L’Aquila:“Tra domenica e lunedi’”, il toccante viaggio tra l’angoscia e la speranza

Ho letto più volte il diario di Anna Ventura. “Tra domenica e lunedì” è un diario insolito, non comincia con il primo dell’anno, come normalmente accade, ma tra il 5 e 6 aprile 2009. Sì, dalla notte della tragedia aquilana. L’inizio d’una nuova era per la città, martoriata dal terremoto. Ho esitato non poco a […]

Ho letto più volte il diario di Anna Ventura. “Tra domenica e lunedì” è un diario insolito, non comincia con il primo dell’anno, come normalmente accade, ma tra il 5 e 6 aprile 2009. Sì, dalla notte della tragedia aquilana. L’inizio d’una nuova era per la città, martoriata dal terremoto. Ho esitato non poco a scrivere questa nota, da quel giorno di luglio quando Anna mi propose di redigere la prefazione al diario che aveva già deciso di pubblicare. Il suo un gesto d’amore per L’Aquila, diventata con il sisma patrimonio universale. Ma anche un atto di grande coraggio, come dirò appresso. Sebbene avvertissi la mia inadeguatezza al compito, trattandosi d’una scrittrice prestigiosa   verso le cui opere ben altre competenze si sono cimentate, della richiesta mi sentii onorato. Ritenni che, per  essere un diario, i sentimenti di amicizia ed affetto che nutro verso l’Autrice e la sua famiglia avrebbero potuto agevolare l’impresa, rendendola possibile alle mie modeste risorse. Così non è stato. Mi ha molto impegnato, sul piano emotivo, scrivere queste scarne righe. Perché questo di Anna Ventura non è soltanto un diario, ma una testimonianza civile di grande rilievo che contribuirà non poco a fissare, nella memoria collettiva della comunità aquilana, un’altra tessera di dignità e d’orgoglio civico, nella storia del dramma che L’Aquila ha vissuto e che ancora vivrà per un lungo periodo.

Ho avvertito quel tanto di trepidazione nell’accostarmi ad una scrittrice straordinaria e sensibile, qual è Anna Ventura. E se da un lato quel che mi era apparso possibile, trattandosi d’un diario e non di un’opera letteraria per la quale sarei stato del tutto inadeguato, mi ha invece rivelato altri inimmaginabili risvolti, perché queste pagine sono appunto un’eccezionale testimonianza: forte, profonda, coraggiosa. Chi sarebbe disposto, infatti, a mettere in comunione con altri – molti altri, quanti una pubblicazione preziosa può interessare – quel mondo d’intimi sentimenti e di emozioni che sono quanto di più privato e riservato esista?
Eppure, Anna Ventura l’ha fatto. E lascerà non solo agli Aquilani, ma anche alla comunità più lata di coloro che per anni osserveranno, studieranno a fondo il nostro dramma, scandaglieranno il cuore aperto della nostra sofferenza, delle nostre ansie, del dolore che non geme, Anna lascerà – dicevo – un patrimonio di sensazioni che oscilla dal desiderio di futuro vissuto tra le spine delle difficoltà quotidiane e la speranza di riconquistare i luoghi della nostra vita, nonostante tutto. Questi, appunto, i registri dominanti dei giorni descritti con asciutto rigore, con la consapevolezza della difficoltà, con la determinazione di sopravvivere nel luogo diverso e disadorno dell’esistenza, rispetto a quello perduto d’una convivenza fatta di serene abitudini familiari, sociali e culturali.  
E allora, per quanto alla durezza della perdita di Fausto, il compagno della vita, appena elaborata, si sia aggiunto l’indicibile sconvolgimento delle cose e dell’anima, è necessario andare avanti, “ricostruire” temporaneamente la propria dimensione, in altro luogo, a Montesilvano. Dapprima in albergo, poi nella casa al mare, anche se al mare non si volge lo sguardo, che piuttosto indugia sul profilo delle colline che accostano ai monti, dove, oltre l’orizzonte, il pensiero declina verso L’Aquila. Nostalgia, certo. E dolore silenzioso, persistente. Eppure c’è necessità d’adeguare quella nuova casa, metter su un luogo dove anche nella precarietà vivere con i custodi del proprio spirito – poesia, scrittura e critica letteraria – dove allestire una parvenza di biblioteca rispetto a quelle piene e ordinate della casa aquilana, lasciate in fretta tra la polvere dei calcinacci, anche se fortunatamente illese. Quello letterario è provvidenzialmente un mondo dove le affinità elettive si esaltano in sensibilità, con tante amicizie premurose che da ogni angolo d’Italia sono vicine, solidali, condividono e rinfrancano.

