Un forte rapporto d’amicizia tra Modica e L’Aquila

Mi procura già una piacevole trepidazione l’andare in macchina verso Modica, specie quando a Rosolini il tratto d’autostrada Siracusa – Gela d’improvviso finisce in un crocicchio di strade di rango minore. Il che non disturba affatto, consentendo di dar meglio un’occhiata al paesaggio di questa parte di Sicilia per me ancora inesplorata. Negli anni Settanta, […]

Mi procura già una piacevole trepidazione l’andare in macchina verso Modica, specie quando a Rosolini il tratto d’autostrada Siracusa – Gela d’improvviso finisce in un crocicchio di strade di rango minore. Il che non disturba affatto, consentendo di dar meglio un’occhiata al paesaggio di questa parte di Sicilia per me ancora inesplorata. Negli anni Settanta, quando lavoravo al Servizio Sanitario delle Ferrovie dello Stato, sebbene scendessi numerose volte l’anno per lavoro, per ispezioni e controlli d’igiene ambientale negli impianti ferroviari, mai m’era capitato di venire in questa cuspide meridionale dell’isola, pur avendo potuto apprezzare della Sicilia gran parte delle bellezze, come la generosità e l’innata ospitalità della sua gente. Né m’era stato possibile farlo in altre occasioni, pur essendo tornato in Sicilia. Trascorsi alcuni decenni, tra questi ricordi il pensiero vaga e alle amicizie rimaste ancora vive, mentre percorriamo l’ampio tavolato roccioso dei monti Iblei. I campi ostentano varietà di colture. Vigneti e frutteti, serre, ulivi e fronzuti alberi verdi di carrubo punteggiano una terra che già prelude alle mitezze della primavera, come in qualche caso rivelano i primi mandorli in fiore, nei punti più esposti al sole. E infatti in questi primi giorni di gennaio già s’avvertono i primi tepori, almeno così sembra a noi aquilani, avvezzi al nostro secco freddo invernale. D’altronde in questi luoghi siamo già alla latitudine di Tunisi. Il paesaggio, ora, è una sequela di campi divisi da ordinate muraglie a secco, pietre per secoli tratte dalla terra e composte con cura da generazioni di contadini, come ci racconta il colore del tempo che recano. E’ davvero un belvedere questi muri di pietre a secco, fitta maglia di confini singolari, armonia geometrica di poderi coltivati e prati, dove sovente si vedono al pascolo mucche, pecore e capre. Saprò poi che tali muri sono stati il deterrente contro il latifondo parassitario. L’aria è pulita, il cielo terso è d’un azzurro così intenso come quello dell’Aquila.
Nei pressi di Ispica la roccia calcarea s’incide in profonde valli scavate dai corsi d’acqua, strette e incassate, e la vegetazione ardita ne esalta il carattere selvaggio. Le chiamano “cave” queste profonde scanalature di roccia, e a volte in qualche punto s’incrociano più d’una. Sulle pareti a strapiombo spesso compaiono pertugi di grotte nella roccia. E’ in queste caverne del territorio ibleo che comparvero le prime popolazioni preistoriche, come hanno rivelato le necropoli scoperte a Pantalica, Cava d’Ispica e, in pieno centro a Modica, nel quartiere Vignazza, risalenti al 2200 a.C. Vanno dall’età del bronzo fino al V secolo d.C. e vi si sono rinvenuti importanti reperti e affreschi rupestri, mentre nell’immediata periferia di Modica si rinvenne l’Ercole di Cafeo, statuetta bronzea del III secolo a.C., di raffinata fattura, ora esposta nel museo civico. Intanto, dopo una serpentina di curve, stiamo arrivando appunto a Modica e già si scopre il profilo della città alta, dominata dalla facciata della chiesa di San Giovanni e più in basso dall’imponente, maestosa mole del duomo di San Giorgio. E’ davvero una bella suggestione, mentre man mano si guadagna la vista della città arroccata sulle pareti scavate nei millenni dai due torrenti che nella città bassa confluivano in un unico corso d’acqua. In questi due canyon sorge Modica, con quella sua particolarità d’impianto urbano e di stupende architetture che l’ha fatta definire “la città più singolare dopo Venezia”, con l’intricata sua rete di inerpicamenti a scalini e le strette strade che arrancano sulle coste, fino alle sommità dei quattro colli.
