Le telefonate di Berlusconi e le parole di Bagnasco

Le telefonate del premier in diretta, nel corso di trasmissioni che non gradisce, sono divenute un classico di questa Italia che pare aver dimenticato le procedure ed i modi di una Nazione civile. E, dopo Ballarò, ora tocca a L’Infedele, con puntata definita da Berlusconi uno spettacolo “disgustoso con una conduzione spregevole, turpe, ripugnante”,  che […]

Le telefonate del premier in diretta, nel corso di trasmissioni che non gradisce, sono divenute un classico di questa Italia che pare aver dimenticato le procedure ed i modi di una Nazione civile. E, dopo Ballarò, ora tocca a L’Infedele, con puntata definita da Berlusconi uno spettacolo “disgustoso con una conduzione spregevole, turpe, ripugnante”,  che porta avanti “tesi false, lontane dalla realtà” e replica di Lerner che, con altrettanta veemenza, risponde al capo del Governo (“ha offeso abbastanza, ora basta”, “lei è un cafone”) ed infine controreplica del Cavaliere dall’altro capo del telefono ( “e lei – ha scandito – ha offeso al di là del possibile la signora Minetti che e’ persona intelligente, seria, preparata e che si e’ pagata gli studi lavorando”) ed invito finale ad Iva Zanicchi, presente in trasmissione,  “ad alzarsi e lasciare quel postribolo televisivo”, ma con la cantante che invece è rimasta in studio fino alla fine. La telefonata è arrivata a sorpresa, quando la puntata volgeva al termine. In sua difesa Berlusconi ha usato toni accesi, ma ha mostrato solo la sua fragilità e la debolezza crescente che va vivendo. Per Berlusconi è la terza “incursione” a sorpresa in diretta televisiva degli ultimi sei mesi, non contando il Ballarò della settimana scorsa. La prima, altrettanto accesa, fu il due giugno scorso quando a far andare su tutte le furie il Cavaliere fu un servizio di Ballarò sulla manovra economica del Governo. A novembre, invece – ma sempre a Ballarò – è stato un servizio tv sull’emergenza rifiuti. Ed ora Lerner con quello che è definito il Rubygate, una questione meno irrisoria di quanto il Cavaliere volesse fare intendere.  Ha ragione Bagnasco, il Paese è sgomento, per ciò che vede e che accade ogni giorno, per la condotta di chi ha ruoli istituzionali e li usa come strumenti privati. “Bisogna che il nostro Paese superi, in modo rapido e definitivo, la convulsa fase che vede miscelarsi in modo sempre più minaccioso la debolezza etica con la fibrillazione politica e istituzionale, per la quale i poteri non solo si guardano con diffidenza ma si tendono tranelli, in una logica conflittuale che perdura ormai da troppi anni”, ha detto il Presidente della Cei nella prolusione pronunciata al Consiglio Episcopale Permanente e come risposta abbiamo le telefonata minacciose e ringhiose di Berlusconi ed i commenti in malafede su Il Tempo ed il Giornale, in cui si afferma che le parole del Cardinal Bagnasco riguardano tutti e che, in definitiva, non vi è stata alcuna spallata dell’apparato cristiano rivolto al Pdl ed al governo. C’è chi, come Vito Mancuso di Repubblica, vede però una debolezza di fondo nel pronunciamento di Bagnasco, quasi una mancanza di coraggio nell’andare fino in fondo nel combattere i mali evocati ed una vittoria della diplomazia sulla profezia e sul rigore. Tutti sanno che vi sono legittimi interessi dell’istituzione Chiesa da salvaguardare come i finanziamenti alle scuole cattoliche, le esenzioni delle tasse per gli edifici ecclesiastici, la battaglia parlamentare sul biotestamento. Ed è giusto che il presidente della Cei tenga conto di tutto ciò. Ma vi sono, scrive Mancuso,   dei momenti nei quali bisogna guardare davvero unicamente al bene comune, momenti nei quali chi sta in alto si ritrova solo ed è chiamato a responsabilità profetiche e morali,  senza poter coniugare tutti gli interessi in gioco. Ieri la gerarchia della Chiesa italiana era in questa