Cadute nella diffidenza

Giornata pesante quella di ieri per Silvio Berlusconi, fischiato a Padova, contestato a L’Aquila e sotto per tre volte con il suo governo in parlamento. Prima l’aula ha votato, con il parere contrario del governo, un emendamento del Pd alla mozione di maggioranza. A quel punto la maggioranza ha deciso di ritirare il testo, ma Futuro […]

Giornata pesante quella di ieri per Silvio Berlusconi, fischiato a Padova, contestato a L’Aquila e sotto per tre volte con il suo governo in parlamento. Prima l’aula ha votato, con il parere contrario del governo, un emendamento del Pd alla mozione di maggioranza. A quel punto la maggioranza ha deciso di ritirare il testo, ma Futuro e Libertà ha fatto propria la mozione. Il testo è stato quindi approvato, contro il parere del governo. Poco prima però, l’aula aveva votato a favore anche di una mozione presentata dall’Udc, sempre in contrasto con l’orientamento dell’esecutivo. In tutte e tre le votazioni è stato determinante il voto di Futuro e Libertà, il gruppo guidato dal presidente della Camera Gianfranco Fini, per cui lo spiraglio intravisto ieri da Bossi, si restringe nettamente. Ma, intanto, l’iniziativa del capo leghisti evidenzia ancor di più la debolezza di Berlusconi e del suo esecutivo. Rosy Bindi e Dario Franceschini già parlano di maggioranza non solo politicamente, ma numericamente frantumata e Di Pietro chiama tutti a raccolta per la spallata finale.  “Ieri – racconta un leghista presente all’incontro con i sindaci veneti alla Prefettura di Padova a La Stampa – Berlusconi è apparso stanco. Durante la riunione sbadigliava in continuazione”. Fini ha fatto chiaramente capire che senza i suoi voti non si va da nessuna parte. E che cammina fianco a fianco a Casini verso un governo tecnico che potrebbe trovare i voti anche al Senato. Inoltre, in questi giorni, è arrivata sul tavolo del Cavaliere una nota di un parlamentare ben informato,  che riferisce di movimenti anche a Palazzo Madama. Berlusconi è molto preoccupato ed estremamente diffidente. Non crede alla possibilità di una crisi pilotata verso un Berlusconi-bis e dice ad i sui più prossimi: “Una volta aperta la crisi di governo non si sa come va a finire. Magari viene incaricato un altro al posto mio. Va bene allargare all’Udc, ma io non mi dimetto al buio”. Per lui ci vogliono garanzie scritte e circostanziate e non solo da parte di Fini, ma dello stesso Bossi. Questo dimostra quanto diffidente sia Berlusconi, anche verso il miglior alleato che potrebbe giocarsi la “carta Tremonti” con Fini e contro di lui.  E la sua diffidenza cresce non solo perché ha perso la capacità ipnotica verso il Paese ed è stato battuto per tre volte alla Camera, ma soprattutto tenendo conto di altri fatti, più importanti anche se meno ufficiali ed esposti. Come nota il Secolo XIX, prima del voto negativo di Montecitorio, è stato un susseguirsi di segnali allarmanti,  a cominciare dai conciliaboli maggioranza-opposizione in Transatlantico che, in genere, sono il preludio ai terremoti (argomento che ha amato fino al G8, ma che ora è indigesto al premier). L’episodio chiave è avvenuto per telefono tra Bersani e Fini ed i due avrebbero convenuto su una road map che porti, subito dopo la Finanziaria, ad un governo “tecnico” per la sola legge elettorale. Poi ci sono stati gli incontri pubblici: il ministro Calderoli è rimasto per venti minuti a colloquio proprio con Bersani ed il leader dell’Udc Casini,  in Transatlantico. Lo stesso leader centrista, qualche minuto dopo, si è appartato con il ministro dell’Economia, Tremonti, e con quello degli Affari Regionali, Fitto (i tre hanno decisamente smentito che si sia parlato di “puttanelle” come captato casualmente da un parlamentare di passaggio). Poi arrivata la conferma, da Palazzo Madama, dell’ennesima fuga dal Pdl del senatore Massidda, passato anch’egli con Fli. In questo quadro, domani Bossi incontrerà Fini. Tenterà di chiudere quella trattativa di cui si è, in realtà, auto incaricato: lunedì mattina, prima di recarsi all’appuntamento con Berlusconi, proprio il leader della Lega ha chiesto a Fini, per telefono, la disponibilità ad un incontro; ottenuto il “si” del presidente della Camera (con il conseguente “congelamento” del ritiro della delegazione dei finiani dal governo) si è poi presentato ad Arcore, mettendo sul tavolo questa opportunità che il premier, non troppo convinto, lo ha autorizzato a sondare. Ma, come detto, non si fida di nessuno e soprattutto del nemico Fini e dell’alleato altalenante Bossi, che potrebbero, invece, trovare un accordo per pensionarlo. Ciò che lo insospettisce ancor di più, è che proprio Bossi si proponga di mediare, proprio verso quel Presidente della Camera che aveva deciso di picconare il governo per contrastare lo strapotere dell’”asse del Nord”. In effetti, nella sua mente, prende forma l’idea che i più propendono per  un governo che porti alle elezioni anticipate, non presieduto da lui  e per cambiare sistema elettorale. Come scrive nella sua “Nota” di oggi il Corriere,  il tempo sta diventando un fattore chiave. I cultori di storia parlamentare ricordano che da molti anni, ormai, non si apre una crisi con la Finanziaria da approvare. Eppure, mentre Berlusconi e Bossi visitano fra le contestazioni il Veneto allagato e poi il premier va dai terremotati dell’Aquila, il governo cade tre volte, si sviluppano incontri trasversali fra parti di destra e di sinistra e cresce la sensazione di un esecutivo e forse di una legislatura,  al capolinea. Da ieri i finiani veicolano una bozza di riforma elettorale, la cui paternità viene attribuita all’infaticabile Bocchino, che nel frattempo lavora a convincere altri parlamentari ad abbandonare il Pdl. La bozza prevede di lavorare sul Porcellum, senza metterlo definitivamente da parte, e dunque senza andare in cerca di un sistema elettorale radicalmente nuovo, ma procedendo a due significative modifiche. La prima prevede che il premio di maggioranza, oggi attribuito al partito o alla coalizione che prende più voti (e dunque, in teoria, anche a chi ottenga poco più di un terzo dei voti, che potrebbe così aggiudicarsi il 55 per cento dei seggi della Camera), possa essere conquistato solo superando una soglia più alta, per esempio il 40%. La differenza è che con il sistema attuale Berlusconi, anche indebolito, ma con l’appoggio della Lega, avrebbe la vittoria assicurata; con la riforma, no. E questo acuisce i crucci e la diffidenza del Cavaliere.

Carlo Di Stanislao 

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