Problemi infiniti e soluzioni solo dichiarate

Annus horribilis il 2010 per la Chiesa Cattolica, fra pedofilia, scandali di Propaganda fide,vertici dello Ior indagati dalla Procura di Roma, scontri neppure tanto velati tra cardinali e continue ondate di violenze contro i fedeli in Iraq, in Medio Oriente ed in altri paesi del mondo. E, anche se meno in evidenza, il problema, emerso […]

Annus horribilis il 2010 per la Chiesa Cattolica, fra pedofilia, scandali di Propaganda fide,vertici dello Ior indagati dalla Procura di Roma, scontri neppure tanto velati tra cardinali e continue ondate di violenze contro i fedeli in Iraq, in Medio Oriente ed in altri paesi del mondo. E, anche se meno in evidenza, il problema, emerso negli USA e sottolineato da Robert D. Putnam e David E. Campbell, nel loro recente e imponente libro “American Grace: How Religion Divides and Unites Us”, di un legame troppo stretto e fortemente inficiante fra religione e politica, anche in stati con un significativo passato laico. Tutte le inchieste condotte negli Stati Uniti nell’ultimo decennio hanno mostrato che la crescita più rapida tra i giovani e giovanissimi ha rigurdato le affigliazioni religiose, cresciute fra i ventenni dal 10 al 27%. Molte sono state le ipotesi formulate per giustificare questo impressionante fenomeno: una di queste, avanzata da Michael Hout e Claude S. Fischer già nel 2002 (cfr. Why More Americans Have No Religious Preference: Politics and Generations, in “American Sociological Review”, vol. 67), punta il dito sul troppo stretto rapporto tra politica ed evangelismo, che genera una doppia disaffezione, nei confronti del voto e del cristianesimo. Come scrive su Il Riformista Allesandro Ciampi, i vescovi italiani e la gerarchia cattolica romana sono sempre intervenuti sulle complesse vicende della politica italiana ed internazionale, soprattutto nei momenti di maggiore tensione o crisi: in modo esplicito e ufficial, e oppure in forma indiretta e agendo dietro le quinte.  Ciò che in questo anno a molti è parso invece strano e nuovo, è stato il deliberato, finanche eccessivo, sollievo con il quale esponenti di spicco della Chiesa hanno salutato la mancata sfiducia al governo Berlusconi, quasi si sia trattato di un passaggio epocale e dirimente; del pari è parso anomalo l’insistente pressing condotto dai medesimi sull’on. Casini, affinché si risolva al più presto a sostenere con i suoi deputati la traballante maggioranza del Cavaliere e, soprattutto, eviti di stringere rapporti troppo stetti con un Fini giudicato inaffidabile a causa delle sue posizioni laiciste. Inoltre, anche  la chiara presa di posizione contro il radicalismo islamico ed i governi che vi riferiscono, nei discorsi recenti anche del Papa, discorso molto lontani dalle dalle parole soavi delle note pastorali,  o dal  felpato e spesso allusivo linguaggio della diplomazia vaticana. E, tutto questo, ha prodotto domande lecite, sia in ambito interno che internazionale. Nel primo caso ci si chiede il perché di una simile esposizione, che smentendo l’orientamento papale degli ultimi anni (quelli di Giovannio Paolo II),  rischia di trasformare la Chiesa in un anomalo attore politico. Ci si è chiesti, in altre parole,  le ragioni di un sostegno tanto incondizionato a Berlusconi, a dispetto delle sue conclamate eccentricità, che tanto disagio hanno spesso provocato tra i singoli cattolici. Il fatto è, dicono osservatori laici e cattolici molto avvertiti,  che, in ambito cottalico, la tentazione di fare dell’Italia un centro di resistenza politico-spirituale, una roccaforte nella quale rinchiudersi a difesa delle proprie posizioni e dalla quale far partire, quando le condizioni storiche lo renderanno possibile, una nuova ondata evangelizzatrice, è oggi molto forte nella più parte delle alte sfere catttoliche. E per realizzare quest’obiettivo – ed ecco allora spiegato in una chiave meno effimera l’attivismo recente delle gerarchie vaticane – occorre prima stabilire un’egemonia culturale e politica incondizionatamente cattolica sulla vita pubblica italiana, anche a costo di forzarne gli equilibri sociali e istituzionali e anche a costo di qualche pericolosa contraddizione: da un lato quella di far coincidere i valori universali e oggettivi della Chiesa con quelli propri di una specifica e contingente tradizione storica, come è in fondo quella italiana, facendo così perdere ai primi il loro carattere trascendente e perenne; dall’altro quella di affidare la difesa mondana di tali valori a chi – nel caso presente a Berlusconi – del consumismo, del materialismo e del relativismo etico ha fatto la base ideologica del proprio successo politico. Circa i sospetti antislamici dell’attuale Papa essi risalgono alla  lectio magistralis “Fede, ragione e