Sarah Scazzi: quando padre e figlio si accusano, caso Peruzza

Il delitto di Sarah Scazzi e i ‘segreti’ che si nascondono dentro casa Misseri, con le accuse reciproche tra padre e figlia, ricordano per molti aspetti la vicenda della morte di Cristina Capoccitti, sette anni, avvenuto il 23 agosto del 1990 a Case Castella di Balsorano (L’Aquila), in Abruzzo. Anche lì, uno dei protagonisti principali […]

Il delitto di Sarah Scazzi e i ‘segreti’ che si nascondono dentro casa Misseri, con le accuse reciproche tra padre e figlia, ricordano per molti aspetti la vicenda della morte di Cristina Capoccitti, sette anni, avvenuto il 23 agosto del 1990 a Case Castella di Balsorano (L’Aquila), in Abruzzo. Anche lì, uno dei protagonisti principali della vicenda era lo zio, Michele anche lui, all’epoca muratore di 40 anni. La vittima, anche qui, la nipotina prediletta, legata con un forte vincolo al cuginetto Mauro, figlio di Michele, all’epoca tredicenne. Il corpo, seminudo, di Cristina Capoccitti, la cui scomparsa era stata denunciata la sera prima, fu trovato all’alba, nascosto tra i rovi poco fuori dal centro abitato. Le perizie chiarirono che la piccola era morta dissanguata dopo una caduta all’indietro che le aveva fatto battere il capo contro un masso. Le indagini portarono subito al cuginetto, con il quale era stata vista l’ultima volta allontanarsi quella sera. Mauro, al primo interrogatorio, si autoaccusò dell’accaduto, ammettendo di aver spintonato la ragazzina dopo il suo rifiuto ad un approccio sessuale. Qualche ora più tardi, però, cambiò versione puntando il dito contro il padre Michele. Il muratore, per anni, si proclamò innocente, senza mai accusare il ragazzo. Solo dopo la terza condanna, quella definitiva all’ergastolo, si decise a dire la sua verità, accusando il figlio ed asserendo di aver solo partecipato alle fasi di occultamento del cadavere. Solo nel giugno del 1998, un esame del Dna, ammesso nel corso di un processo satellite, stabilì che le tracce organiche rilevate sugli slip indossati dell’assassino, trovati nascosti sul tetto di casa Perruzza, in realtà con grande probabilità appartenevano a Mauro e non a zio Michele. Ma la Cassazione non autorizzò mai la revisione del processo per l’omicidio e Michele Perruzza morì di ictus nel carcere romano di Rebibbia il 22 gennaio 2003, portandosi per sempre con sé la verità su quel delitto.

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