L’esposizione urbana dà un forte impatto emotivo, l’impianto uniforme è trapunto da splendide chiese tardo barocche, monasteri e conventi degli ordini religiosi (benedettini, francescani, carmelitani, domenicani e gesuiti) che nei secoli scorsi fortemente influirono sulla vita culturale della città, e palazzi gentilizi. “Un teatro era il paese, un proscenio di pietre rosa, una festa di mirabilia. E come odorava di gelsomino sul far della sera. Non finirei mai di parlarne, di ritornare a specchiarmi in un così tenero miraggio di lontananze…”, scrive di Modica Gesualdo Bufalino in “Argo il cieco ovvero i sogni della memoria”. La città, per il suo valore architettonico ed artistico, è riconosciuta dall’Unesco patrimonio dell’Umanità. Modica (i Siculi fondatori la chiamarono Murika, i Greci Mothuka e i Romani Mutica) ha una storia millenaria, la cui fondazione risale ad ottanta anni prima della guerra di Troia, iniziata nel 1360 a.C. Ha poi conosciuto la presenza greca, romana, bizantina, araba, normanna, sveva, quindi angioina e aragonese. Dal 1296 Modica conobbe un lungo periodo di splendore, da quando Federico II d’Aragona, Re di Sicilia, conferì a Manfredi Chiaromonte il diploma di concessione della Contea, nominandolo Conte di Modica e Signore di Ragusa, Caccamo, Scicli, Gulfi, Pozzallo e Spaccaforno. La Contea di Modica per quasi cinque secoli divenne il più grande, ricco e potente stato feudale dell’isola e del meridione d’Italia. In Sicilia la figura del Conte di Modica coincideva, di fatto, con quella di Viceré del Regno. I Chiaramonte, che a Palermo avevano il loro Castello, godevano d’un indiscusso prestigio anche per il fatto che il casato discendeva da Carlo Magno. La Contea di Modica, che copriva all’incirca l’attuale estensione della provincia di Ragusa, prosperò in grande autonomia dapprima con i Chiaromonte e poi con i Cabrera, quest’ultimi d’origini catalane.
L’11 gennaio 1693 tutta la Contea di Modica venne gravemente coinvolta da un terremoto disastroso che colpì la Val di Noto e una vasta parte della Sicilia sud orientale fino a Catania, distruggendo intere città e castelli. Centomila i morti, 3400 vittime nella sola città di Modica. La ricostruzione fu tuttavia rapida e senza risparmio di forze, per cui la Contea risorse ancor più bella. Quasi tutto il patrimonio artistico, quindi, è posteriore al 1693. Fu appunto dopo quel terremoto che l’opera di ricostruzione di Modica, come di Noto, Ragusa, Ispica, Scicli, Vittoria, Comiso, Caltagirone, Militello, Palazzolo Acreide e Catania e di altri centri minori, conobbe i migliori architetti siciliani (Rosario Gagliardi, Paolo Labisi, Vincenzo Sinatra, Antonio Scazza ed altri), raffinati artisti e qualificate maestranze artigiane che dettero vita a quella fioritura di opere d’arte del “barocco siciliano”, le cui massime espressioni sono oggi riconosciute dall’Unesco patrimonio mondiale, come appunto il caso delle città di Modica, Noto, Ragusa, Catania, Scicli, Palazzolo Acreide, Caltagirone e Militello. Oggi Modica è una città di 55mila abitanti, splendido esempio d’arte barocca siciliana. E’ un unicum architettonico di grande valenza, solo marginalmente ferito da taluni interventi edilizi, realizzati negli anni Sessanta del secolo scorso.
