Quanto è vicina la Cina?

La visita si svolge in occasione del Quarantennale dei rapporti diplomatici tra Roma e Pechino e per l’apertura dell’Anno culturale della Cina nel nostro paese. Per ora sono stati siglati dieci contratti per un totale di 2,5 miliardi, ma si auspica il raggiungimento di un totale di 80 miliardi entro il 2015. E’ quanto riferito […]

La visita si svolge in occasione del Quarantennale dei rapporti diplomatici tra Roma e Pechino e per l’apertura dell’Anno culturale della Cina nel nostro paese. Per ora sono stati siglati dieci contratti per un totale di 2,5 miliardi, ma si auspica il raggiungimento di un totale di 80 miliardi entro il 2015. E’ quanto riferito da una fonte governativa italiana, illustrando i temi affrontati stamani dal presidente del consiglio, Silvio Berlusconi, e dal primo ministro della Repubblica Popolare Cinese, Wen Jiabao, in visita a Roma. Secondo la fonte nei colloqui per il momento non è stato affrontato il tema dello yuan, dopo le polemiche di questi giorni sulla necessità di rivalutare la moneta cinese. E mentre il presidente del Fondo Monetario Internazionale, Dominque Strauss-Kahn, in un’intervista al quotidiano francese Le Monde, denunciando il rischio della “tentazione di soluzioni nazionali” sulle questioni legate al mercato dei cambi, consiglia alla Cina di operare un apprezzamento della sua moneta, noi ci muoviamo con prudenza, per non scontentare un Paese che, pare, ci abbia individuato come partone privilegiato in Europa. Berlusconi e Wen hanno siglato alcuni accordi istituzionali e più tardi, a Villa Madama – dove è in corso un forum con i rappresentanti dei due governi e delle imprese – sigleranno anche dieci accordi commerciali nei settori agroalimentare, delle tecnologie per l’ambiente, cultura, turismo e cooperazione finanziaria per lo sviluppo. La presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, prendendo la parola al forum, ha confermato l’obiettivo di “80-100 miliardi di dollari” di interscambio al 2015 ricordando che nel 2009 il valore era di 31 miliardi. “E’ un obiettivo complesso ma ci crediamo”, ha aggiunto. Prima del forum, stamattina presto, Jiabao è salito al Quirinale, dove ha incontrato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano e il Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri, Stefania Craxi. Al centro del colloquio, riferisce un comunicato della Presidenza della Repubblica, “l’eccellente andamento delle relazioni bilaterali e le prospettive di dialogo, all’indomani del Vertice tra Unione Europea e Cina e della riunione Asem. Da parte italiana si è sottolineato che l’apertura dell’Anno della Cina in Italia costituisce una importante occasione di rafforzamento delle relazioni”. Il Presidente Napolitano ha inoltre confermato che si recherà a fine ottobre in visita di Stato nella Repubblica Popolare Cinese. Dopo l’incontro con Napiolitano e prima del forum, Wen Jiabao si è recato a piedi a Montecitorio dove era atteso dal Presidente della Camera Gianfranco Fini. Nel pomeriggio, poi, alle 16,30, la visita ufficiale del premier cinese si concluderà con un concerto al Teatro dell’Opera di Roma dove terrà un nuovo discorso insieme a Berlusconi. Subito dopo, Wen conferirà a Federico Masini, preside della facoltà di Studi orientali della Sapienza e direttore dell’istituto Confucio di Roma, una Onorificenza per l’amicizia fra la Cina e l’Italia . Federico Masini è l’unico accademico italiano a ricevere il premio, come riconoscimento per la sua attività di studioso della lingua e della cultura cinese, approfondita nelle università di Berkeley e di Pechino. L’onorificenza è stata assegnata a dieci personalità italiane che si sono impegnate in attività di collaborazione e di scambio tra Italia e Cina. Tra queste figurano Giuliano Urbani, coordinatore italiano dell’anno culturale cinese, Marco Müller, direttore del settore cinema della fondazione La Biennale e della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, e Cesare Romiti, presidente della fondazione Italia-Cina. La consegna dei premi coincide con l’apertura dell’Anno culturale della Cina in Italia, durante