Alba Rossa il pericolo giallo di invasione cinese degli Stati Uniti America

Carri armati e truppe aviotrasportate cinesi invadono Washington D.C., New York, Detroit, Chicago e Los Angeles. Amara, improvvisa e sconvolgente sorpresa di un’alba rossa per gli americani. “Diamo il nostro caloroso benvenuto ai nuovi padroni, le formiche rosse!”. Non stiamo parlando né delle reazioni dei commercianti e degli industriali italiani all’impero imprenditoriale cinese ormai radicato […]

Carri armati e truppe aviotrasportate cinesi invadono Washington D.C., New York, Detroit, Chicago e Los Angeles. Amara, improvvisa e sconvolgente sorpresa di un’alba rossa per gli americani. “Diamo il nostro caloroso benvenuto ai nuovi padroni, le formiche rosse!”. Non stiamo parlando né delle reazioni dei commercianti e degli industriali italiani all’impero imprenditoriale cinese ormai radicato e strutturato sul territorio del Belpaese (assediata l’economia abruzzese, sono 150 le imprese del Dragone Rosso nella sola Val Vibrata in provincia di Teramo: dominano il settore manifatturiero e commerciale); né della famosa operazione militare Alba Rossa (Operation Red Dawn) che portò alla cattura di Saddam Hussein il 14 dicembre 2003. Stiamo parlando di una frase tratta dal nuovo film Alba Rossa (Red Dawn, Usa 2010, http://teaser-trailer.com/movie/red-dawn) di Dan Bradley appena uscito negli Stati Uniti (24 novembre 2010) che sta sollevando un autentico vespaio non solo tra le ambasciate delle due superpotenze, Cina e Stati Uniti. La pellicola invade i cinema degli States proprio nel bel mezzo della nuova crisi nordcoreana che rischia di far precipitare il mondo nella Terza Guerra Mondiale. Grazie a Dio è solo il remake del famoso film del regista John Milius (1984) che racconta la storia degli studenti di una scuola superiore americana uniti per difendere la loro cittadina dagli invasori comunisti nemici, soldati russi, cubani e nicaraguensi. Alba Rossa di John Milius (http://it.wikipedia.org/wiki/Alba_rossa_(film_1984) era già una grande pellicola visionaria e fantapolitica dove venivano esaltati i valori della “resistenza” giovanile americana. Il nuovo Red Dawn è ambientato a Detroit. Stavolta sono i cinesi ad invadere gli Usa, non i sovietici, sulle orme del ricco filone d’oro alimentato poi dallo sceneggiato Amerika (Usa 1987) la miniserie più discussa di tutti i tempi con Kris Kristofferson, una delle più note pellicole di propaganda anticomunista realizzate durante la Guerra Fredda. I tempi cambiano e i nemici mutano pelle. Ora sono i “gialli” a rapire la scena. Fatto sta che Alba Rossa sta suscitando una serie di piccoli ma pur sempre fastidiosi incidenti diplomatici. Nel film originale del 1984 un gruppo di studenti diventava da un giorno all’altro un movimento partigiano per combattere il nemico invasore sulle montagne del Colorado. Stranamente nel primo film i cinesi superstiti erano alleati degli Stati Uniti invasi dalle truppe sovietiche che avevano prima devastato il Celeste Impero a colpi di bombe all’idrogeno soffocando nel sangue la resistenza cinese! Oggi invece il remake racconta un’invasione orchestrata dalla Cina, il grande Dragone Rosso, spauracchio della superpotenza americana non più economicamente onnipotente come una volta, in un altrettanto improbabile futuro. Il film già prima di uscire non è affatto piaciuto in Estremo Oriente e i mass media cinesi continuano a criticare fortemente l’opera. Gli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001 e l’attacco improvviso all’America (come accadde il 7 dicembre 1941 con l’infame bombardamento giapponese di Pearl Harbour) temono sempre l’ennesimo improvviso scacco matto e, mentre l’Europa sogna la pace, vogliono ritornare su un tema caro ai film della Guerra Fredda per demonizzare gli spettri di futuri avversari economici e politici. Nessuno escluso. E in cima alla lista (oltre agli stati dichiaratamente canaglia) troviamo la Cina comunista, nonostante gli attuali positivi rapporti diplomatici, culturali e commerciali allontanino questi scenari da fine del mondo. Gli americani però con Red Dawn (o almeno il regista e il produttore) vogliono comunicare dichiaratamente non tanto l’ostilità alla Cina, quanto allo strapotere economico e finanziario di un impero che dal canto suo non ha certo la fama di essere una nazione liberale, dove ancora la censura impone i suoi diktat su quello che si può o si deve dire, scrivere, far