E’ in questa città che ci rechiamo, invitati a portare una testimonianza dall’Aquila. Siamo lieti di farlo, perché Modica è stata straordinaria nei gesti di solidarietà e vicinanza all’Aquila, dopo il terremoto del 6 aprile 2009 che ha colpito la città capoluogo regionale. La comunità della Chiesa madre di San Pietro Apostolo – l’altro duomo nella città bassa – si è fortemente legata alla comunità della parrocchia di Santa Maria Assunta a Paganica, la più grande e popolosa delle 64 frazioni dell’Aquila, che ha avuto il centro storico quasi del tutto distrutto dal sisma. La Caritas della Sicilia ha tenuto il campo base proprio a Paganica, numerosi gruppi di volontari si sono alternati nelle tendopoli in aiuto alla popolazione, durante tutti i mesi dell’emergenza. Belle amicizie sono nate tra volontari siciliani, specie di Modica e degli altri centri della diocesi di Noto, con i paganichesi. Particolarmente attiva e vivace, infatti, è stata la Caritas della diocesi netina, sotto la guida del direttore Maurilio Assenza, modicano, docente di filosofia e scrittore, in più occasioni presente a Paganica. E’ proprio il prof. Assenza che ci attende all’arrivo. Sarà l’eccezionale custode dei nostri giorni a Modica. Ci accoglie a “Casa don Puglisi”, un centro d’accoglienza nato 20 anni fa e gestito dai volontari della Caritas. Ha sede in un bel palazzo nel cuore della città, di proprietà della diocesi, restaurato per accogliere e ridare dignità a tante vite di donne e bambini segnate dal disagio e dall’indifferenza d’una società distratta ed egoista, che non si cura dei deboli. Non casuale è l’intitolazione della Casa a don Pino Puglisi, il prete siciliano ucciso nel 1993 dalla mafia nella sua parrocchia di Brancaccio, nella periferia orientale di Palermo, per aver osato far crescere valori e cultura della legalità tra giovani e ragazzi di quel quartiere, in un ambiente che già li vedeva destinati alla prepotenza e alla violenza. C’è un clima amichevole e solidale nella Casa, le ospiti e i loro ragazzi si sentono in famiglia, sono sereni e vivono senza soggezioni di sorta la vita in comunità. Sediamo a mensa tutti insieme, per qualche giorno saremo anche noi tra gli ospiti della Casa, l’atmosfera è gioviale e distesa. Straordinari i volontari che nella Casa prestano il loro impegno, non conoscono pause o rigidezze d’orario, sentendosi amici e fratelli degli ospiti: Enrica, Chiara, Aurelia, Martina, Fabio, Salvatore, Dario, Salvo e Marco, e tanti altri ancora, assidui e discreti nella loro opera. Maurilio Assenza, che della Casa è il responsabile, nella direzione non ha bisogno di tante parole, ciascuno sa cosa deve fare e come farlo al meglio. Si limita quindi a dare orientamenti e chiarimenti, quando occorre.
Nel pomeriggio del 3 gennaio, giorno del nostro arrivo, è già prevista una visita a Noto, per vederne le bellezze
e per salutare amici che io non conosco, ma che mio figlio Federico ha in grande confidenza per averli incontrati a Paganica o nella sua precedente visita in Sicilia, nel settembre del 2009. Giungiamo a Noto al tramonto, quando gli ultimi raggi di sole indorano le magnificenti facciate della Cattedrale, della chiesa di San Carlo, di Palazzo Ducezio, della chiesa di San Domenico e dei palazzi barocchi. Il centro storico mozza il fiato, per la sua armonica bellezza. “Noto ai primi del Settecento è una delle nostre città sorte d’un colpo, pel fatto sembra d’una volontà sola, immagine precisa del gusto d’un’epoca. A visitarla, palazzi, chiese, conventi, teatro pare un monumento unico, tutto costruito nello stesso tufo giallo, nello stesso barocco … fiammeggiante, con una grandiosità senza pause e una regalità senza avarizia”, scrisse Ugo Ojetti. Maurilio ci guida all’incontro con mons. Angelo Giurdanella, vicario generale della diocesi, ben lieto del gemellaggio spirituale che Modica ha avviato con Paganica. Poi s’incontra don Sebastiano Boccaccio, giovane parroco in una chiesa fuori porta della città. E’ stato all’Aquila, dopo il terremoto, a dare una mano morale alla gente, condividendo le difficoltà nei campi d’accoglienza nel mese di luglio del 2009, quando le tende sotto al sole diventavano forni. Celebrava messa a San Gregorio e Paganica, ma all’occorrenza anche in altri paese del cratere. Vuol tornare in Abruzzo, per stare ancora accanto alla gente che con la sua dignità nella tragedia, tanto lo ha impressionato. Un’altra testimonianza di comunione e di solidarietà dalla diocesi di Noto.
