La Terra trema tra fiamme e tsunami

 A 19 mesi dal catastrofico terremoto di L’Aquila del 6 aprile 2009 (ore 3:32 AM; Mw=6.3; 309 morti) l’unica lezione impartita non sembra concentrata sulle politiche di prevenzione e mitigazione degli effetti delle catastrofi naturali come avviene in tutti i Paesi civili del mondo. Ma sull’irrilevante. Eppure il disastroso sisma di Sumatra (Mw=7.7) del 25 […]

 A 19 mesi dal catastrofico terremoto di L’Aquila del 6 aprile 2009 (ore 3:32 AM; Mw=6.3; 309 morti) l’unica lezione impartita non sembra concentrata sulle politiche di prevenzione e mitigazione degli effetti delle catastrofi naturali come avviene in tutti i Paesi civili del mondo. Ma sull’irrilevante. Eppure il disastroso sisma di Sumatra (Mw=7.7) del 25 ottobre 2010 (ore 16:42 in Italia) con annesse scosse di assestamento simili a quella principale aquilana (solo nel 2009 ne sono state registrate dieci, superiori al grado 6 Richter), ha mostrato al mondo intero di che cosa è capace il violento cocktail politica-natura. Lo tsunami e l’impressionante eruzione del vulcano Merapi, hanno causato oltre 272 morti e 400 dispersi, richiamando tutti gli abitanti della Terra a un sincero esame di coscienza. Le devastanti nubi ardenti hanno cancellato qualsiasi cosa sul loro cammino. Studi scientifici vengono regolarmente presentati ogni anno dai ricercatori di tutto il mondo nei grandi congressi internazionali come l’Agu Fall Meeting di San Francisco e l’Egu Spring Meeting di Vienna. L’Anello di Fuoco del Pacifico, oltre 40mila di Km di faglie, sorgenti sismogenetiche e fuoco, ad esempio, è ben conosciuto, studiato e monitorato capillarmente (www.emsc-csem.org). Dunque, non ci possono essere più giustificazioni. La scienza fa già il suo dovere, lanciando pre-allarmi quando deve e può farlo (eruzioni vulcaniche). Ma a volte certa politica può far più danni della Natura, se ci si ostina a mettere sotto il tappeto la polvere dell’irresponsabilità e dell’indifferenza nei confronti di tutte le popolazioni (milioni di persone sono a rischio solo in Italia) e delle vittime che si possono salvare. Gli eventi geologici del 2010 dimostrano (trend nella norma, assicurano gli scienziati) che la catastrofe sismica e vulcanica, è sempre dietro l’angolo di frattura di una qualsiasi faglia o esplosione magmatica. E che il mondo trema per cause non sempre solo naturali. In Italia i terremoti distruttivi negli ultimi 200 anni hanno provocato più di 200mila vittime e migliaia di miliardi (in vecchie lire) di danni. Da più di un secolo gli scienziati di tutto il mondo sono impegnati nel tentativo di ridurre il numero delle vittime e i danni causati dai terremoti attraverso due vie: la prevenzione e la previsione (oggi confuse) lasciando i temi della fantascienza ai non scienziati.
La più ampia affermazione della cultura di protezione civile, in Italia e in tutte le democrazie, si basa sulla piena consapevolezza del rischio e su un’incisiva politica di prevenzione e informazione ai cittadini. La responsabilità dei mass-media, della stampa e di Internet, nel divulgare solo le libere notizie scientificamente corrette, è determinante. I dispositivi portatili vanno usati con criterio, nella consapevolezza che, se le nostre case non sono sicure, crolleranno prima o poi, con o senza un terremoto distruttivo, con o senza la previsione sismica. Cioè anche con una piccola scossa che altrove farebbe solo innervosire i polli. I convegni, le monografie, le ricostruzioni, i simulatori sismici, le pubblicazioni, le interpretazioni del fenomeno, della cronaca, dei soccorsi, dunque, non bastano. La Politica deve accettare questa sfida: mettere in sicurezza le nostre case e città, prima che sia troppo tardi. Le sinergie antiterremoto ed antivulcani sono convenienti anche sul piano economico perché ci ricordano che possiamo fare qualcosa di utile per limitare i danni a persone e cose, realizzando grandi opere pubbliche. La divulgazione della cultura di protezione civile è un Progetto strategico per sensibilizzare le popolazioni sul fatto che eventi devastanti come i terremoti che possono colpire pesantemente anche l’Italia, non sono prevedibili ma si possono affrontare, come un nemico sul campo di battaglia, rispondendo adeguatamente con le giuste forze schierate dalla scienza e dalla tecnologia. E siccome ci interessa la Verità, in quanto la scienza galileiana prevede che le ricerche siano vagliate, accettate e pubblicate dalla comunità scientifica internazionale, dobbiamo avere l’umiltà e la curiosità di leggere le relazioni scientifiche in Inglese, cioè direttamente alla fonte. Per interrogare gli esperti, ponendo loro le domande giuste se si desiderano risposte altrettanto importanti, convincenti ed esaurienti.