situazione. Bagnasco non ha scomunicato Berlusconi, ma le sue parole, comunque, sono un duro monito, il segnale di un vento che sta cambiando. Dice bene il deputato UDC Enzo Carra, che sottolinea come sia “del tutto sbagliato  isolare alcune parti del complesso discorso di Bagnasco per applicarlo strumentalmente alle vicende politiche e giudiziarie”. E’ del tutto chiaro quale sia il riferimento che il presidente della Cei fa,  quando ricorda che “chiunque accetta di assumere un mandato politico deve essere consapevole della misura e della sobirieta, della disciplina e dell’onore che esso comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda”. Pietro De Marco, sul Blog de L’Espresso, il 19 gennaio scorso, ha ricordato che la Chiesa cattolica non conosce l’imperativo dell’annientamento di “vite politiche indegne di esistere”, mentre la sua potestà giuridica si regola nell’ordinario del tutto diversamente, distinguendo tra materie che riguardano il foro esterno e quelle pertinenti il foro interno. La giurisdizione di foro esterno si esercita in pubblico e si riferisce al bene comune. L’altra guarda immediatamente e direttamente il bene della singola anima; si esercita nel segreto e ha effetto nella coscienza. Ora è del tutto evidente che nel suo discorso, Bagnasco faceva riferimento al foro esterno e, pertanto, al bene comune. E, continua l’intellettuale cattolico toscano, nello spazio pubblico italiano le richieste alla Chiesa di intervenire, oggi, con condanne contro qualcuno, non solo sono “partigiane” (l’opinione pubblica attiva è sempre partito), ma intendono provocare la Chiesa ad un giudizio pubblico per obiettivi estranei, forse opposti, al senso, al fondamento, della sua destinazione e giurisdizione. E questa, naturalmente, è una forzatura. Tuttavia, credo anche, che la chiesa non può restare immobile e rinunciare a muoversi al passo coi tempi e, soprattutto, il cristiano, pur non volendo trascinare terzi nell’agorà, deve ogni volta esprimere ad alta voce e chiaramente, la sua convinzione etica secondo cui coloro che propongono un paradigma di emancipazione “libertina” della morale sociale,  si assumono la responsabilità di porre in pericolo il bene stesso dell’uomo. Secondo le parole di monsignor Crociata, l’ipertrofia delle libertà intime congiunta alla comoda retorica delle virtù pubbliche, il frequente servirsi del richiamo alla moralità, per farne scempio nella condotta quotidiana, non possono non allarmare la coscienza dei cattolici, così come non è possibile, da parte di chi i media li ha cavalcati e li cavalca ancora, non capire che oggi è tutto esposto in modo esasperato e nella sfera civile deborda e ad essa sembra  ormai appartenere,  anche quella vita privata un tempo oggetto della chiacchiera sussurrata, della riservata calunnia e che oggi la vetrina universale dei media di massa rende pubblica e passibile di pubblico giudizio. E tuttavia, vogliamo anche avvertire di rinunciare all’accanimento, che spesso è improprio e non giova alla partita. I classici della scienza politica, che distinguevano rigorosamente i due livelli di inimicizia, avevano intravisto l’eventualità del loro collasso in uno solo, il Nemico assoluto, anche nelle pratiche conflittuali. L’ineluttabilità di un obbligo morale al conflitto, avvertivano, implica un estremo pericolo, poiché la motivazione “per princípi” della lotta politica chiede di prolungare il conflitto fino all’annientamento. Berlusconi non va annientato, annichilito, ma solo denudato e sconfessato, mostrato per ciò che è, sotto il profilo politico e morale, per creare nuove convinzioni nella classe che ora lo elegge. Nel giugno del 2009, Paolo Farinella,  aveva indirizzato un attacco alla Conferenza Episcopale Italiana, per la mancata presa di posizione sulle accuse pesantissime mosse al premier Berlusconi, rendendosi, a suo dire, complici nella