Il 4 gennaio è giornata tutta dedicata a Modica, per una visita ai principali monumenti della città e, in serata, ai due appuntamenti che rappresentano la nostra “Testimonianza dall’Aquila”, spirituale e civile, annunciata dai manifesti affissi in ogni angolo della città. La nostra visita segue di qualche mese quella d’un gruppo di giovani di Paganica della parrocchia di Santa Maria Assunta che con la comunità modicana di San Pietro ha condiviso cinque giorni in grande amicizia, rafforzando i legami nel rapporto di gemellaggio religioso che presto porterà ad una organica collaborazione e a scambi d’iniziative tra le due comunità. Con Maurilio ci s’incontra di buonora davanti la chiesa di San Pietro Apostolo, sul corso cittadino. Ci accolgono il parroco don Corrado Lorefice e il vice don Rosario Rabbitto, con i quali si fa il punto sulle iniziative di reciprocità più utili per sviluppare la collaborazione, nel gemellaggio tra le due comunità parrocchiali. Don Corrado conosce bene Paganica, vi ha fatto visita, conosce tante persone e con loro ha un rapporto di amichevole corrispondenza. Si profila subito una proposta, con un incontro tra le due comunità, un anno a Modica e l’anno seguente a Paganica, il terzo anno in un luogo a metà strada tra Sicilia e Abruzzo. Importante negli scambi di attività il coinvolgimento dei giovani e dei ragazzi. I lavori di restauro al duomo ormai riguardano solo una parte del pavimento settecentesco e non inibiscono d’ammirare la grande chiesa di San Pietro, dichiarata anch’essa madre al pari di San Giorgio, la chiesa dei Conti. Più popolare nelle origini, il duomo di San Pietro è tuttavia un bel tempio settecentesco a tre navate, con 14 colonne a capitelli corinzi e con magnifici affreschi interni. La facciata è solenne, con un’ampia scalinata cordonata dalle statue in pietra locale dei dodici Apostoli. Saliamo verso il duomo di San Giorgio. E’ davvero imponente, ancor più perché una copiosa scalea a rampe ovali d’oltre duecento gradini ne esalta la scenografica prospettiva verticale, che domina l’intera città. E’ il monumento simbolo del barocco siciliano, con la sua facciata convessa, il capolavoro del Gagliardi. L’interno è a cinque navate con 22 colonne a capitelli corinzi, con l’altare maggiore impreziosito da un grandioso polittico attribuito a Girolamo Alibrandi e gli altari con belle opere pittoriche del XVI secolo.
Modica è una città tipicamente barocca. Nulla resta delle epoche precedenti il terremoto del 1693, se si eccettua il portale gotico della chiesa del Carmine e quanto residua della quattrocentesca chiesa di Santa Maria del Gesù e della Cappella Palatina, d’epoca precedente, situata nella navata destra della chiesa di Santa Maria di Betlem. Saliamo alla sommità del colle, il punto più alto della città, dove svetta la chiesa di San Giovanni, con la luminosa bella facciata di pietra bianca, appena restaurata, poi una rapida visita al santuario della Madonna delle Grazie, comprotettrice di Modica con San Giorgio e San Pietro. Si deve limitare a questi monumenti la visita del mattino, d’altronde quasi un centinaio sono le chiese della città e quelle rupestri extra moenia, tutte d’elevata dignità artistica. Un numero assai vicino alle chiese aquilane. Ci rechiamo quindi al negozio in centro, punto vendita del Laboratorio dolciario “Casa don Puglisi”, nato per favorire il reinserimento delle giovani mamme accolte nella Casa. E’ sul corso cittadino, ben curato, ed espone prodotti dolciari e cioccolato modicano secondo l’antica ricetta che l’ha reso famoso nel mondo, ma anche vini, pasta, olio e preparazioni gastronomiche prodotte nelle tenute agricole sequestrate alla mafia e gestite dall’associazione Libera fondata da don Luigi Ciotti. Il Laboratorio di produzione, che appena dopo andiamo a visitare, è una bella realtà lavorativa che coniuga qualità, tradizione e solidarietà. Si è guadagnato un posto di rilievo nel contesto della produzione dolciaria tipica di Modica. Vi si respira l’aria delle antiche botteghe artigianali, dove si lavora alacremente scambiandosi parole e sorrisi, operando con finalità che rimandano alla solidarietà e a significati d’alto valore sociale.