il quale sono previste iniziative che testimoniano i fiorenti scambi e lo sviluppo della cooperazione nei vari settori delle due culture. Secondo Il Corriere, comunque, Pechino sembra riservare a Roma più cura di quella che Roma riserva a Pechino. “La Cina ha le forze e, forse contrariamente a noi, la determinazione per concretizzare la sua attenzione sul piano pratico. Sa molto bene – spiega Franco Cutrupia, presidente della Camera di Commercio italiana in Cina – quale sia il nostro peso al centro del Mediterraneo e come accesso alla Ue”. Come prova dell’asimmetria si può leggere il fatto che alle visite dei numeri uno, due e tre del Politburo in meno di due anni l’Italia contrappone una presenza meno intensa. In questa legislatura Silvio Berlusconi è stato sì a Pechino due anni fa, ma nel contesto del summit Asem (anche se ha avuto incontri con i vertici); il ministro degli Esteri, Franco Frattini, è stato soltanto presente all’apertura dell’Olimpiade (l’ultimo titolare della Farnesina in visita di Stato fu Massimo D’Alema nel 2006, dopo il viaggio del premier Romano Prodi); il sottosegretario competente per l’Asia, Stefania Craxi, e i presidenti dei due rami del Parlamento non sono mai venuti. Tuttavia non sono mancate missioni di altri membri del governo e comunque, rassicura Zhang Pei, “l’importanza dei rapporti bilaterali non si giudica dalla frequenza delle visite”.La asimmetria, e quindi la necessità di risistemare gli equilibri, appare anche a chi in Cina investe e lavora. “Si assiste a un’inversione di tendenza”, riconosce Massimo Roj, amministratore delegato dello studio di architettura Progetto Cmr (e presidente di una società cinese collegata) che nel 2010 ha raggiunto il milione di metri quadri edificati in Cina: “Dieci anni fa l’Italia era attratta da questo Paese, 5 anni fa s’è toccato il picco. Adesso, dopo qualche batosta, stiamo tornando indietro e sono i cinesi che vengono da noi. Noi scontiamo una visione limitata e italocentrica, loro hanno uno sguardo globale, si muovono su più Paesi. Però anche se non abbiamo la massa critica di Francia e Germania, possediamo fantasia, e nicchie da allargare”. I dati economici mostrano un interscambio sui 31 miliardi di dollari nel 2009, per due terzi dato dall’import dalla Cina. L’Italia è il 15° partner commerciale della Repubblica Popolare che è, dopo gli Usa, il secondo Paese non europeo in cui sono più presenti imprese italiane (sul migliaio). E nella Ue, nessuno ha rilasciato più visti turistici a cinesi (125 mila, stima per il 2010). Ma l’asimmetria strategica emerge persino qui, se gli unici collegamenti aerei diretti sono assicurati non da Alitalia ma da Air China. L’Italia sconta uno scarto mentale che inibisce scelte politiche coraggiose, suggerisce Airaldo Piva, amministratore delegato di Hg Europe, società che fa capo alla holding cinese Hengdian, con interessi dal tessile agli ospedali agli studios cinematografici. Premiato come “amico della Cina” per la festa nazionale del 1° ottobre, Piva ammette che “la Cina cerca di conoscere l’Italia, mentre noi vediamo la Cina come via Paolo Sarpi, Prato, il Paese che copia. Rispetto ai politici di altri Paesi, i nostri viaggiano poco qui; gli imprenditori, invece, capiscono presto che la Cina va oltre gli stereotipi, ma spesso non sono attrezzati, perché questo Paese obbliga a mettere in discussione il proprio prodotto e la propria organizzazione”. Un esempio di questo sguardo strabuico, miope e distratto, ci viene anche dalla cronaca recente. E’ polemica, infatti, a Prato, per la mancata proclamazione del lutto cittadino da parte del Comune per la morte di tre donne cinesi, travolte da acqua e fango in un sottopassaggio durante gli allagamenti dei giorni scorsi in Toscana. Le vittime sono due sorelle e la figlia di una di queste. L’associazione Associna, che cura gli interessi degli orientali, ha criticato il sindaco di centrodestra Roberto Cenni, che però ha deciso di esporre dal municipio le bandiere a mezz’asta. L’assessore alla Sicurezza, Aldo Milano, ha dichiarato a SkyTG24: “In Giunta la questione è stata dibattuta, ma negli ultimi vent’anni