vedere anche su Internet. Senza contare le dure condizioni di lavoro sovrumano cui sono sottoposti non solo i minatori che muoiono a migliaia ogni anno nelle viscere della terra. La nuova Alba Rossa ovviamente rischia di non passare solo la censura cinese e di non essere proiettata solo nelle sale cinematografiche della grande nazione. Perché si sa, oggi comanda la Cina anche in Europa. Ma questa non è l’unica preoccupazione. Nonostante gli accordi politici mondiali siano sempre più focalizzati sull’asse tra Usa e Cina, il popolo cinese rischia così di perdere fiducia e aumentare il grado di paura in quelli che ancora non sono percepiti come veri alleati (in Occidente gli Usa e l’Europa). Il bello è che la Cina è sì uno stato oppressivo ed illiberale, ma tecnicamente non lo si può più qualificare autenticamente “comunista” visto che nel Celeste Impero sono stati così scaltri da abbandonare il modello economico marxista-maoista, adattandosi ai tempi ed alle mode dell’economia di mercato. Il trattato sul commercio mondiale ha completato l’opera, aprendo alla Cina la conquista del mondo. Se i diritti sindacali cinesi sono uguali a zero (anche in Italia), se la casta burocratica di partito dei nuovi “mandarini” in madrepatria tiene in pugno l’economia del Dragone Rosso, è giusto aver timore delle possibili conseguenze di una frattura tra gli alti comandi militari e il vertice politico qualora le condizioni economiche dovessero precipitare. La moneta cinese è molto forte. Non si può imbrigliare la potenza di un drago a proprio piacimento. Uno scenario davvero catastrofico che sinceramente il nuovo film Alba Rossa (nel cast i protagonisti nel ruolo dei fratelli Eckert in fuga dalle autorità cinesi, sono Chris Hemsworth (già il capitano Kirk in Star Trek) e Josh Peck; tra gli altri volti noti, Jeffery Dean Morgan e Will Yun Lee) cerca di immaginare ed esorcizzare. La crisi economica mondiale (essenzialmente nella fiducia della parola data!) non aiuta. Ormai la Cina sta diventando la banca del mondo intero. I suoi prestiti sono essenziali e vitali non solo per l’economia americana ed europea. Se a questo aggiungiamo anche l’attacco informatico contro Google e altre società Internet americane in Cina, reso possibile grazie ad una falla di sicurezza di Internet Explorer, il browser di Microsoft nel gennaio 2010, il quadro si complica ulteriormente. La società di Redmond ammette in un suo blog che Explorer è stato uno dei vettori che ha consentito agli hacker di controllare i computers infettati. Dopo gli attacchi che hanno violato gli account di posta elettronica Gmail di molti utenti in Cina, in particolare di attivisti di diritti umani, Google ha minacciato di abbandonare il paese asiatico completamente. “Basandoci sulle nostre indagini, abbiamo determinato che Internet Explorer è stato uno dei vettori utilizzati in attacchi mirati e sofisticati contro Google e potenzialmente altri network – ha scritto Mike Reavey, capo della sicurezza di Microsoft in un blog dell’azienda. McAfee, la società che produce il noto software anti-virus, ha detto che gli attacchi a Google contengono un livello di sofisticatezza superiore alla norma e non sono tipici di hacker isolati.

Il sospetto di Google e di molti altri esperti, è che dietro l’incidente ci sia la mano di Pechino. Gli attacchi di gennaio 2010 avrebbero colpito almeno 30 società americane, tra cui anche Adobe. Il dipartimento di Stato americano ha protestato formalmente con il governo cinese in merito agli attacchi informatici subiti da Google in Cina. Gli Stati Uniti hanno chiesto spiegazioni a Pechino su come l’attacco sia potuto accadere e su come il governo intenda procedere. Google ha detto di non voler più censurare i risultati di ricerca Internet in Cina sui suoi siti e ha minacciato di abbandonare completamente il paese per gli attacchi hacker, che hanno violato gli account di posta elettronica Gmail di molti utenti, in particolare di attivisti di diritti umani. Dunque, lo scontro è già cominciato? Cosa c’è in gioco? Il controllo informatico e finanziario del pianeta. Se solo immaginiamo l’ammontare di danaro elettronico virtuale in circolazione nelle nostre carte di credito, capiamo bene cosa c’è in ballo. Le nuove regole della partita in atto, chi le scriverà? I cannoni nordcoreani sparano a salve per conto terzi? Il fatto è che la Cina sogna, dentro e fuori la Grande Muraglia, scenari da incubo per gli occidentali.