università – Ricordi e riflessioni”, tenuta il 12 settembre 2006 presso l’università di Ratisbona durante il suo viaggio in Baviera, discorso che, si ricorderà, causò violente reazioni nel mondo islamico, soprattutto a causa di una citazione dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo, tratta da un suo scritto sulla guerra santa, redatto probabilmente tra il 1394 e il 1402. Uno dei cardini di quel discorso era rappresentato dalla “convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio” e che nell’elemento del Logos si trovi “la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia”. Ratzinger commentava che Giovanni ha iniziato il prologo del suo Vangelo con le parole: “In principio era il λόγος” e il logos (λόγος), che significa insieme ragione e parola, è Dio. Quindi, “l’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non era un semplice caso”. E ne traeva la conclusione che “la fede biblica, durante l’epoca ellenistica, andava interiormente incontro alla parte migliore del pensiero greco”: è per questo che, partendo dall’intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede, Manuele II poteva dire: Non agire “con il logos” è contrario alla natura di Dio. Esistono quindi per il pontefice due possibili interpretazioni della divinità: un Dio razionale secondo i canoni umani, che possa quindi essere interpretato dalla ragione, ed un Dio completamente oscuro e trascendente il cui operato non può essere riportato all’esperienza degli uomini, i quali devono accettare le sue azioni solo attraverso la fede. Il Papa concludeva dando il vantaggio al Dio razionale, opzione che, peraltro, non era e non è scontata per tutti gli uomini: ad esempio, per la dottrina musulmana, Dio è assolutamente trascendente e la sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, nemmeno a quella della ragionevolezza. Per questo “Ibn Hazm si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla Sua stessa parola e che niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse Sua volontà, l’uomo dovrebbe praticare anche l’idolatria”. E questa idea dell’irrazionalità alla base dell’integralismo islamico che ne condiziona violenza di fondo ed incapacità di dialogo si ritrova in molti altri disorsi papali degli ultimi 4 anni, fino al Te Deum del giorno successivo della strage di Capodanno ad Alessandria d’Egitto. Fion dal discorso di Ratisbona Ahmadinejad ha però colto l’occasione di sottolineare come, malgrado i valori cristiani contengano un ripudio della violenza, “tutte le guerre del XX secolo sono state provocate da nazioni europee e dagli Stati Uniti”. La posizione del Presidente iraniano ha di fatto smentito una dichiarazione di tutt’altro tenore rilasciata il giorno prima da Ali Khamenei, supremo leader iraniano, che aveva accusato il Papa di esser parte di una “crociata condotta dagli USA e dai sionisti”. Insomma, le parole del Papa, anche se invidavano ad un dialogo fra fedi in no,me della razionalità, poneva un primato della religione Cattolica che di fatto negava e nega l’attuazione del dialogo. iò che anche nella parole pronunciate dopo la strage in Egitto traspare dalle parole di Benedetto XVI e che il mondo mussulmano rifiuta, è la convinzione che il trambusto musulmano ha l’obiettivo di proibire ai cristiani di essere critici nei confronti dell’Islam e di imporre così all’Occidente le norme della Shari’a. Se gli occidentali accettassero questo principio nevralgico della legge islamica, sicuramente ad esso ne farebbero seguito altri. Pertanto, continuare a disporre della libertà di espressione riguardo all’Islam costituisce una importante difesa contro l’imposizione di un ordine islamico. Sempre con l’idea di un primato cattolico che nuove ad ogni ajutentica forma di dialogo. Scrive l’Avvenire il 3 gennaio che: ” La storia ha dimostrato che alcuni degli incentivi più potenti per superare la divisione derivano dall’esempio di quegli uomini e di quelle donne che, avendo scelto la via coraggiosa della testimonianza non violenta di valori più elevati, sono morti a causa di atti codardi di violenza”. Ma non dice che scelte violente e diverse hanno rigurdato, l.ungo la storia, tanto i cristiani che i mussulmani. Nel maggio del 2009, durante il suo viaggio pastorale in Terra Santa, il Papa commentà una lettera a lui indirizzata e firmata da 138 intellettuali musulmani giordani come un invito ad aprire un confronto serio con l’islam, attraverso un dialogo che si sarebbe dovuto svilppare av tre: cristanienesismo, islamismo ed ebraiosmo. Ma, nei fatti e nonostante da due anni lavori una Confederazione per il Dialogo Interreligioso in Vaticano, alle intezioni, buone, non sono seguite fatti altrettanto in sintonia.

Carlo Di Stanislao

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