Ancora intrappolati

L’esplosione, probabilmente causata da una fuga di metano, si e’ verificata alle 16.30 locali del 18 scorso, le 4.30 del mattino in Italia, nella miniera di Pike River, sulla costa orientale dell’isola del sud, a 50 km dalla cittadina di Greymouth, in Nuova Zelanda. Poco prima dell’esplosione si era verificato un blackout di corrente.  Nella miniera, […]

L’esplosione, probabilmente causata da una fuga di metano, si e’ verificata alle 16.30 locali del 18 scorso, le 4.30 del mattino in Italia, nella miniera di Pike River, sulla costa orientale dell’isola del sud, a 50 km dalla cittadina di Greymouth, in Nuova Zelanda. Poco prima dell’esplosione si era verificato un blackout di corrente.  Nella miniera, si è appreso poco dopo, sono rimasti intrappolati 29 minatori, 16 dipendenti dell’azienda e 13 contractor, in gran parte neozelandesi ma anche australiani e britannici. Il piu’ giovane ha 17 anni, il piu’ anziano 62. Il timore di una nuova esplosione, o di un possibile crollo, ha rallentato la macchina dei soccorsi. E, come già visto per il Cile, come sempre accade in analoghi drammi senza supporto mediatico, le famiglie dei minatori si sono radunate davanti alla miniera e molti hanno partecipato a una preghiera collettiva nella chiesa cattolica di San Patrizio, a Greymouth, mentre altri in quella anglicana della Santissima Trinita’. La miniera di Pike River produce carbone di alto grado per la produzione di acciaio, specie per il mercato indiano, ed e’ situata sul versante opposto della catena di Paparoa, rispetto alla miniera di Strongman State, dove 19 minatori sono morti in un’esplosione nel 1968, l’episodio piu’ grave nella storia mineraria recente del Paese. Nessun contatto è stato finora stabilito con i minatori che si troverebbero a circa 120 metri di profondità nel sottosuolo. Di un’ora fa è la notizia che, passato il timore di nuove esplosioni, una squadra di soccorritori esperti è pronta a intervenire, speriamo con la stessa solerzia, professionalità e fortuna di quanto avvenuto a San Josè. E sempre dal Cile, si apprende (la notizia e del 17), che, un gruppo di 33 donne è sceso in fondo a una miniera in disuso del Cile minacciando uno sciopero della fame sottoterra per difendere il lavoro nelle zone colpite dal sisma e dallo tsunami di febbraio. Le donne, 33 come i minatori prigionieri per due mesi a San Josè, sono a 500 metri di profondità nel sito chiamato “Chiflon del diablo” (Spiffero del diavolo), una vecchia miniera di carbone dismessa negli anni Novanta e trasformata in sito turistico. Per cercare di attirare maggiormente l’attenzione sulla propria causa, il gruppo di donne, che afferma di rappresentare oltre 12mila abitanti del centro-sud del Paese, ha scelto il numero 33 ispirandosi ai 33 minatori rimasti bloccati nel fondo della miniera di San Josè per oltre due mesi. “Abbiamo provato anche in altri modi, ma il governo non ci ha ascoltato, costringendoci a queste azioni di forza”, ha spiegato la portavoce del gruppo, Brigida Lara. Il terremoto e lo tsunami del 27 febbraio in Cile hanno devastato parte delle città costiere del centro-sud del Paese, causando 521 morti e 56 dispersi, con danni stimati per circa 22 miliardi di euro. Forse dovremmo, in 99 (nostro numero magico-simbolico), escogitare anche noi qualcosa di eclatante, per richiamare l’attenzione sul nostro devastato ed ormai dimenticato territorio.

Carlo Di Stanislao

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