Le forze in campo sono spaventose. L’attuale potenziale militare (www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=3712) dell’esercito cinese, il più grande del mondo, viene valutano dagli analisti in circa 1,7 milioni di soldati effettivi con 14.580 carri armati di ultima generazione, 4mila mezzi per la fanteria e 25mila per la sola artiglieria. Ma sono cifre per difetto senza contare le preponderanti forze aereo-navali e il deterrente termonucleare. Un’opzione militare è sempre l’ultima spiaggia per la difesa degli interessi nazionali. La storia del Giappone docet. Ma la sensazione che suscita il best-seller “Il sogno della Cina” scritto da un colonnello dell’esercito che racconta come il Celeste Impero diventerà la più grande superpotenza mondiale dopo l’America e l’Europa (compresa la Russia) è in linea con lo spirito del film Alba Rossa. Prima economicamente e culturalmente poi, se occorre, la Cina userà la forza per difendere i propri interessi nazionali sulle orme dell’attuale Occidente (Onu e braccio armato Nato) che cerca di imporre al Dragone Rosso regole ambientali in grado di soffocare la spinta propulsiva economica cinese. E così le librerie di Pechino e delle maggiori città d’oriente, parlano una lingua che fa paura al resto del mondo. Il libro, scritto da Liu Mingfu, un colonnello dell’esercito popolare che insegna studi strategici all’Università militare, continua a vendere decine di migliaia di copie. Fatto strano per un manuale di strategia ad uso dei soli addetti ai lavori. Il sogno che il Dragone Rosso diventi presto la prima potenza mondiale, è già condiviso pacificamente da decine di milioni di lavoratori cinesi in tutto il mondo. Mai così taciturni e indaffarati come formiche per produrre ricchezza nazionale, mentre le cicale occidentali cantano strane armonie. E non ci sarebbe nulla di male: un esempio di nazionalismo cinese fondato sul lavoro e non sulla guerra. Al massimo si tratterebbe di sciovinismo, di grandeur asiatica, che da occidentali dovremmo solo rispettare facendo però bene attenzione a far rispettare le nostre regole costituzionali in vigore nelle moderne democrazie in fatto di mercato del lavoro e di diritti sindacali. Nel libro, tuttavia, uno dei maggiori strateghi del più grande esercito del mondo, pianifica ben altro. L’espansione economico-politica che altro non sarebbe che un’aperta sfida estrema all’Occidente, in primis agli Stati Uniti d’America, la più grande democrazia sulla Terra. Una sfida senza esclusioni di colpi che contempla anche l’opzione militare. E, vista e considerata la proverbiale pazienza trimillenaria dei cinesi in grado di programmare alla lunga qualsiasi cosa (anche la conquista dello spazio), il piano novantennale di Liu Mingfu prevede che servano almeno trent’anni per sviluppare in pieno il prodotto interno sino a renderlo maggiore di quello degli Stati Uniti. Altri trent’anni per sviluppare una forza militare e un’influenza culturale uguale o superiore a quella occidentale. E un altro trentennio per superare Stati Uniti ed Europa (sempre che l’euro-dollaro sopravviva!) come prodotto interno pro capite. Secondo Liu Mingfu l’opzione militare non deve essere esclusa perché “se anche la Cina diventasse capitalista come e più degli Stati Uniti d’America, Washington farebbe comunque di tutto per contenere la sua espansione”. Il timore del colonnello cinese è più che altro proiettato ai prossimi 20 anni, periodo nel quale gli statunitensi, secondo lo stratega, potrebbero essere più tentati di mettere un freno al carroccio del Dragone Rosso. Il libro è un chiaro ammonimento delle gerarchie militari al governo di Pechino che nel 2010 per la prima volta ha deciso di limitare la crescita del budget delle forze armate. Invece di dare il solito 10% in più, ha aumentato le risorse dei militari di un misero 7,5%. Una percentuale che sarebbe fantastica per qualsiasi stato maggiore occidentale. Non in Cina. Lo stratega precisa che anche se “la Cina ha bisogno sia di una crescita economica che di una crescita militare, la competizione con gli Usa non prenderà per forza la forma di un conflitto mondiale e forse nemmeno quella della Guerra Fredda. Non sarà come un duello a colpi di pistola o un match di boxe, sarà piuttosto come una gara di atletica o come una maratona che si protragga molto a lungo”. Una maratona che i nazionalisti cinesi convinti che “la Cina sarà la potenza egemone del XXI secolo”, preferiscono correre armati delle migliori tecnologie. Il Sogno della Cina è soltanto la punta dell’iceberg di un’ondata di scritti nazionalisti che in Europa e negli Usa sono ignorati perché