Pitigliani Kolno’a Festival VIII edizione

Alla Casa del Cinema di Roma, il Centro Ebraico Italiano presenta l’edizione 2010 del Pitigliani Kolno’a Festival “Ebraismo e Israele nel Cinema”, la cui storia è iniziata otto anni fa e che, quest’anno, ha anche fornito l’occasione, per una protesta di 100 autori che, dopo aver simbolicamente occupato la sede del festival, oggi alle 18,45, al […]

Alla Casa del Cinema di Roma, il Centro Ebraico Italiano presenta l’edizione 2010 del Pitigliani Kolno’a Festival “Ebraismo e Israele nel Cinema”, la cui storia è iniziata otto anni fa e che, quest’anno, ha anche fornito l’occasione, per una protesta di 100 autori che, dopo aver simbolicamente occupato la sede del festival, oggi alle 18,45, al Teatro Eliseo, hanno indetto un’assemblea “per ascoltare tutte le voci, a partire da quelle delle maestranze, e decidere anche le azioni di protesta da portare avanti al Festival di Roma”, con la le proposte più colorite, quella del regista e sceneggiatore Daniele Malavolta, che ha detto: “Visto che la cultura è in mutande, gli autori italiani in concorso vadano in protesta sventolando le proprie mutande”. Tornando al cinema ebraico, il titolo di questo ottavo festival è emblematico: “Mosaico di voci”, un modo per parlare del cinema degli e sugli ebrei a 360 gradi. Il festival, inaugurato il 23 e che si concluderà dopodomani, presenta molti inediti per l’Italia. Ad esempio il film di propaganda nazista antisemita Film Unfinished, girato nel Ghetto di Varsavia poco prima della rivolta, presentata da Liat Ben Habib, dello Yad Vashem di Gerusalemme. Poi il documentario “Diplomat”, che ci parla della’omonimo albergo di Gerulasemme che, negli ultimi venti anni, ospita una comunità ebraica provenienti dalla russia che ancora parla in lingua natale, rimando chiusa in questo limbo senza nessuna, neanche minima integrazione. Inoltre Yes Miss Commander, storia di una base militare in Bassa Galilea dove giovani difficili della società israeliana si trovano di fronte donne comandanti, e ancora Filmed by Yitzhak, un decennio di storia di Israele raccontata attraverso i super 8 girati proprio dall’ex premier isrealiano, Yitzhak Rabin. Quattro le sezioni tematiche del festival, con la novità dello spazio dedicato alla serialità televisiva e numerosi ospiti di spicco. Tra i tempi principali, quello dell’immigrazione. La rassegna è ad ingresso libero, fino ad esaurimento posti. Per info: http://bibliotecadisraele.wordpress.com/. Per saperne un po’ suol cinema ebraico, consigliamo la lettura del bel libro “Non solo Woody Allen (La tradizione ebraica nel cinema americano), edito da Marsilio e scritto, nel 2002, da Guido Fink. L’opera ha una genesi frammentaria, perché è una raccolta di saggi e di articoli che l’autore, Guido Fink, studioso di letteratura angloamericana, di cultura ebraica e di cinema, ha raccolto nel corso degli anni. Eppure, al di là di questa apparente frammentazione, l’anima del libro è profondamente compatta nel coinvolgimento emotivo evidente tra le pagine e le parole scritte, dalle quali emerge un amore forte per il cinema americano. Direi che è un’opera vissuta, con una sua autonomia letteraria, e la scomposizione dà al lettore l’impressione di guardare immagini alla moviola, un film di parole, d’arte, di storia, di cultura, di radici. Ci sono certi film di registi come Billy Wilder o Ernst Lubitsch, che non espongono tematiche ebraiche però, hanno un’ottica, un’impostazione che si lega all’ebraismo: quell’ironia di fondo, quella tendenza alla mescolanza, all’osmosi con la tradizione americana. E ciò accade anche nella letteratura. Nell’anteguerra moltissimi ebrei hanno lavorato nell’industria cinematografica americana, però il cinema non affrontava, forse per imbarazzo, le dolorose tematiche ebraiche. Gli ebrei in fondo dovevano assimilarsi, diventare americani, non ostentare la loro differenza. Eppure credo che proprio nel periodo dell’anteguerra ci siano stati molti film cripto-ebraici. Poi, con Woody Allen, si comincia a parlare direttamente di tematiche ebraiche. Lui è nato nel 1935, è un mio coetaneo, ha cominciato a lavorare in radio, in televisione e quando è approdato al cinema, l’idea dell’umorismo ebraico esisteva già, perché dopo la seconda guerra mondiale, molti scrittori, commediografi e gente dello spettacolo hanno lavorato su questo tema. Certamente Allen l’affronta in maniera più diretta ottenendo così un gran successo. Nel suo cinema vive l’ironia sul rimorso di cento e più anni di silenzi; è un cinema ricco di riferimenti alla tradizione ebraica sulla quale Allen ironizza, creando un atteggiamento nuovo, disincantato, moderno. C’è una messa in scena della tradizione ebraica e dunque si può parlare di cinema ebraico americano. Oggi poi, in Istraele, gli Autori migliori, stanno raccontando con capacità ed impegno, il difficile rapporto fra Israele e Palestina. Si pensiai film di Gitai, di Barbash, e del giovane Joseph Cedar, un ebreo ortodosso di origine americana che nel suo primo film, Time of favor, racconta la sua esperienza in un gruppo organizzato da un rabbino fanatico che voleva far saltare la moschea di Al Aqsa, e della crisi di coscienza che lo ha infine portato a denunciare il suo “maestro” e far fallire la congiura. In varie città degli Stati Uniti si svolgono annualmente festival del cinema (e della televisione) israeliani, con molto successo: ma ben poco, per non dire niente, arriva in Italia, benché presso di noi abbia avuto tanta e meritata diffusione la narrativa dei grandi scrittori israeliani, Grossman, Oz, Yehoshua. Fra l’altro, film come quello di Joseph Cedar servirebbero a correggere la disinformazione, non so se voluta o meno, della stampa italiana, che con pochissime eccezioni, nel riferire sulla tragedia medio-orientale, tende a colpevolizzare sempre e comunque solo una delle due parti in lotta, e cioè Israele, fra l’altro ignorando o dimenticando le vicende storiche, anche recenti, che hanno portato alla situazione odierna. Il merito di questo Festival romano è far giungere qualcosa in tema, anche da noi.

Carlo Di Stanislao

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