Al via Agu Fall Meeting di San Francisco per far luce sulla Natura

Al via l’American Geophysical Union Fall Meeting 2010 (www.agu.org/meetings/) al Moscone Convention Center di San Francisco (California, Usa), il prestigioso congresso internazionale delle scienze della Terra. Che a 21 mesi dal disastroso sisma di L’Aquila (Mw=6.3; 309 morti) cercherà di far capire cosa sono i terremoti, le eruzioni vulcaniche (nel trentennale dell’esplosione del monte Sant’Elena, […]

Al via l’American Geophysical Union Fall Meeting 2010 (www.agu.org/meetings/) al Moscone Convention Center di San Francisco (California, Usa), il prestigioso congresso internazionale delle scienze della Terra. Che a 21 mesi dal disastroso sisma di L’Aquila (Mw=6.3; 309 morti) cercherà di far capire cosa sono i terremoti, le eruzioni vulcaniche (nel trentennale dell’esplosione del monte Sant’Elena, ore 8:32 del 18 maggio 1980) e tutte le altre manifestazioni della Natura. Compresi gli impatti cosmici di asteroidi e comete che possono essere previsti in largo anticipo se i nostri Osservatori astronomici fanno il loro dovere. In che stato versa la regione meridionale della California che scorso 4 aprile 2010, al confine con il Messico, ha registrato il più forte terremoto (Mw=7.2) da 120 anni? Preannuncia il Big One? Questi eventi possono essere meglio compresi alla luce dei modelli matematici caratteristici usati per studiare il terremoto di L’Aquila? Da lunedì 13 dicembre a venerdì 17 dicembre 2010 (www.nasa.gov/topics/earth/agu/nasa-agu-briefings.html) per chiarire questi ed altri quesiti altrettanto interessanti, si danno convegno negli Stati Uniti 16mila ricercatori di tutto il mondo. Presentano i loro lavori in 770 sezioni scientifiche per illustrare lo stato dell’arte su cambiamenti climatici, meteo spaziale (interazione Sole-Terra), planetologia, sismologia, vulcanismo, campo magnetico terrestre, oceani, esplorazione spaziale, e molto altro ancora. Partecipa anche l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (www.ingv.it) con il dr. Warner Marzocchi (scienziato invitato all’Agu) che presenterà due lavori: uno sul terremoto “caratteristico”, cioè su cosa nei terremoti è veramente ricorrente (magnitudo, tempo e così via) oppure no. Lo studio è importantissimo per i “forecast”; e l’altro sulle statistiche dei “foreshock” prima dei grandi terremoti in Italia e California, di cui abbiamo già parlato diffusamente. Uno studio utile ad esempio (solo uno tra i molti illustrati) per rispondere alla domanda focale: la sismicità osservata prima del terremoto di L’Aquila era anomala rispetto ai modelli probabilistici che conosciamo, oppure no? “No” secondo Warner Marzocchi che annuncia in esclusiva la pubblicazione del nuovo Report della Commissione internazionale dei geoscienziati sul terremoto aquilano del 6 aprile 2009 (Mw= 6.3; 309 morti; la capitale d’Abruzzo distrutta) e sullo stato delle attuali conoscenze in materia. Se gli scienziati parlano il linguaggio della chiarezza matematica, bisogna cercare di capirli. La loro cautela ad aprirsi al linguaggio “volgare” (non matematico) dei media, è dovuta al fatto che spesso i giornalisti (ed alcuni politici) non sono interessati a capire la natura del fenomeno sismico e vulcanico (e di tutte le altre manifestazioni cosmiche della Natura) ma a fare titoloni ad effetto. E poi spesso argomenti scientifici non possono essere presi subito come oro colato per l’utilizzo nella vita pratica, ma occorre che ci sia una certa accettazione da parte della comunità scientifica. Quindi, i tempi della scienza, dell’informazione, della politica e della protezione civile, possono non coincidere. Non solo. Il dramma è il tempo a disposizione dei singoli operatori. Non si leggono i report e le relazioni scientifiche, neppure quando vengono pubblicati a chiare lettere. E la distinzione tra cosa è ancora in fase di studio e cosa invece è ampiamente riconosciuto, non è spesso ben compresa non solo dai giornalisti. Quindi, la verità è sempre nel mezzo. L’Ingv continua ad avvisare il Dipartimento di Protezione Civile in tempo reale, su tutto ciò che accade sulla Terra. Anche sulle “previsioni” scientificamente non attendibili, quasi mai pubblicate da alcuni media in tempo reale con altrettanta attenzione, continenza e parsimonia (http://portale.ingv.it/stampa-e-comunicazione/comunicati-stampa).

A 21 mesi dal disastroso terremoto di L’Aquila, come previsto dal primo report internazionale stilato a L’Aquila dai geoscienziati (ricordate le prime 13 Raccomandazioni?), si è capito che per salvare vite umane prima delle tragedie, occorre conoscere il nemico: l’ignoranza, è la prima bestia Grendel da sconfiggere, non solo il terremoto. “Sarebbe bello avere un metodo per prevedere i terremoti!”, fa notare Marzocchi. “È stato dimostrato da molti studi internazionali che la previsione dei terremoti ancora non è possibile. Gli ipotetici terremoti finora previsti interessano quasi sempre zone estremamente ampie in un arco temporale piuttosto lungo: è ovvio che, continuando a fare previsioni di questo tipo su zone che sono effettivamente sismiche, prima o poi è possibile – spiega Marzocchi – che qualche previsione ci azzecchi. In tal caso però, ciò non dimostrerebbe che le previsioni hanno un significato. È come prevedere sempre pioggia per il giorno dopo, indipendentemente dai dati meteo: qualche volta effettivamente piove! I terremoti non si possono prevedere. Questo non significa che non si possa o non si debba fare niente. L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia con i mezzi più moderni e decine di ricercatori, studia e osserva il territorio italiano per poterlo conoscere e lavorare al servizio della popolazione e delle istituzioni che devono provvedere alla protezione ed alla messa a punto di piani in caso di emergenza. Le sue stazioni di monitoraggio e i suoi esperti, che tengono sotto controllo ogni punto del territorio italiano, sono operativi 24 ore su 24 tutti i giorni dell’anno. I progetti di ricerca svolti a livello internazionale sotto il controllo della comunità scientifica in un clima di apertura e confronto, producono ogni anno maggiore conoscenza, che si va ad aggiungere ai dati che raccontano la storia dell’Italia sismica da centinaia di anni e che va ad aumentare le nostre possibilità di comprendere questi eventi naturali e proteggerci dai loro effetti devastanti”.

La situazione sismica italiana è nota (www.youtube.com/INGVterremoti#p/u/0/mYVu2HDZB88). Anche il ricordo del terremoto dell’Irpinia di 30 anni fa è ancora forte nel mondo della scienza.

Alla Vigilia del Santo Natale 2010 la terra continua a tremare in Italia e nel mondo (www.emsc-csem.org) e l’occhio è sconcertato alla vista di una città come L’Aquila diventata un cumulo di macerie, parafrasando Robert Mallet (1862). La città capoluogo della Regione Abruzzo (se il Big One fosse accaduto in California, è come se fosse venuta giù la capitale Sacramento) non c’è più, bisogna ricostruirla daccapo per tornarci a vivere. Se gli amici californiani sono già pronti al peggio, noi prima di quella tragica notte tra il 5 e il 6 aprile 2006 abbiamo dimostrato al mondo l’esatto contrario. Salvo poi caratterizzare la nostra bravura nei soccorsi e, speriamo, nella delicata fase della ricostruzione e del decollo della nuova e più bella città di L’Aquila. Cosa dobbiamo più temere: le forze della Natura o la natura dell’Homo Sapiens Sapiens? La nostra ricerca della verità sul più “aspettato” evento sismico di inizio XXI Secolo, ci ha spinti a sviscerare ed illustrare lo stato delle conoscenze finora acquisite sull’evento sismico aquilano, anche alla luce del nuovo Report (con altrettante Raccomandazioni) e dei risultati che verranno fuori dall’Agu Fall Meeting 2010. La cui sessione sul terremoto di L’Aquila è molto interessante.

L’Appennino centrale, nella zona compresa tra Lazio, Umbria, Marche e Abruzzo, presenta un movimento estensionale con un tasso medio di circa uno-tre millimetri l’anno in direzione perpendicolare all’asse della catena montuosa, cioè orientata NordEst-SudOvest. I risultati relativi alla dinamica della crosta terrestre nell’Italia centrale, sono stati conseguiti grazie a una fitta rete Gps realizzata negli anni precedenti dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, consistente in alcune stazioni in monitoraggio continuo, integrate da altre 125 stazioni discontinue, distanti tra loro dai 3 ai 5 chilometri. La rete geodetica è in grado di rilevare con precisioni millimetriche i movimenti della crosta terrestre sia durante la fase intersismica (cioè nell’intervallo di tempo tra il verificarsi di due terremoti) sia durante la fase cosismica (cioè durante il terremoto stesso). Poiché tra il 1999 e il 2008, non si sono avuti importanti fenomeni  sismici sull’Appennino: la rete Gps ha messo in evidenza i movimenti crostali di origine non sismica, che avvengono a causa dei lenti movimenti delle placche terrestri. Tra il 1999 e il 2008 la rete GPS nell’Appennino ha mostrato l’esistenza di una deformazione continua della catena con moto estensionale orientato sudovest-nordest rispetto al suo asse. Durante questo periodo la deformazione è avvenuta in assenza di terremoti. Ciò significa che questa è stata elastica e asismica fino ai terremoti del 6 aprile che hanno causato un’improvvisa estensione dell’Appennino attraverso la conca aquilana, che si è poi propagata verso tutto l’Appennino centrale, dall’Adriatico al Tirreno. Durante l’American Geophysical Union AD 2009 (cioè dello scorso anno), furono mostrati dati di satelliti che rilevano la temperatura al suolo. Questi hanno individuato un aumento della temperatura nella zona dell’Aquila nei giorni vicini al terremoto. Si deve però ancora comprendere il significato fisico di questa osservazione. Le faglie dell’Appennino non si possono considerare “grandi” in termini assoluti, perché sono lunghe al massimo qualche decina di km. Le faglie che si possono definire “grandi” sono ad esempio quella di San Andreas in California, lunga circa 1000 km o per rimanere in nell’ambito del Mediterraneo, quella Nord Anatolica, in Turchia. Ciò ovviamente non significa che le faglie appenniniche non siano pericolose, anche perché sono spesso localizzate presso zone abitate, come per l’appunto a L’Aquila. Durante il terremoto aquilano la superficie del suolo, quella dove noi camminiamo, si è abbassata di circa 25 cm nella valle di L’Aquila ed alzata di circa 3 cm sul suo versante orientale. Le scoperte importanti sono state numerose perché ogni terremoto porta sempre a nuovi avanzamenti scientifici. Tra le più significative ci sono quelle che provengono dalla rete GPS dell’Ingv e dai dati satellitari SAR. Queste riguardano la misura molto precisa delle deformazioni del suolo e l’individuazione delle faglie che hanno causato i terremoti della sequenza sismica. In particolare di quelle di Paganica e di Campotosto (Monti della Laga). Grazie a questo tipo di dati, oggi se ne conoscono le dimensioni, quanto si sono mosse in profondità e in superficie durante e dopo le scosse principali. Altri dati importanti sono quelli ottenuti dal professor Luca Crescentini con gli interferometri posti al di sotto del Gran Sasso (Laboratorio Infn) che hanno osservato anomalie prima e dopo l’evento sismico. Ovviamente anche i dati sismici sono stati fondamentali e indicano le orientazioni e le estensioni dei piani di faglia in profondità, grazie alle localizzazioni molto precise degli ipocentri dei terremoti fornite dalla rete sismica dell’Ingv. Un’approfondita analisi dei dati sismometrici ha anche osservato variazioni di velocità delle onde sismiche P ed S nei giorni vicini a quelli del terremoto. Si tratta di un’osservazione molto interessante. Sono stati poi avviati vari studi. Alcuni di questi stanno portando a nuove conoscenze sulla storia sismica di quest’area. La distribuzione delle repliche ha seguito l’andamento delle faglie che si sono attivate. I terremoti si allineano prevalentemente in direzione nord ovest – sud est e in parte nord-sud. Più che di “migrazione sismica”, gli scienziati parlano di una sismicità che si è distribuita sulle strutture tettoniche note nelle zone vicine a L’Aquila, come ad esempio quella dei Monti Reatini. La sismicità storica e la paleosismologia della regione, indicano che in passato possono essersi verificati eventi sismici di Magnitudo circa 7, quindi più forti di quelli del 6 aprile 2009. La sequenza aquilana, è iniziata dapprima con pochi terremoti che hanno assunto poi un carattere di sciame sismico. Dopo alcuni mesi si sono raggiunti i picchi di magnitudo 6.3. Si può stimare che la scossa del 6 aprile abbia aumentato lo stress nelle aree circostanti, che comprende anche altre faglie. Il terremoto del 6 aprile si può definire come aspettato ma non prevedibile (cioè la scienza non è in grado di poter indicare luogo, giorno, ora e magnitudo di un terremoto). A questo terremoto sono stati dedicati diverse giornate congressuali. La prima è stata fatta a Roma a poca distanza del terremoto, all’Ingv, poi a Chieti, Trieste e San Francisco, nell’ambito del prestigioso congresso dell’American Geophysical Union AD 2009. In quest’ultima sede c’è stata una grande partecipazione di ricercatori italiani e stranieri e sono state presentati numerosi studi che mostrano che per questo terremoto la qualità dei dati acquisiti e il livello delle conoscenze scientifiche al momento raggiunto è senza precedenti per l’area italiana e decisamente all’avanguardia in campo internazionale. I maggiori danni causati dal sisma sono imputabili alla bassa qualità costruttiva degli immobili, complicati da una geologia di superficie che in certe aree ha prodotto un’amplificazione delle onde sismiche e dei loro effetti superficiali. Il terremoto del 6 aprile non poteva essere previsto. Tuttavia, sulla base delle attuali conoscenze, la zona di L’Aquila era da tempo indicata come tra quelle a maggiore rischio sismico. Il dr. Warner Marzocchi insieme ad altri ricercatori dell’Ingv hanno realizzato dei modelli di previsione probabilistica durante la sequenza che si sono rivelati molto interessanti e che potranno rivelarsi utili in futuro.

Le stime di ricorrenza dei terremoti dipendono principalmente dalla completezza dei cataloghi sismici. Per quello che sappiamo, negli ultimi 500 anni circa, la zona ha subito i più forti terremoti nel 1349, 1461, 1703 e infine nel 2009, cioè a distanza di circa 250-300 anni l’uno dall’altro, ma intervallati da terremoti minori. Tentativi di stima di ricorrenza per periodi più lunghi si possono effettuare su altri tipi di dati come quelli paleosismologici. Ultimamente sono state tentate stime anche attraverso i dati geodetici: a partire dalla deformazione osservata in superficie nell’Appennino negli anni precedenti il terremoto e da quella che si è prodotta il 6 aprile, è stata stimata una ricorrenza di circa 100-150 anni per terremoti di Magnitudo circa 6. Su basi statistiche la zona di L’Aquila era indicata da anni tra quelle più probabili di accadimento di un terremoto.

Al momento non esiste però un Catalogo delle Faglie così completo da elencarle tutte. Quelle conosciute sono collocate principalmente nelle formazioni calcaree dell’Appennino. L’Italia tuttavia, mostra faglie praticamente ovunque. Una parte è affiorante e si vede in superficie, un’altra invece è sepolta. Una parte di queste ultime si possono individuare indirettamente grazie ai terremoti o ad esplorazioni geofisiche. Molte altre non sono ancora conosciute. Al momento la scienza non può calcolare per ognuna di esse la probabilità di produrre eventi sismici. Anche se la letteratura scientifica riporta di osservazioni avvenute in più occasioni di aumento di radon in periodi vicini ai terremoti, non esiste ancora una chiara correlazione spaziale e temporale tra emissione di radon ed eventi sismici. Anche perché, secondo la comunità scientifica internazionale, “mancano studi sistematici con dati utili per essere analizzati con metodi statistici”. In Italia le faglie note, responsabili di terremoti di superiori a circa Magnitudo 7, sono quella dello Stretto di Messina e del Fucino. Per altre, a parte quella dell’Irpinia, si possono fare ipotesi su base non strumentale. Le faglie si studiano su base strumentale e geologica, anche con l’integrazione di informazioni di sismicità storica. Tra le varie tecniche utilizzate, negli ultimi anni si studiano anche con le reti GPS e i dati di telerilevamento da satellite. L’Ingv è impegnato in molti progetti di ricerca nazionali e internazionali che usano queste tecniche, anche integrate con altri tipi di dati.

I recenti risultati di questi studi hanno portato a nuove scoperte e ad avanzamenti significativi nella conoscenza delle caratteristiche di strutture tettoniche, non solo per l’area italiana. La cultura scientifica, purtroppo, è ancora molto carente nella nostra società anche perché nella scuola italiana viene ancora vista come una materia difficile e astratta. In realtà si è visto che i ragazzi sono molto interessati ed affascinati dalla scienza quando questa viene spiegata attraverso esempi pratici e quotidiani, con esperimenti e simulazioni. La sua presentazione in modo piacevole e divertente riscuote successo quando riesce a raccontare in modo semplice concetti difficili e invoglia così a catturare nuovi scienziati di cui abbiamo molto bisogno nel nostro Paese. È giunta l’ora che la Politica se ne faccia una ragione. Non si può più giustificare il detto secondo cui “la scienza non tira!” quindi “lasciamo perdere”. Cioè, non porta voti, acqua al mulino del consenso elettorale, quindi “riduciamo gli investimenti alla ricerca”. Ora, basta! Siamo persone che rischiano di morire sotto le macerie in ogni istante. Non siamo soltanto un corpo elettorale da spremere quando serve! Gli scienziati oggi continuano a correre un brutto quarto d’ora sebbene oggi, ad esempio, gli audiovisivi e le mostre contribuiscano molto alla diffusione della scienza. L’Ingv si impegna da anni in questo settore di disseminazione scientifica verso la società ospitando scuole, realizzando spazi museali e producendo materiale divulgativo. Oltre a questo è però fondamentale il ruolo che devono svolgere i mass media, stimolando l’attenzione del pubblico e raccontando la scienza in modo rigoroso e comprensibile. Ma, soprattutto, di insegnare che si può convivere con i fenomeni naturali se impariamo a conoscerli. Qui poi si pone un problema fondamentale. Purtroppo la ricerca in Italia, come tristemente noto, non è adeguatamente supportata e le risorse dedicate sono sempre molto scarse. Se i nostri governi non aumenteranno l’attenzione su questo settore, investendo in ricerca pubblica e coinvolgendo direttamente i privati. Come sanno fare molto bene alla Apple: con i loro ricavi dai prodotti tecnologici investono nella ricerca che è alla base dello sviluppo dei paesi civilizzati. Altrimenti le cose non potranno che peggiorare. Gli altri Paesi che faranno investimenti adeguati saranno sempre più avanzati, mentre l’Italia rimarrà sempre più indietro, con conseguenze gravi per la nostra società ed economia. L’Ingv ha prodotto dati fondamentali per la realizzazione della classificazione sismica del territorio nazionale. Questa fornisce informazioni fondamentali per la pianificazione territoriale. Gli scienziati di tutto il mondo che studiano i terremoti lavorano anche con la speranza di riuscire un giorno ad essere capaci di scoprire la chiave di lettura di segnali geofisici utili per fare previsioni sismiche. Al momento siamo ancora lontani da questo obiettivo. Anche se in Giappone sono stati fatti i migliori avanzamenti. Tuttavia la sempre maggiore capacità di rivelare segnali fisici in aree sismiche (e vulcaniche) grazie alla continua evoluzione e sviluppo di sensori terrestri e satellitari, in futuro potrà farci avvicinare a questo obiettivo ambizioso. Nel frattempo è fondamentale fare opera di prevenzione al pari di quei Paesi come Giappone, Nuova Zelanda e California, che sono i più avanzati in questo campo. L’Antenna sismica sotterranea del Gran Sasso UnderSeis (UNDERground SEISmic array) e l’interferometro laser Gigs, in grado di monitorare la radiazione sismica con elevata sensibilità, possono contribuire a queste ricerche: i dati prodotti da questi strumenti sono importanti e devono essere ulteriormente studiati. Il terremoto di L’Aquila ci ha insegnato molte cose sia sotto l’aspetto scientifico che sociale. Auguriamoci non soltanto un Buon Natale e un Felice Anno Nuovo. Ma che la classe politica sia sensibilizzata ai vari problemi che ci ha posto questo terremoto, anche per rispetto verso le vittime di questo e di tutti i disastri naturali passati, presenti e futuri. Non abbiamo bisogno di favole, ma di scienza.

Nicola Facciolini

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