non sono tradotti. Ci sono decine di saggi e pamphlet dai toni accesi verso l’Occidente e che invitano il governo a respingere qualsiasi intromissione nell’ambito dei diritti umani (Tibet) o a fare la voce grossa con chiunque aiuti Taiwan e la Corea del Sud. “Cina infelice” e “La Cina può dire no”, sono due libri a firma di Song Quiang e relativi coautori, uno degli scrittori più duri con le democrazie occidentali. E i cinesi leggono molto. “Cina infelice” pare abbia venduto 100mila copie in un solo mese. Numeri che non sembrano da capogiro nell’immensità del mercato editoriale del Celeste Impero. Ma è un fatto che il tema dell’orgoglio a mandorla tiri anche qui in Italia quando cerchi di fare breccia nella cultura popolare cinese sul nostro stesso territorio nazionale. Comunità chiuse e impenetrabili. E c’è chi parla di un destino manifesto che parte da Mao e arriva all’attuale dirigenza, che non si può svendere in cambio di finte libertà occidentali fautrici di vizi morali tra i giovanissimi. Tant’è che queste posizioni estreme creano imbarazzo anche al governo cinese che, in molti casi, ha tutto l’interesse ad assumere atteggiamenti più morbidi all’apparenza. Lo spauracchio che più spesso gli ultrà della Cina dura e pura agitano di fronte ai loro lettori, è quello di fare la fine dei giapponesi. Che negli anni Ottanta del XX Secolo sognavano di superare l’economia americana e ora si accontentano di essere riccamente secondi o terzi, crisi mondiale permettendo. Ad alcuni in Cina questo sembra un destino non soltanto atroce ma inconcepibile. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica comunista e la sconfitta politico-militare del Patto di Varsavia con la vittoria della Nato e dell’Occidente democratico e liberale in Europa, chi può invadere realmente con successo i cari e vecchi Stati Uniti d’America, se non la Cina con i suoi micidiali carri armati nucleari magari dopo un colossale black-out elettromagnetico? I satelliti nucleari in orbita e le guerre stellari sono solo fantascienza? La differenza dal sogno originale del colonnello, potrebbe però essere non tanto il nemico, quanto la natura della strategia oggi raccontata nel nuovo film Alba Rossa. “Siamo qui per essere d’aiuto!”. Niente di più vero dopo una crisi economico-finanziaria senza precedenti nel XXI Secolo. Perché questa sarebbe la giustificazione ufficiale della macchina di propaganda cinese dopo l’invasione degli Stati Uniti per riportare ordine e sicurezza in una società dilaniata dalla guerra civile e dalla povertà. Solo fantapolitica del XXI Secolo? “La vostra libertà era una bugia”, “Riparare la vostra economia” e “Combattere la corruzione corporativa”, sono queste le frasi che si trovano affisse nelle strade americane controllate da un esercito che ha attraversato l’Oceano Pacifico, per la prima volta dopo i Nativi Americani, diecimila anni fa. Guarda caso di origine asiatica, pure loro. E’ la profezia dei Nativi Americani che si avvera in Alba Rossa? Se ventisei anni fa erano i sovietici a essersi “sacrificati” per il bene della società americana, adesso sono i cinesi a vestire i panni del “buon samaritano” e organizzarsi per il bene comune. Perché l’Europa non aiuterà gli Stati Uniti. Il nuovo film di Dan Bradley promette scintille tra le diplomazie e i cinema di mezzo mondo. Nel classico stile hollywoodiano il film non lesina azione ed esplosioni. Anche in questo caso, come nella pellicola di Milius del 1984, per opporsi agli invasori i ragazzi formeranno un gruppo clandestino di resistenza chiamato Wolverines. La principale differenza tra l’originale e il remake, è lo scenario diverso delle condizioni politiche reali nel periodo di produzione. Se nel 1984 eravamo ancora in piena Guerra Fredda e il “paradiso socialista” dell’Urss era l’avversario da contrastare sia ideologicamente sia militarmente, adesso la Cina è più inquadrabile come un rivale economico proiettato alla conquista dello spazio dove tutto diventa possibile. Chi conquista i cieli, domina il mondo. Se il film di Milius era stato indicato come fortemente patriottico, forse uno degli ultimi esempi di cinematografia e narrativa in grado di affrontare il pericolo comunista e il tema della “resistenza americana”, qui siamo di fronte a una più tradizionale dimensione di storia alternativa (universo parallelo di antimateria?) che lascia sullo sfondo la politica e predilige l’azione dei giovani americani. Il “pericolo giallo” si materializza sul grande schermo con spettacolare efficacia drammatica. Ma è solo l’inizio dell’invasione.

Nicola Facciolini

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