Fini al 2,9%. Come si vede una pace molto aleatoria e davvero molto “armata”. Ed altrettanto sospetta è la pace con pranzo reboante, goliardico e fittizio, fra Bossi ed Alemanno, alla presenza della Piolverini e di Zaia, con cuochi testaccini e modenesi e con menù rigorosamente trasversale: piata, polenta, salame e coda alla vaccinara, annaffiati dal bianco dei castelli e dal lambrusco. Dopo il tira e molla di offese, scuse, orgoglio patriottico e profonde divisioni, ieri, davanti a Montecitorio, ci si è trovati tutti attorno a un tavolo, un grande tavolo quadrato allestito per il convivio rappacificatore. Toni distesi a tavola, dove si è seduta anche la governatrice Renata Polverini e l’omologo leghista Zaia, ma non in piazza dove Pd, Idv e l’ex di Forza Italia Michele Baldi hanno contestato “il pranzo delle beffe”, scandendo slogan come “dalla porcata alla porchetta”, “Alemanno cameriere” e intonando a più riprese l’Inno di Mameli. Preso di mira in particolare il ministro La Russa “reo” di un marameo ai manifestanti. “Dobbiamo lavorare per un grande rinnovamento dell’Italia, un’Italia unita che valorizzi le identità locali”, dice Alemanno ma, aggiunge che, se continuano gli insulti “nessuno abbassa la guardia”. “Roma e il Lazio si difendono bene”, spiega il sindaco di Roma al termine del pranzo. Il dubbio di vera riappacificazione nella chiarezza viene però da un’ennesima battuta del Senatùr che, prima di mettersi a tavola, lancia l’ennesima frecciata contro l’ipotetico gran premio di Formula 1 a Roma: “dove c…lo corri qui un gran premio?”. Ma forse, anche in questo caso, la frase va interpretata da Berlusconi. Più serio mi pare il problema delle azioni contro le sedi Cisl di Trevignano, Lecco, Livono, Ivrea e, infine, quella di ieri alla sede nazionale di via Po a Roma. Un vero e proprio blitz, con muri imbrattati con vernice rossa e uova e lancio di fumogeni e volantini. Tutto firmato da “Action diritti in movimento”: un gruppo in cui si ritrovano frange di Fiom, grillini, spezzoni del popolo viola e che ha rivendicato il gesto sul suo sito al grido “meglio un uovo oggi che senza diritti domani”. Questo esecrabile clima era iniziato tempo fa, alla Festa del Pd di Torino, con il lancio di un fumogeno contro Raffaele Bonanni. A stigmatizzare quanto successo è il presidente di Confindustria, Marcegaglia: “È la Fiom prima di tutto che dovrebbe intervenire. È necessaria una serie di iniziative nette che dicano che un’associazione importante non può avere al suo interno persone che fanno queste cose”. Ragionamento non lontano da quello della Cgil. Una nota di Corso d’Italia ha annunciato che i vertici della Fiom sono stati convocati per lunedì prossimo: “Devono rispondere dei loro comportamenti”. Ed Epifani aggiunge: “Abbiamo una giurisdizione interna e delle sanzioni. Se ci sono fatti gravi ci saranno delle espulsioni”.
Il leader delle tute blu della Cgil, Landini, sottolinea: “La Fiom esprime la più netta contrarietà agli inaccettabili atti di intolleranza. Chi non assume la pratica democratica si pone al di fuori della piattaforma che è alla base della manifestazione del 16 ottobre”. “Se ci fossero delle proiezioni di film in bianco e nero, ricorderebbe il ’22”, dice sconsolato per quanto accaduto il numero uno della Uil Angeletti. Dal fronte politico il segretario del Pd, Bersani, spiega che “stiamo arrivando a un livello di guardia: una critica non può diventare un’aggressione. Bisogna cominciare a dirlo perché tira una brutta aria”. E, al solito, mostra i pugni il governo con il ministro Sacconi, il quale dichiara che: “- “E’ ora di reagire con più decisione a una serie di azioni allarmanti, di atti violenti contro cose e persone anche attraverso, quando necessaria, la più ferma repressione degli atti criminosi. Troppa sottovalutazione, troppo perdonismo, anche in settori istituzionali, preparano solo attentati più gravi e l’affievolimento della democrazia. Adesso basta!” Naturalmente non condividiamo i toni del ministro ma, considerando anche l’attentato a Belpietro, è chiara la nostra preoccupazione (autentica), per un clima arroventato, un clima di odio e di intimidazioni, alimentato da chi vuole strumentalmente alzare il livello di scontro per minare il sistema democratico di questo nostro Paese.

Carlo Di Stanislao

Una risposta a “L’Italia delle false riappacificazioni e delle vere tensioni”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *