Quattro morti nelle viscere della terra di Correa

A differenza del Cile, per i minatori dell’Ecuador non si è arrivati a tempo. Secondo i tecnici della Minesadco, ditta che gestisce i lavori, i due operai avrebbero dovuto avere ossigeno per tutta la giornata di ieri ma, purtoppo, non è andata così. Con le loro morti, sale a quattro il numero delle vittime del […]

A differenza del Cile, per i minatori dell’Ecuador non si è arrivati a tempo. Secondo i tecnici della Minesadco, ditta che gestisce i lavori, i due operai avrebbero dovuto avere ossigeno per tutta la giornata di ieri ma, purtoppo, non è andata così. Con le loro morti, sale a quattro il numero delle vittime del crollo del giacimento di Portovelo, 405 chilometri a sud di Quito. I primi due corpi senza vita erano stati trovati sabato, il giorno dopo l’incidente.  Il salvataggio dei due uomini, che si sperava potessero essere ancora vivi, è stato complicato da un nuovo crollo della miniera mentre erano in corso le operazioni di soccorso.  A causa di questa ulteriore frana si è ostruito nuovamente il passaggio che i soccorritori avevano faticosamente sgombrato dalle macerie del primo crollo determinando quindi un rallentamento dei lavori di recupero.   Nel frattempo, con i minatori rimasti intrappolati non si era riusciti a stabilire alcun contatto.  “Abbiamo fatto tutto quello che era umanamente possibile”, ha dichiarato il presidente della repubblica, Rafael Correa, accorso sul luogo della tragedia in compagnia dei familiari degli operai morti sottoterra, nella miniera più antica del Paese. I quattro minatori morti erano gli unici rimasti bloccati, a 150 metri di profondità, dal crollo del 15 ottobre scorso. Ricordiamo che l’Ecuador, è un Paese ricco di risorse minerarie, soprattutto di petrolio, il cui sfruttamento è però iniziato “solo” negli anni ’60 e i cui guadagni vanno ad arricchire, in maniera smisurata, poche persone locali e molte compagnie straniere, per cui la maggior parte della popolazione vive in condizioni di disagio e di povertà. Attraversato, come dice il nome, dall’Equatore e posto nella parte nord-occidentale del Sudamerica, l’Ecuador è un Paese indipendente dal 24 maggio del 1822 e sin è staccato dall’OPEC nel 1992. Nel 2007, l’Ecuador è stato il primo Paese della regione a formare un proprio programma spaziale senza aiuto delle potenze straniere (Agenzia Spaziale Civile Ecuadoriana). Come si ricorderà, poi, il 30 settembre scorso,  migliaia di poliziotti e soldati occuparono caserme e luoghi pubblici e dettero luogo ad una violenta protesta contro i tagli a benefit e stipendi promossi dal presidente Rafael Correa,  nell’ambito di una riforma economica e fiscale. Il governo dichiarò lo stato d’emergenza per una settimana e l’aeroporto di Quito venne chiuso e i trasporti pubblici bloccati. Correa, rimasto intossicato dai gas lacrimogeni lanciati da poliziotti in rivolta durante una manifestazione in cui arringava i propri sostenitori, fu costretto al ricovero in ospedale. L’ospedale fu  quindi assediato dai poliziotti ribelli, ma il 1 ottobre Correa fu posto in salvo da un blitz di truppe speciali fedeli, che aveva incassato il sostegno del capo di stato maggiore dell’esercito, Ernesto Gonzalez. Socialista, molto carismatico e solo cinquantenne, Correa, eletto per la prima volta nel 2006 sconfiggendo l’uomo più ricco del Paese senza l’appoggio di partiti politici, non disdegna il confronto e i bagni di folla. Elegantissimo, ha vinto in passato borse di studio negli Stati Uniti e in Europa.  Al cospetto dei suoi avversari, si mostra in spesso caustico, a volte sarcastico e soprattutto implacabile, mettendo sotto tutela alcuni mass media e ottenendo l’approvazione, nel settembre 2008 di una costituzione, che rafforza i poteri presidenziali. I suoi detrattori l’hanno accusato di concentrare tutto il potere. Questo non gli ha però impedito di essere rieletto fin dal primo turno delle presidenziali lo scorso anno, cosa che non era mai accaduto dal ritorno della democrazia in Ecuador, nel 1979. Cattolico fervente, proveniente da una famiglia modesta della città meridionale di Guayaquil, ha moltiplicato i programmi sociali nei settori della salute, dell’istruzione e anche di accesso alla proprietà, consolidando la popolarità presso i più svantaggiati, in una nazione dove il 38 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Nel 2009, ha affrontato la fronda degli insegnanti o degli autisti ed ha poi innescato un braccio di ferro con il movimento indigeno, contrario all’estrazione di petrolio e di minerali sulle sue terre. A metà settembre, il 53 per cento degli ecuadoriani continuava tuttavia ad approvare la sua gestione, secondo un sondaggio Cedatos-Gallup. Promettendo di “ripristinare la sovranità” di questo piccolo Paese andino di 14 milioni di abitanti, Rafael Correa ha inoltre imposto alle società petrolifere di versare dividendi più importanti. Si è inoltre rifiutato di rinnovare la concessione della base americana di Manta sulla costa pacifica, impianto strategico per la lotta contro la droga. E ha rotto le relazioni diplomatiche con la Colombia per più di un anno e mezzo, dopo il bombardamento da parte di Bogotà di un campo delle Farc (Forze armate rivoluzionarie colombiane) sul suo territorio, nel marzo 2008. Nel dicembre 2008, ha infine dichiarato una moratoria su un terzo del debito internazionale, ossia quasi tre miliardi di dollari, ritenendolo “illegittimo” per sospette irregolarità al momento del negoziato. Seguace del “socialismo del XXI secolo” raccomandato da Hugo Chavez, Correa non è tuttavia allineato sistematicamente su tutte le posizioni del presidente venezuelano. Non è sostenitore convinto, ad esempio, delle nazionalizzazioni e ha aspettato giugno 2009 per entrare nell’Alternativa bolivariana per le Americhe (Alba), blocco antiliberale di una decina di nazioni creato da Venezuela e Cuba nel 2004.

Carlo Di Stanislao

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