Panacea di tutti i mali per le evacuazioni di massa è naturalmente la previsione dei terremoti! Problema certo affascinante, stimolante e interessante ma che tutta la comunità scientifica internazionale ritiene ancora lungi da una soluzione positiva anche parziale. L’affermazione “i terremoti non si possono prevedere!”, è la Verità della Scienza cristallizzata in un documento inequivocabile firmato da migliaia di ricercatori e scienziati (www.mi.ingv.it/open_letter/) scesi in campo da 100 Paesi di cinque continenti (www.mi.ingv.it/open_letter/archive.php) per far capire alla gente come stanno davvero le cose. La Natura consiglia di non prendere lucciole per lanterne sismiche o vulcaniche (per la cronaca, le polveri del Sahara sono altrettanto nefaste per i turboreattori degli aerei!). Queste firme dimostrano come la comunità scientifica internazionale, da sempre impegnata al  servizio della società per l’identificazione e la riduzione dei rischi naturali, sia unita nell’affermare l’impossibilità di prevedere un terremoto nel breve termine in Italia come in ogni altra parte del mondo. L’appello è stato già appoggiato dalla Società Sismologica Americana, da quella Canadese e dal Centro Sismologico Euro-Mediterraneo (www.emsc-csem.org/Doc/Laquila_indictment_EMSC_Support.pdf). Attenzione: discorso a parte meritano gli tsunami e le eruzioni vulcaniche, fenomeni assai diversi anche se a volte concatenati!

Ma non è incredibile che nell’era di Internet l’opinione pubblica (i giovani in particolare) sia attratta (sulla base dei contatti Google et similia) molto più dall’irrilevante disinformazione scientifica, dalla limitata e sterile discussione polemica sulla previsione dei terremoti, piuttosto che dai dati scientifici concreti prodotti dagli scienziati? Senza contare le scene mai filmate di politici ed amministratori locali che si arrovellano il cervello nell’interpretazione dei dati probabilistici (centesimali se non millesimali) acquisiti, per cercare di capire il “dove” e il “quando” colpirà il prossimo evento catastrofico in Abruzzo e nel mondo, politico più che naturale in Italia! La razionalità ci salverà dalle catastrofi.

Sul terremoto aquilano del 6 aprile 2009 (Mw=6.3; 309 morti) abbiamo chiesto il prezioso intervento del professor Alberto Pizzi della Facoltà di Scienze dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti-Pescara. In questa prima parte dell’intervista esclusiva speciale gentilmente concessa, emergono dati molto interessanti.

Professor Alberto Pizzi, quali risultati sono emersi dall’85mo Congresso Nazionale dei Geologi Italiani (SGI)? La faglia che ha scatenato il terremoto a L’Aquila il 6 aprile 2009 sarebbe stata quella tra le più pericolose presenti nella zona, detta di “Paganica”?

