Caprarica (e Sant’Agnese) per il divenire della città

Ci sarà il tutto esaurito, con tanto di scale e corridoi gremiti, questa sera alle 18, all’auditorium di Strinella88, nuovo agorà culturale dal 6 aprile 2009, per il convegno “Unità d’Italia dal 1861 al 2011: il divenire della società italiana e L’Aquila pre e post sisma”, con un intervento previsto di Antonio Craprarica, già direttore […]

Ci sarà il tutto esaurito, con tanto di scale e corridoi gremiti, questa sera alle 18, all’auditorium di Strinella88, nuovo agorà culturale dal 6 aprile 2009, per il convegno “Unità d’Italia dal 1861 al 2011: il divenire della società italiana e L’Aquila pre e post sisma”, con un intervento previsto di Antonio Craprarica, già direttore dei radiogiornali Rai ed oggi tornato ad essere, come nel suo glorioso passato, corrispondente da Londra dell’emettente di stato. Certamente d’interesse saranno i contributi del sindaco Massimo Cialente e degli altri illustri relatori: Tommaso Ceddia ed Aldo Bonomi, ma altrettanto certamente il clou riguarderà lo scrittore e giornalista, già da molti anni legato alla nostra città e già intervenuto a varie edizioni della nostra Sant’Agnese. Laureato in Filosofia con Lucio Colletti, Caprarica, classe 1951, ha iniziato la sua carriera giornalistica come commentatore di politica interna del quotidiano L’Unità ed è stato poi condirettore di Paese Sera. Corrispondente stabile del Tg1 in Medio Oriente dal 1988 al 1993, è stato capo dell’Ufficio di Corrispondenza Rai da Mosca dal 1993 al 1997 e dal 1997 ha ricoperto lo stesso ruolo da Londra. Nel 2006 ha diretto la sede Rai di Parigi, per poi passare alla direzione dei radiogiornali Rai e, infine, ritornare, come corrispondente, a Londra. Dotato di grande cultura e profonda ironia, oltre a molti saggi ha scritto, con l’amico Giorgio Rossi, romanzi di successo come “La Ragazza dei Passi Perduti “(1986) e “La Stanza Delle Scimmie” (1988). Lo scorso anno ha pubblicato, per Sperling & Kupfer, sia “C’era una volta in Italia. In viaggio fra patrioti, briganti e principesse nei giorni dell’Unità”, sia “Gli italiani la sanno lunga… o no?!”, in cui è riuscito a tracciare, fuor di retorica, un profilo veritiero de l’Italia e degli italiani, osservando il Bel Paese quanto più spassionatamente possibile e dalle più diverse prospettive. Caprarica, uomo intelligente e gran viaggiatore, sa bene che uno degli aspetti più belli del viaggio è veder cadere l’una dopo l’altra le proprie certezze ed un altro e notare come cambiano i luoghi. E chissà se dopo oggi, rendendosi conto di quanto a L’Aquila sia cambiato, attraverso una quasi totale perdita di certezze, si adopererà, per quel che può, per facilitare un divenire sociale che, dietro a buoni propositi, risulta del tutto fermo e non solo per responsabilità per così dire esterne. Fu nel 1990 che, dai carri armati sovietici in Afghanistan, raccontando a milioni di telespettatori la guerra e la crisi in quel lontano Paese, Caprarica è divenuto uno dei volti più cari ai telespettatori italiani. E siccome la sua tempra l’ha mostrata tre anni fa, con il libro “ I Granduchi di Soldonia”, dedicato a un paese che non c’è, ma che riesce a condizionarci, con potenti per i quali “le proteste dei disoccupati e i cigolii dei cancelli delle fabbriche che chiudono sono solo rumori di fondo”; speriamo ora, col suo intervento diretto e de visu, riesca a risvegliarci e a spingere il nostro sguardo più oltre. Come ebbi modo di dire cinque anni fa (http://www.maldicenza.it/festival/2006/news_distanislao_01-13-2006.htm), non viviamo più in tempi in cui le parole hanno un peso, un senso, un significato ed anzi, ora tutto si spegne e si stempera, s’inaridisce in una nebuloso ed indifferenziato pressappochismo. Ci lamentiamo fra maldicenze reciproche e ci dividiamo fra reciproci sospetti. E’ stato scritto che non è “maldicenza” riferire il vero, non è peccato difendere la giustizia e far conoscere le cose che devono essere conosciute”. Ed allora, ciascuno riconosca i propri errori, esponga i suoi lati in ombra, si assuma le proprie responsabilità, se davvero si vuole far ripercorrere alla città una storia futura. Nella sua tradizione la nostra Sant’Agnese è festa e trionfo del pettegolezzo bonario e non della maldicenza assassina, per smascherare il falso e far trionfare la verità ed i meglio in una società che cerca o difende una sua prospettiva. Ricordiamocelo oggi, applaudendo Caprarica e gli altri. Nell’ultimissimo libro, presentato sabato scorso ad Albenga, “C’era una volta in Italia”, omaggio chiarissimo a Sergio Leone, confrontando le affinità e le differenze tra l’Italia del passato e quella attuale, Caprarica ha demolito quelli che lui giudica falsi miti revisionisti, non solo da parte padan, ma soprattutto neoborbonica. Soffermandosi sul fenomeno del brigantaggio, L’Autore spiega che nacque non tanto per l’annessione da parte del Piemonte, ma perché i garibaldini avevano promesso il passaggio delle terre al popolo, cosa che non avvenne, così come non avvenne alcun reale cambiamento di coscienza sociale, nei gruppi degli emarginati. Il guaio in Italia è sempre stato lo stesso: l’attesa di decisioni dall’alto, di tutele terze, senza mai assunzioni di iniziative e di responsabilità. E questo, meglio di ogni altra metafora, dipinge il nostro stato di ora, incubato da problemi annossamente presismisici, slantetizzati ed acuiti dal terremoto, entro un tessuto sociale disgregato, che ha perso una identità già declinante nel passato recente.

Carlo Di Stanislao

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