Nel pomeriggio si va al Centro giovanile, già mattatoio comunale, affidato dal Comune alla Caritas. C’è un campo di calcetto dove i volontari seguono un gruppo di bambini che giocano. Nei riadattati locali adiacenti li hanno accompagnati nella preparazione dei compiti assegnati a scuola per le vacanze natalizie, prima dello svago sportivo. C’è ancora del tempo, prima degli appuntamenti della sera. Maria Assunta Migliore, un’insegnante di lingue, ci accompagna in un luogo importante della memoria civica, laddove a pochi metri di distanza s’affacciano sulla stessa stradina le case natali di Tommaso Campailla (1668 – 1740), filosofo poeta e scienziato, e di Salvatore Quasimodo (Modica, 1901 – Napoli, 1968), premio Nobel per la Letteratura nel 1959, due eminenti personalità della cultura italiana nate a Modica. Il piccolo Salvatore resta a Modica solo qualche mese, fin quando, dopo la terribile alluvione del 1902 che sconvolse la città, seguì con la famiglia il papà Gaetano, ferroviere, trasferito ad altra stazione. Si avvicina l’ora delle testimonianze: alle ore 18, durante l’adorazione eucaristica nella chiesa madre di San Pietro, il seminarista Federico Palmerini farà una riflessione sul significato e sul valore del gemellaggio religioso tra le comunità di Paganica e Modica. Metà della navata centrale del duomo, libera dai lavori, si riempie per la celebrazione guidata da don Corrado. Federico svolge la sua riflessione sulla gratuità dei doni di Dio, per i quali occorre conservare stupore e capacità di riceverli, così permettendo a Dio d’entrare nella vita personale e comunitaria. E’ tra questi doni che vanno ricomprese l’amicizia, la solidarietà e la vicinanza dimostrate dopo il terremoto dalla comunità cristiana di Modica verso Paganica che come un dono di Dio appunto l’accoglie, in un duraturo rapporto di gemellaggio religioso.
La celebrazione si è appena conclusa che già l’altra testimonianza, questa volta civile, ha inizio nell’aula consiliare dove campeggia il dipinto del Giuramento di Castronovo, nell’antico splendido Convento dei Domenicani oggi sede municipale. E’ Maurilio Assenza ad introdurre la conversazione di chi scrive sulla storia dell’Aquila, sulle sue singolarità, sul futuro del capoluogo abruzzese, massacrato dal sisma del 2009. Il sindaco di Modica, Antonello Buscema, insiste perché parli dal posto riservato al primo cittadino. Lo ringrazio e, attraverso la sua persona e la sua funzione istituzionale, esprimo gratitudine ai cittadini di Modica per la sensibilità e la compassione avute verso L’Aquila. Compassione nel senso etimologico del termine latino cum-patire, inteso quale condivisione della sofferenza ma anche della speranza nella resurrezione dell’Aquila, come la sua nobile e straordinaria storia di otto secoli ha sempre dimostrato, contando sulla tempra forte, dignitosa e tenace degli aquilani, quella stessa compostezza che ha inorgoglito l’Italia e le comunità italiane all’estero. Parlo quindi della prova generosa, tempestiva, meravigliosa dei Volontari della Protezione Civile nella fase dell’emergenza, l’immagine della migliore Italia, che ci fa essere fieri al cospetto del mondo. Non potremo mai dimenticare i Vigili del Fuoco, le Forze dell’ordine e l’Esercito italiano, i volontari delle Misericordie, della Caritas, della Croce Rossa, gli Alpini dell’ANA, le tante associazioni di volontariato venute da ogni angolo del Paese che hanno operato nei centri colpiti fin dalle prime ore dopo la tragedia. Poi ho anche parlato dei problemi del post terremoto, della ricostruzione non ancora partita, della mancanza di risorse economiche che garantiscano la rinascita, della città e dei borghi, delle misure necessarie a sostegno dell’economia, perché la vita possa riprendere insieme alla speranza. Ho poi richiamato l’importante funzione della stampa italiana all’estero nell’informare le comunità italiane nel mondo sullo stato dell’arte, per mantenere viva la loro attenzione sull’Aquila e sul suo futuro. Un’importanza ben evidente dalla selezione degli articoli che sono pubblicati nel volume “L’Aquila nel mondo”, su notizie, fatti ed eventi prima e dopo il terremoto del 6 aprile 2009.
Il sindaco Buscema, nell’intervento conclusivo, ha espresso con grande empatia l’affetto e la vicinanza della sua città nei confronti dell’Aquila, rammentando come la stessa Modica possa oggi vantare tutto il suo splendore architettonico in conseguenza del terremoto del 1693 che la costrinse a ricostruirsi, più bella di prima, in quel gioiello d’arte barocca ora riconosciuto Patrimonio dell’Umanità. E’ questa la speranza e l’augurio che la comunità di Modica consegna all’Aquila, con la certezza che la straordinaria città d’arte possa risorgere presto in tutta la sua magnificente bellezza. L’amicizia tra Modica e L’Aquila si rafforzerà ancor più negli anni, attraverso le relazioni che cresceranno tra le comunità modicana ed aquilana. L’indomani, il 5 gennaio, scendiamo a Pozzallo. Il mare riflette i bagliori del sole, in una giornata tiepida e luminosa. E’ bella la costa, l’arenile è ampio e pulito, il mare ha l’acqua trasparente, nella sua calma quasi immobile. Emanuele Basile, modicano, docente di Lettere a Pozzallo, e Maria Assunta Migliore sono i nostri anfitrioni nella visita alla città. Una visita destinata anzitutto alla casa dove nacque Giorgio La Pira (Pozzallo, 1904 – Firenze, 1977), ora diventata Museo privato della Fondazione familiare che porta il suo nome, specialmente per opera di Angelo Angelino, che ci guida nella visita, figlio di Giuseppa, sorella dell’uomo politico siciliano.
Giorgio La Pira, insieme a Giuseppe Dossetti e a Giuseppe Lazzati personalità insigne del pensiero cattolico-democratico, deputato alla Costituente e membro del Gruppo dei 75 che compilò il progetto di Costituzione, poi discussa ed approvata dall’Assemblea, dal 1951 fu storico sindaco “santo” di Firenze per due mandati. Docente dell’ateneo fiorentino, figura profetica nel suo tempo, fervente cattolico ora sotto processo di beatificazione avviato nel 1986 da Giovanni Paolo II, aprì sentieri nuovi per la Pace e nel dialogo est-ovest, in un mondo diviso dalla guerra fredda. Il piccolo Museo “Giorgio La Pira” di Pozzallo dà certamente un’idea abbastanza compiuta della grandezza dell’uomo politico siciliano, grande amico di Quasimodo. Semmai richiama l’esigenza di un’attenzione doverosa delle istituzioni nazionali, spesso corte di memoria, su una delle Personalità politiche più significative dell’Italia repubblicana. Nel pomeriggio si visita Scicli, altra cittadina con una lunga storia, dichiarata patrimonio mondiale dall’Unesco. Magnifici i templi, come la Matrice di San Matteo e le chiese di San Giovanni Evangelista, di Santa Maria la Nova, della Consolazione, di San Bartolomeo, come pure gli edifici tardo barocchi quali il Palazzo Beneventano e il Palazzo Civico, quest’ultimo noto per essere stato location della “Questura” nei film del Commissario Montalbano, interpretato dall’attore Luca Zingaretti, tratti dai romanzi di Andrea Camilleri. Curiosità in due chiese di Scicli: la statua d’una combattiva Madonna a cavallo che travolge due Saraceni, mai vista così la Madre di Cristo, e una tela – ne è autore don Juan de Parlazin, nel 1696 – con un Gesù Crocifisso, coperto dai fianchi fino ai piedi con una singolare “sottana” bianca ricamata, un soggetto che non ha eguali tranne un’opera analoga a Burgos, in Spagna. E’ tutto, per questa volta. In serata si riparte per Roma e poi si rientra all’Aquila.

Goffredo Palmerini

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