Commuove tanta attenzione. E’ bella tanta partecipazione. E va bene, allora, per meglio superare gli scogli delle giornate nel forzoso esilio dalla città squassata dal sisma e con le sue macerie isolata dal mondo, concedersi qualche evasione: una sera in pizzeria o un buon desco condiviso con un’amica, una visita data o il piacere d’una visita ricevuta. E poi un po’ d’ironia, che non guasta, contro ogni depressione. Come pure l’autoironia, che aiuta a sopravvivere, con leggerezza. E man mano che i giorni da quel 6 aprile scorrono, l’assiduità del diario si stempera, si allunga, si dirada, fino a chiudersi il 21 novembre. Sembra che assecondi una lenta eppur progressiva elaborazione del dramma. Con la vita che riprende, nella sua pienezza, emerge l’incoerenza dei contesti obbligati, il disagio della privazione della propria città. 

In questi mesi, numerose sono state le testimonianze pubblicate, molti libri, tutti utili a tracciare una memoria della nostra angoscia. Eppure questo diario è un tassello importante nella descrizione della tragedia aquilana, della nostra storia civica. Nel diario di Anna, più d’ogni altro contributo, si legge il  travaglio dell’anima, lo smarrimento della nostra vita, il significato vitale dell’ecosistema urbano e sociale della nostra città, che coltivava le abitudini quotidiane, l’unico – come per certe felci il loro terreno – a far vivere con dignità le nostre giornate, a dargli un senso. Ora ci mancano i luoghi, le atmosfere, i casuali incontri, le ragioni delle nostre consuetudini, gli alimenti delle nostre curiosità culturali, i suoni e i colori dell’Aquila, il profumo antico e sapido dei muri delle case, le ombre dei vicoli, l’organismo composito – con i suoi pregi ed i suoi difetti – della nostra comunità aquilana, ora dispersa in una diaspora che purtroppo resterà per anni irrisolta.

E tuttavia dal diario si leva una consapevolezza civile, dolorosa, per quel che s’è temporaneamente perso, con una sottile, dignitosa, lucida, delicata eppure forte invocazione alla speranza, alla ricostruzione  della nostra bella città, certamente materiale, ma sopra tutto spirituale, al recupero più alto della sua anima, quella che fino al 6 aprile ci aveva intrigato con le sue meraviglie e con le sue suggestioni, linfa d’ispirazione lirica ed humus per le altre arti. Domani, tra qualche anno o tra qualche secolo, questa sincera e generosa esposizione dell’anima sarà un riferimento significativo, senza mediazioni e senza le scorie dell’apparenza, lo specchio della nostra esistenza nei giorni tragici del terremoto, la tenacia della speranza, la voglia di futuro, la riconquista dei luoghi e delle consuetudini della nostra vita nella città che fino a quella terribile notte li aveva così armoniosamente combinati. E questi registri dell’anima, nel diario, emergono lungo la cadenza dei giorni in tutta la loro solarità, con la grazia, il garbo, l’intensità, la sofferenza, l’ironia, l’eleganza, la raffinatezza e l’amore civico che sono la cifra più trasparente di Anna Ventura.

Anna Ventura è infatti una scrittrice straordinaria, feconda, sensibile e generosa. La sua sensibilità l’ha portata, negli anni scorsi, ad affidare tutti i suoi diari all’Archivio nazionale del Diario di Pieve Santo Stefano. L’ha fatto anche con questo “particolare” diario. La Giuria del “Premio Nazionale Diario” di Pieve Santo Stefano, che dapprima ha iscritto Anna Ventura nella Lista d’onore per il 2010, ne ha poi dato menzione con la motivazione vergata da Silvia Bertocci: “Il diario del dolore, della devastazione, dell’impotenza, dell’attesa, dell’incertezza, del ricordo, della speranza. Una vita che torna ad inventarsi, quando tutto pareva stabilito, quando tutto pareva volgere ormai al tramonto. Una vita che il terremoto sconquassa e trasforma ma non annienta: la metamorfosi di una “dolce signora paffuta” in “manager affaccendata”, in donna grintosa e determinata. Una vita che torna a pulsare con forza, con dignità e con una nuova, impensabile energia. Forza, dignità ed energia che mi hanno avvinta”. Senza dubbio un giudizio e un riconoscimento di grande valore. Giusto quanto Anna Ventura merita.
 

Goffredo Palmerini

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