“Numerosi sono stati i ricercatori appartenenti a varie Università italiane, all’Ingv, al Cnr ed alla Protezione civile che hanno presentato a Pisa, nella sessione scientifica dedicata proprio alla Geologia del Terremoto, i principali risultati degli studi effettuati, e tuttora in corso, sul terremoto del 6 Aprile e sulla relativa evoluzione della crisi sismica. Da quanto emerso, esiste un accordo unanime sulla sorgente sismogenetica responsabile dell’evento del 6 aprile, riconosciuta dai geologi come la Faglia di Paganica. Sull’attivazione di questa struttura durante il terremoto del 6 aprile, convergono sia i risultati degli studi geologici basati sul rinvenimento delle rotture cosismiche del terreno sia quelli sismologici e geodetici (Gps, laser scanner, interferometria radar). Alcune minori discrepanze esistono solo relativamente alle stime di lunghezza con cui la Faglia di Paganica avrebbe rotto in superficie, che variano per i diversi Autori tra i 7 ed i 15 Km. Riguardo alla pericolosità della Faglia di Paganica, diversi studi paleosismologici eseguiti lungo trincee scavate attraverso la faglia (dati Ingv, Università di Chieti, Cnr, Dpc, ecc) indicano che tale struttura sarebbe responsabile di precedenti terremoti, anche in età storica, con magnitudo sia simile che superiore a quella del 2009. In particolare, secondo Galli, Giaccio e Messina (del Dpc e Cnr) la faglia di Paganica-San Demetrio, sismicamente attiva da circa 500mila anni, si sarebbe attivata anche durante il forte terremoto del 1703 insieme alle contigue faglie del Pettino e di M. Marine, producendo un evento di M=6.7, così come sarebbe accaduto anche per un altro terremoto datato all’801 d.C. In tale ipotesi vengono così valutati dei tempi di ricorrenza per la faglia di Paganica, la quale sarebbe responsabile di terremoti di magnitudo intorno a 6.3 ogni circa 500 anni (es., 1461, 2009) mentre ogni circa 900 anni darebbe luogo a terremoti più forti quando si attiverebbe in contemporanea con le faglie adiacenti del Pettino e di M. Marine, forse, che il peggio deve ancora venire?

“In altre parole, la valutazione della pericolosità sismica di una faglia non deriva solo dalla sua individuazione e dalla stima della sua potenzialità sismogenetica, ma anche dalla possibilità che questa faglia possa attivarsi in contemporanea con altre faglie adiacenti, producendo così dei terremoti di magnitudo più elevata. Questa conoscenza richiede di comprendere il comportamento che hanno avuto le faglie su tempi di migliaia o decine di migliaia di anni, cosa che è difficilmente acquisibile con le tecniche della sismologia e geodesia strumentale e della sismicità storica. E rappresenta pertanto uno dei principali obiettivi di studio per la geologia strutturale, la geomorfologia e la paleosismologia”.

In corrispondenza della faglia di Paganica gli studiosi avrebbero rilevato un affondamento del terreno di 25 cm da un lato con un corrispondente innalzamento del terreno al lato opposto.

“Sì, sia gli studi eseguiti con le reti Gps che, in particolare, i risultati delle analisi interferometriche di immagini radar satellitari hanno permesso di ricostruire un massimo sprofondamento del terreno di 15-30 cm ad ovest di Paganica (in corrispondenza circa del Fiume Aterno) ed un innalzamento di circa 4 cm per il settore a monte di Paganica, dove il passaggio netto tra la zona in sollevamento e quella in abbassamento è marcato proprio dall’affioramento in superficie della Faglia di Paganica”.
Quale è stata la causa dal sisma del 6 e del 7-9 aprile 2009?

“La causa dei sismi del 6-7-9 aprile 2009 è di origine tettonica ed è legata a forze che tendono ad allontanare il settore tirrenico da quello adriatico con velocità medie dell’ordine di qualche millimetro l’anno. Tale estensione viene accomodata, nella parte più superficiale e fragile della crosta terrestre (primi 10-15 Km dalla superficie), attraverso il movimento di blocchi rocciosi lunghi anche diverse decine di chilometri (le faglie). Tutta la dorsale appenninica, dalla Toscana alla Calabria è solcata da queste faglie, il cui movimento ricorrente è all’origine dei terremoti. In particolare, l’attivazione della faglia di Paganica è stata responsabile probabilmente anche dell’evento di magnitudo 5.6 del 7 aprile, mentre l’evento di magnitudo 5.4 del 9 aprile è ritenuto da diversi Autori collegato ad una limitata riattivazione della porzione più meridionale della faglia dei Monti della Laga; ciò sarebbe avvalorato dalla distribuzione delle numerose repliche registrate nei mesi successivi nell’area a sud-ovest del Lago di Campotosto”.