della gravissima crisi morale che attraversa l’Italia, l’ultimo atto di un declino che sta destrutturando la coscienza etica e civile del Paese. Ma, a ben vedere, negli ultimi anni i presidenti della Conferenza episcopale italiana e i massimi esponenti vaticani, da Ruini a Bertone, sono a più riprese intervenuti con espliciti richiami alla politica su temi come l’emigrazione, il lavoro, la sicurezza sul lavoro, la scuola, l’economia, la disoccupazione e il precariato. Paradossalmente, prima era ben raro un intervento diretto ecclesiastico sulla politica italiana, a parte le folcloristiche e stigmatizzabili interventi nel dopoguerra contro il PCI; in un’Italia rurale e in gran parte analfabeta, di eclatanti interventi politici si ricordano solo due discese in campo (entrambe sfortunate) in occasione dei due referendum sul divorzio e sull’aborto, ma parliamo di argomenti su cui la Chiesa obbiettivamente non poteva essere agnostica. Ora, invece, la Chiesa interviene e a più riprese, su temi ed anche specifici comportamenti e data la sua presenza sul territorio, non può tacere di fronte all’esuberanze ed intemperanze del “berlusconismo”. E’ del tutto evidente che per la Chiesa l’esempio è un valore importante, un metodo da perseguire per mantenere una collettività su una giusta linea di principi. Orbene l’attuale governo, a partire dal premier,  non fornisce esempi illuminanti. L’attività di un governo che pur avendo avuto la più grande maggioranza che si ricordi nella storia d’Italia non è stato capace di fare nessuna delle necessarie riforme del paese è emblematico. “Il partito dell’amore” come definì Berlusconi il PdL, appare oggi un partito arrogante, privo di valori, mosso da una continua aggressività nei confronti degli oppositori interni od esterni, chiuso tra interessi particolari ed ipocrisie, privo di progetti e del benché minimo interesse per le sorti morali e materiali del paese. E la chiesa, fino al discorso ultimo di Bagnasco, interviene non tanto su singoli casi o singole vicende, ma contro quella mentalità che possiamo chiamare “berlusconismo”, che pone al centro l’individuo e non l’uomo, cioè vede l’essere come una monade, un’entità numerica in senso pitagorico,  che vive in funzione di se stessa e senza tener conto se i suoi bisogni sono coincidenti con altri individui,  in un rapporto di forza dove ciascuno cerca non di condividere e relazionarsi,  ma di prevalere. Ciò che echeggia nelle parole di Bagnasco, è il monito ai cattolici di non dividersi a causa di politici come Berlusconi, di non cadere vittime dell’illusione semplificatoria che nel 2000 si possa avere una politica retta da un uomo solo che, una sera dal predellino di un’auto,  annuncia la nascita del Popolo delle o della Libertà, trovata che  potrebbe essere di una commovente ingenuità,  se non fosse drammatico specchio che un paese dalla illustre storia come il nostro,  debba oggi celebrare questi “fasti” e rinunciare alla critica di fasti più orgiastici e fangosi. I fatti dimostrano come la più grande maggioranza di governo della storia della repubblica sia stata impegnata fino ad oggi solo ad occuparsi di leggi che salvassero il premier, di cercare accordi al proprio interno per mantenere la coalizione, con i giornali governativi a parlare di un’Italia che non c’è. Ed è questa l’immoralità che Bagnasco raccomanda di censurare e superare. Come ha scritto alcuni mesi or sono (e prima degli scandali recenti), il Vicario Generale di Monza, Vescovo Basilio Grillo Miceli, non ci vuol molto ad accorgersi, superata la patina da venditore, che “non può attecchire la chiesa in un cuore che è un collage di compromessi in un terreno concimato di bugie e, pertanto, non può il cristiano essere dalla parte di chi del compromesso e della bugia ha fatto un vessillo.

Carlo Di Stanislao

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