non è mai stato proclamato il lutto cittadino. Eppure qui 10-15 anni fa sono morte due bimbe rom in un incendio. Si rischiava di creare un precedente per il futuro, nel momento in cui fosse successo un altro episodio anche per morti sul lavoro, avremmo dovuto fare altrettanto. La polemica mi sembra rientrata, c’è stata solo una strumentalizzazione politica”. Non è d’accordo il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi: “Mi sembra che negare il lutto cittadino sia stato un errore”, ha dichiarato ai microfoni di CNRmedia. “Non voglio assolutamente attribuire al sindaco comportamenti che abbiano a che fare con il razzismo – ha aggiunto Rossi -. Penso che ci sia stata una sottovalutazione. Di fronte agli errori è meglio chiedere scusa: se non lo fa il sindaco di Prato, lo faccio io e me ne assumo la responsabilità”. La polemica di Prato è partita da esponenti della comunità cinese. “Ritengo un peccato non concedere il lutto cittadino ma da questa amministrazione non riesco ad attendermi granché”, ha dichiarato a Notiziediprato.it Marco Wong, presidente onorario di Associna. “Se dovesse essere confermato il no – ha detto Matteo Ye, interprete della comunità orientale – la parola integrazione potrà cancellarsi dal dizionario”. E ancora Ye: “I sottopassi devono avere massima sicurezza. Queste tragedie non devono avvenire in un Paese come l’Italia, sono episodi da luoghi arretrati. È una cosa vergognosa”. Una comunità misteriosa, chiusa su stessa, impenetrabile. Sarebbero queste, secondo molti italiani, le caratteristiche della diaspora cinese in Italia. I pregiudizi e gli stereotipi su questa collettività si sprecano e vanno di pari passo con il mancato sforzo da parte nostra di cercare di comprendere questi immigrati, il cui numero è cresciuto notevolmente dal 1980 ad oggi. Uno sforzo che hanno invece tentato Riccardo Cremona e Vincenzo de Cecco, i due autori del documentario (uscito lo scorso anno) “Miss Little China” (edizioni Chiarelettere), grazie al quale è possibile entrare nella quotidianità di questa comunità per scoprire che in fondo i cinesi non sono così diversi da noi. Anche loro “sudano, piangono, sognano”. Un viaggio che ci permette di abbattere i tanti cliché che li circondano e che rischiano di farci perdere molte importanti occasioni internazionali. Gli immigrati cinesi di prima generazione hanno passato la loro vita in Italia a lavorare, spesso all’interno della propria comunità, e spesso parlano pochissimo italiano. I loro figli colgono i frutti di tutto ciò e sono forse il primo vero punto di contatto tra cinesi e italiani. Vanno alle nostre scuole, e in apparenza sono del tutto simili ai loro coetanei italiani, tanto da essere sprezzantemente chiamati “cinesi banana” (cioè gialli fuori e bianchi dentro) dai cinesi della madrepatria. In realtà essi non sono esattamente come i loro coetanei. Non è infrequente vedere ragazzi nella prima adolescenza far da interpreti ai genitori in transazioni commerciali, di fatto conducendo la trattativa. In qualche modo prendono il meglio dei due mondi. Questi sono i ragazzi che, incuranti degli strali del nostro Ministro delle Finanze (“il problema dei cinesi è questo: ci stanno mangiando vivi”) hanno fatto quello che avrebbero dovuto fare le nostre ambasciate. Hanno messo in contatto i produttori del Made in Italy con il più grande mercato del mondo. Solo questo esempio per dire quanto siano per noi una risorsa. Il pregiudizio che in Italia circonda la comunità cinese è figlio di un pregiudizio generale, legato ad una mancata cultura dell’immigrazione ed alla paura dello straniero. Dovremmo invece notare, che è curioso come una comunità che sembra lontana anni luce da noi, di cui non si fa che affermare la diversità, si scopre animata da meccanismi assolutamente identici ai nostri. Così come loro hanno le Chinatown, in ogni metropoli che si rispetti c’è una Little Italy, a imperitura memoria del nostro modello di emigrazione, così recente e così simile al loro. Ma in questo paese pare ci sia troppa fretta di dimenticare chi siamo e da dove veniamo.

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