L’Appennino centrale – nella zona compresa tra Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo – si sposta con un tasso medio di circa uno-tre millimetri l’anno con un movimento orientato Nord Est-Sud Ovest. I risultati relativi alla dinamica della crosta terrestre nell’Italia centrale, sono stati conseguiti grazie a una fitta rete Gps realizzata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, consistente in alcune stazioni in monitoraggio continuo, integrate da altre 125 stazioni discontinue, distanti tra loro dai 3 ai 5 chilometri. La rete geodetica è in grado di rilevare con precisioni millimetriche i movimenti della crosta terrestre sia durante la fase intersismica (cioè nell’intervallo di tempo tra il verificarsi di due terremoti) sia durante la fase cosismica (cioè durante il terremoto stesso). Poiché tra il 1999 e il 2003, non si sono avuti importanti fenomeni  sismici sull’Appennino, la rete Gps avrebbe però messo in evidenza i movimenti crostali di origine non sismica, che avvengono a causa dei lenti movimenti delle placche terrestri. La molla abruzzese si sta ricaricando?

“Gli spostamenti intersismici come quelli cosismici (terremoto) sono in realtà due degli stadi di un processo unico e continuo noto come “ciclo sismico”. Per avere un’idea intuitiva di questo processo che agisce nella crosta terrestre a causa delle forze tettoniche possiamo immaginare un cubo di roccia posto su di un tavolo collegato a un’estremità di una molla la quale progressivamente tiriamo verso di noi tenendola per l’altra estremità. In una prima fase la molla si allungherà senza che il cubo di roccia però si muova; una volta superata la resistenza del cubo di roccia a scorrere sul tavolo, questo si muoverà avvicinandosi verso di noi; contemporaneamente, la molla viene scaricata (ritorna cioè alla sua lunghezza iniziale). Seguendo questo esperimento possiamo paragonare lo spostamento iniziale (della sola molla) a quello intersismico rilevato con tecniche satellitari (Gps, interferometria radar), mentre il successivo spostamento del cubo di roccia corrisponderebbe al momento in cui avviene l’attivazione della faglia e quindi all’evento sismico. La molla scaricata dopo il terremoto comincerà di nuovo a ricaricarsi sotto l’azione delle forze tettoniche, iniziando così un nuovo ciclo intersismico la cui durata stabilisce il tempo di ricorrenza tra due eventi sismici sulla faglia”.

La Valle Subequana è sotto osservazione: quali novità sono emerse? Il sottosuolo della Valle Subequana vi preoccupa come scienziati? Quali sono i risultati delle vostre ricerche?

“Nuovi studi condotti da ricercatori dell’Ingv in collaborazione con alcune università indicherebbero che la faglia della Valle Subequana è una struttura attiva e sismogenetica che avrebbe già prodotto almeno due importanti eventi sismici negli ultimi 10mila anni, di cui l’ultimo, datato ad un periodo di poco successivo a circa 2600 anni fa, avrebbe causato una dislocazione in superficie di 80 cm. In base a questi dati, ancora in fase di studio, è possibile che tale faglia possa essersi attivata nel passato insieme all’adiacente faglia della Media Valle dell’Aterno, posta subito a nord, producendo eventi di magnitudo 6.7-6.8”.
Parliamo del sistema di faglie che attraversano l’Appennino abruzzese: quali sono e dove sono collocate?

“Occorre chiarire che non tutte le faglie riportate nelle carte geologiche sono delle strutture attive e sismogenetiche. Esistono varie pubblicazioni scientifiche sia su riviste nazionali sia internazionali, che individuano le più probabili sorgenti sismogenetiche in Abruzzo. Tuttavia, per molte di queste faglie manca ancora una cartografia di elevato dettaglio, condivisa dalla Comunità scientifica, che permetta di individuare con precisione l’ubicazione, la lunghezza, la segmentazione, l’entità e la velocità dello spostamento, i tempi di ricorrenza e la magnitudo di terremoti preistorici. Questi parametri rappresentano una base essenziale per gli studi di valutazione della pericolosità sismica, ed è quindi necessario che ci sia un forte investimento in questo senso sia da parte dei ricercatori che da parte dello Stato, affinché si arrivi alla stesura di una “Carta delle faglie attive”, quale strumento da osservare nella pianificazione del territorio, sia per progettare le nuove costruzioni sia per orientare le priorità di intervento su strutture ed infrastrutture già edificate ed a maggior rischio sismico”.

