Settimana di gran cinema a L’Aquila

Sarà il dott. Walter Marola, apprezzato psicoterapeuta aquilano, ad introdurre, mercoledì prossimo all’Auditorium Sericchi della Carispaq, la prima punta di “Cinema e Psichiatria, serie di film fra L’Aquila, Avezzano e Sulmona, curata dall’Istituto Cinematografico Lanterna Magica, in collaborazione con Il Dipartimento di Igiene Mentale della AS01 e con l’Accademia dell’Immagine. Un monumento composto da Totò […]

Sarà il dott. Walter Marola, apprezzato psicoterapeuta aquilano, ad introdurre, mercoledì prossimo all’Auditorium Sericchi della Carispaq, la prima punta di “Cinema e Psichiatria, serie di film fra L’Aquila, Avezzano e Sulmona, curata dall’Istituto Cinematografico Lanterna Magica, in collaborazione con Il Dipartimento di Igiene Mentale della AS01 e con l’Accademia dell’Immagine. Un monumento composto da Totò e Aldo Fabrizi, che fa ridere e piangere e che svela Totò in panni da “neorealismo”, aprendolo alle successive e magiche esperienze pasoliniane. Esposito e Amilcare imbrogliano un turista americano con la solita patacca e vengono inutilmente inseguiti dal gabbato. I due partecipano in seguito ad una distribuzione di pacchi-dono americani, accompagnati da ragazzi che spacciano per loro figli, e vengono riconosciuti dal presidente del comitato di beneficenza americano, che è appunto il turista gabbato. Esposito scappa, ma viene arrestato dopo un lungo inseguimento dal sergente Bottoni, al quale fugge poi di mano, con uno stratagemma. In seguito alle proteste ufficiali dell’autorevole americano, Bottoni è sospeso dal servizio e perderà il posto se entro tre mesi non rintraccerà il truffatore. Il povero Bottoni nasconde l’accaduto alla propria famiglia, si mette in borghese e comincia la caccia. Scopre la casa di Esposito, ne avvicina la famiglia, fa in modo che suo figlio faccia amicizia col figlio del ladro. Finalmente Bottoni ha l’occasione di arrestare Esposito ma entrambi sono d’accordo nel nascondere la cosa alle rispettive famiglie. Esposito finge di partire per un viaggio, il sergente è riammesso in servizio e si occuperà della famiglia di Esposito, fino al giorno in cui questo potrà tornare dal suo viaggio. Anientato a Roma nel primo dopoguerra, fu girato nel 1951 da Monicelli ed è una storia a piena di umanità, in cui entrambi i protagonisti emergono per quei mostri sacri del cinema che sono e per la loro capacità evocativa di attori, dando vita ad una srtraordinaria commedia umana. Se il Neorealismo si era accostato con uno sguardo triste e problematico al mondo che rappresentava, qui la riflessione scaturisce invece nello spettatore dal contrasto tra commedia e sguardo amaro. Un grande film con grandi sceneggiatori (premiati con la Palma D’Oro a Cannes nel ’52): Fabrizi, Monicelli, Maccari, Steno, ma anche Ennio Flaiano e Vitaliano Brancati, appartiene al miglior realismo italiano di quegli anni, con una Capitale ci viene mostrata, lontana l dal centro storico e dagli sfarzi. Come meglio dirà il dott. Marola, commedia, ma anche no, soprattutto no. Si ride e s’impara, si ragiona. Invece il 2, martedì, inizio ore 18 al Movieplex, sarà Piercesare Stagni, insegnate della’Accademia della’Immagine, direttore artistico della “Lanterna Magica” e noto critico cinematografico, introdurrà l’ottavo appuntamento di Cinema d’Essai, con la proiezione de “La dolce vita”, superbo capolavoro di Federico Fellini, con scrittura di Ennio Flaiano e Pasolini non accreditato)uscito nel ’60 fra molte polemiche e Palma d’oro al 13º Festival di Cannes. Il personaggio di Marcello Rubini, giornalista bello e amato quanto invisibile e inetto, grazie a Mastroianni, resta una figura emblematica di viveur tragico e insoddisfatto: un intellettuale meschino che vive nella mondanità e sulle spalle di essa, tanto frustrato dall’imbastardimento delle proprie aspirazioni letterarie quanto indolentemente appagato dall’incapacità a opporvi resistenza. Fellini si serve di Mastroianni per stabilire una continuità fra una serie di episodi senza un preciso legame narrativo, se non quello, più stretto, che racconta l’involuzione del personaggio e quello, più ampio, che cerca di dipingere un affresco delle varie realtà socio-economiche di Roma. In fondo il film si sviluppa attorno ad un unico, significativo episodio, attorno a un’idea costante di apparizione-rappresentazione, all’interno di un paesaggio che si presenta vuoto e disabitato oppure caotico e sovraffollato. Continuamente sospese fra vitalità e senso di morte, sacro e profano, moralismo e trasgressione, le varie sequenze si costituiscono come altrettanti numeri di una messa in scena tenuta da manichini e faccendieri.

Carlo Di Stanislao

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *