Autobomba ed attacchi suicidi

Il terrorismo islamico arriva nel cuore della tollerante Svezia. È quasi certamente di matrice islamica, infatti,  l’attentato costituito da due autobomba nel centro della capitale svedese, che solo per un colpo di fortuna ha causato un solo morto (lo stesso kamikaze) e due feriti,  invece che la strage che si prefiggeva. Unica rivendicazione, per ora, […]

Il terrorismo islamico arriva nel cuore della tollerante Svezia. È quasi certamente di matrice islamica, infatti,  l’attentato costituito da due autobomba nel centro della capitale svedese, che solo per un colpo di fortuna ha causato un solo morto (lo stesso kamikaze) e due feriti,  invece che la strage che si prefiggeva. Unica rivendicazione, per ora, il messaggio in svedese e arabo giunto all’agenzia di stampa TT che intende punire la Svezia ancora per la vecchia storia delle vignette satiriche da cui il governo non ha mai preso la distanza e la presenza dell’esercito in Afghanistan. L’attentato, avvenuto ieri sera nel cuore di Stoccolma, in una delle principali vie commerciali delle città, per il ministro degli Esteri svedese Carl Bildt  avrebbe potuto fare una strage. Le due esplosioni sono state quasi simultanee, a distanza di 200 metri. Unica vittima lo stesso attentatore suicida, un giovane di 29 anni,  iracheno ma con la cittadinanza svedese, sposato e con figli e descritto, da conoscenti ed amici, sempre più arrabbiato. L’attentatore è descritto con mussulmano molto osservante, che non beveva né fumava, con due figli di tre ed un anno ed un figlio, maschio, in arrivo. Laureato in Inghilterra, trasferitosi in Svezia nel 1992,  Taimour Abdulwahab al-Abdaly, questo il suo nome,parlava arabo, inglese e svedese ed era, secondo gli amici, un bravo compagno, un buon giocatore di basket, un ragazzo allegro, che però,  negli ultimi anni,  era diventato sempre più scontroso e arrabbiato. Su Facebook, nei mesi aveva cominciato a postare sempre più spesso filmati molto espliciti di violenza e sopraffazione contro musulmani; in uno, un iracheno bendato viene sbeffeggiato dai soldati americani. Altri sono parte di una serie, “i crimini russi in Cecenia”. Poco prima di morire ha spedito una email che avvertiva dell’esplosione, e che conteneva anche un messaggio alla famiglia: “Non sono andato in Medio oriente per lavoro, ci sono andato per la jihad”. Chiede scusa alla famiglia e chiede alla moglie di baciare i bambini per lui: “Digli loro che papà gli vuole bene”. Sempre ieri, ma in Afganistan, in uno degli episodi più sanguinosi per l’Alleanza atlantica, sono rimasti uccisi almeno sei militari a guida Nato, da un’autobomba talebana all’ingresso di una base statunitense nella provincia di Kandahar, nel sud del Paese. L’attentato ha causato anche sette feriti e non si esclude che il numero di soldati americani uccisi possa crescere. Per trovare un giorno altrettanto nero per la Nato bisogna risalire al maggio scorso, quando sei militari rimasero vittima di un attentato suicida a Kabul. Dalla’inizio della’anno sono 689 gli occidentali uccisi in Afganistan. Non c’è pace neanche in Iraq, dove, il 4 dicembre, una serie di attentati con autobomba a colpito pellegrini sciiti, per lo più iraniani, uccidendo una dozzina di persone a Baghdad e ferendone oltre 80 e domenica, nei pressi della sede del governatorato a Ramadi, un’altra autobomba ha causato otto morti, tra cui sei poliziotti e, quasi contemporaneamente, un altro attentato suicida, ha causato la morte di due sciiti e il ferimento di altre tre a Baquba, una sessantina di chilometri a nord-est della capitale. In quest’ultimo caso l’attentatore si è fatto esplodere in mezzo ad una processione che si svolge nei giorni che precedono la festività islamica dell’Ashura,  che culmina nella grande cerimonia prevista per venerdì. Come notano alcuni, viviamo ormai in un clima di iperterrorismo, un tipo di terrorismo globale in quanto non colpisce un singolo territorio ma minaccia il mondo intero attaccando ovunque e in qualsiasi momento ed è in questo caso religioso perché è di matrice islamica). Obiettivi e vittime includono sia musulmani che non musulmani. I musulmani sono normalmente minacciati con un takfir (condanna di “miscredenza” grave, emessa contro un musulmano o un gruppo che si definisca islamico, tale da rendere teoricamente lecito “versarne il sangue”). Questa è una condanna a morte implicita perché, secondo gli hadith del Profeta, nell’Islam la punizione degli apostati è la morte. La rete terroristica meglio organizzata e più insidiosa è certamente Al-Qa’ida, rete mondiale panislamica di terroristi sunniti neo-hanbaliti, capeggiata da Osama bin Laden, diventata famosa in particolare per gli attentati dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti ed attualmente presente in più di 60 Paesi. Il suo obiettivo dichiarato è l’utilizzo del jihad per difendere l’Islam dal Sionismo, dal Cristianesimo, dall’Occidente secolarizzato e dai governi musulmani filo-occidentali o “moderati”, quali quello dell’Arabia Saudita che è visto come insufficientemente islamico e troppo legato agli USA. Al Al-Qa’ida fa spesso ricorso ad attacchi suicidi. Il numero degli attacchi suicidi usano una tattica che in media è cresciuta meno di cinque per anno durante gli anni 1980 a 180 l’anno tra il 2000 e il 2005, e da 81 attacchi suicidi nel 2001 a 460 nel 2005. Questi attacchi sono stati diverse volte rivolti verso obiettivi civili e militari, compresi: Sri Lanka, bersagli Israeliani in Israele a partire dal 6 luglio 1989, In Iraq dal 2003, da quando alla guida del paese vi sono gli Stati Uniti e Pakistani e Afgani a partire dal 2005. Un interessante studio sul profilo degli attentatori suicidi, svolto dallo psichiatra forense Marc Sageman,  constatò una mancanza di comportamento antisociale, malattie mentali, traumi sociali precedenti o disturbi comportamentali come: rabbia, paranoia e narcisismo sui 400 membri della rete terroristica di Al Qaeda. Robert Pape, direttore del progetto the Chicago Project on suicide terrorism e gli esperti sui on suicide bombers, trovarono che la maggior parte degli attentatori suicidi provengano dalle classi medie istruite, mentre uno studio del 2007, in Afghanistan, un paese con un numero in crescita di kamikaze, rivelò che l’ 80% degli attentatori suicidi erano persone affette da qualche deficit fisico o disabilità mentale.  Ma, inoltre, tra l’ottobre 2000 e l’Ottobre 2006, sono stati chiaramente identificati 167 attacchi suicidi, con 51 altri tipi di attacchi kamikaze e fu suggerito che vi erano tanti volontari per l'”Istishhadia” nella Seconda Intifada in Israele e nei territori occupati, che i responsabili e gli spedizionieri ebbero a disposizione un ‘largo gruppo di candidati’. Un intervistato di Fatah affermò che essi erano addirittura ‘invasi’ dai richiedenti.

Carlo Di Stanislao

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