Non pensa che l’Abruzzo meriti di far sua l’esperienza scientifica, didattica, sociale e culturale maturata dai californiani, dai giapponesi e dai neozelandesi che sanno convivere con il terremoto? Riusciremo mai a creare in Abruzzo una struttura di ricerca e divulgazione della cultura di Protezione civile all’avanguardia in Europa?

“Sono assolutamente convinto che l’Abruzzo non solo meriti ma abbia la necessità strategica e l’obbligo morale e scientifico di creare (o potenziare, dove già esistono) delle strutture di ricerca all’avanguardia sulla Geologia dei Terremoti, sulla pericolosità e la prevenzione dal rischio sismico. Purtroppo, come ben noto, i fondi per la ricerca in Italia sono tra i più bassi di tutti i Paesi avanzati e continuano ad essere tagliati di anno in anno. Credo che in questo campo la coscienza della società civile debba dare un forte impulso affinché ci sia un’inversione di tendenza della Politica, poiché penso che tutti o quasi tutti, siano ormai convinti che per i terremoti, come per molti altri malanni umani, la mossa vincente e più vantaggiosa sia prevenire piuttosto che curare i danni. Certamente anche la divulgazione ricopre un ruolo strategico per la nostra società e, a tal proposito, voglio rispondere con un’iniziativa concreta scaturita proprio qui in Abruzzo. La Società Geologica Italiana ha recentemente attivato una nuova Sezione dedicata alla Geologia Ambientale, con l’obiettivo di sviluppare un’attività di formazione culturale nonché un dibattito permanente intorno alle varie tematiche geologico-ambientali di particolare rilevanza sociale. Tale sezione fortemente voluta e realizzata grazie proprio ad un abruzzese, il teramano Dott. Geologo Leo Adamoli, ha già in programma quattro incontri pubblici in Abruzzo sui temi geologico-ambientali ritenuti di notevole rilevanza sociale per la Regione Abruzzo. In particolare, docenti, ricercatori ed esperti svolgeranno dei forum seminariali, con finalità informative e formative, rivolti ai vari Enti territoriali (sia Amministratori sia Tecnici), ai professionisti, ai giornalisti ed alla società civile in generale. Questi incontri verteranno sulle seguenti tematiche:1) Erosione costiera e strategie di intervento; 2)Deformazioni gravitative profonde di versante nella pianificazione del territorio; 3)Analisi della vulnerabilità e tutela delle risorse idriche sotterranee; 4) Pericolosità sismica e prevenzione”. Ecco il programma. Si comincia giovedì 4 novembre 2010 (ore 15–19) al Palazzo del Mare di Roseto degli Abruzzi (Te) con i due temi: Erosione costiera e strategie di intervento. Relatori: Leo Adamoli (Resp.le Sezione abruzzese di Geologia Ambientale della SGI) e Maurizio Rosa (Funzionario Geologo dei LL.PP. della Provincia di Teramo); I depositi sabbiosi nella piattaforma continentale del bacino adriatico. Relatori: Alessandro Remia, Anna Correggiari, A. Gallerani & Federica Foglini (Istituto di Scienze Marine del CNR – Sezione di Geologia Marina di Bologna). Martedì 16 novembre 2010 (ore 15–19) all’Hotel Miramonti dei Prati di Tivo in Pietracamela (Te), verrà affrontato il tema de Le Deformazioni Gravitative Profonde di Versante nella pianificazione del territorio. Relatore: Bernardino Gentili (Dipartimento di Scienze della Terra – Università di Camerino). Martedì 30 novembre 2010 (ore 15– 19) al “Centro delle Acque” di San Pietro in Isola del Gran Sasso (Te), si parlerà dell’Analisi della vulnerabilità e tutela delle risorse idriche sotterranee. Relatore: Sergio Rusi (Dipartimento di Geotecnologie – Università “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara). Martedì 14 dicembre 2010 (ore 15–19) ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Infn (aula E. Fermi) in Assergi (Aq) verrà discusso il tema della Pericolosità sismica e prevenzione. Relatori: Alberto Pizzi & Paolo Boncio (Dipartimento di Scienze della Terra – Università “G. d’Annunzio” Chieti-Pescara).

Nicola Facciolini

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