Giorno del Ricordo – La Verità in fondo al pozzo

Il 10 febbraio si commemora il settimo Giorno del ricordo ovvero la giornata, come riconosce la Legge 92 del 30 marzo 2004, istituita “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della […]

Il 10 febbraio si commemora il settimo Giorno del ricordo ovvero la giornata, come riconosce la Legge 92 del 30 marzo 2004, istituita “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”(art. 1). Dopo decenni di oscuro oblio (anche nelle lezioni di Storia: se febbraio è tempo di valutazioni scolastiche, discussioni infinite e confronti serrati tra docenti sull’assegnazione dei voti non solo relativi alle singole discipline ma anche al comportamento degli studenti, ognuno tragga le giuste considerazioni su quanto effettivamente conti oggi in Italia la memoria delle foibe) il Parlamento italiano nell’approvare la legge istitutiva, ha restituito dignità alla memoria delle migliaia di italiani trucidati barbaramente sul confine orientale e dei 350mila connazionali costretti all’esilio dalle terre natie di Istria, Fiume e Dalmazia per sfuggire alla repressione dei partigiani comunisti del Maresciallo Tito ed alla sistematica pulizia etnica attuata nei confronti dei cittadini italiani. Fu un vero genocidio la cui memoria, nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia, assume un significato molto particolare. La Verità certamente non può essere infoibata, ma la Verità deve essere ancora ricostruita, illustrata e trasmessa. Tra l’ottobre del 1943 e il maggio del 1945 decine di migliaia di italiani furono uccisi dai partigiani comunisti di Tito. Catturati nei luoghi di lavoro e nelle abitazioni, vennero imprigionati e poi gettati ancor vivi (legati con il filo di ferro, imbottiti di granate e spinti giù nell’abisso oscuro) nelle cavità carsiche, chiamate foibe. Militari, finanzieri, marinai, maestri elementari, impiegati comunali e minatori. Bastava essere italiani per finire nella lista nera e in fondo ai pozzi carsici. In nome dell’amicizia di buon vicinato con l’ex Jugoslavia di Tito, l’Italia affossò la verità storica in quelle fosse nere senza fine, tombe della Verità e della Dignità di una Nazione sconfitta che avrebbe perso tutto dopo la grande vittoria della Prima Guerra Mondiale che aveva perfezionato l’Unità d’Italia nel 1918. Così il 10 febbraio 1947 quando fu ratificato il Trattato di pace che sanciva il passaggio alla Jugoslavia delle ex province italiane dell’Adriatico, la tragedia assunse i contorni dell’umiliazione di un Paese umiliato e distrutto dall’insensata guerra fascista e di una Nazione da ricostruire integralmente daccapo, proprio dai cocci di quella “precaria” Unità di 150 anni fa che oggi celebriamo. Gli italiani che dovettero abbandonare l’Istria, la nostra terra per secoli, certamente non furono ben accolti in patria e molti lo dimenticano. Che significato assume oggi questa Giornata del Ricordo? Nella pratica significa che dobbiamo ricordare tutte le vittime (anche le altre, degli sloveni) ovvero tutti i cosiddetti “nemici del popolo” che finirono nelle foibe allora e che c’erano già finiti prima di allora, spinti anche da molti compatrioti fascisti e comunisti. Il problema non è come si fa a conservare la memoria di qualcosa, ma smontare quella macchina mentale e culturale (infernale) che fa di tutto per non avere il quadro corretto della Storia. Il 10 febbraio commemoriamo la tragedia nazionale ed europea delle foibe, l’esodo degli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia, nostri compatrioti frontalieri. La sensibilità e l’attenzione dimostrate sul piano legislativo intende valorizzare l’impegno delle istituzioni nella promozione culturale e sociale del Giorno del Ricordo, attraverso la conoscenza di tali tragici eventi di pulizia etnica ad opera dei partigiani comunisti iugoslavi e del conseguente esodo degli istriani, per l’affermazione di una coscienza civile che favorisca il superamento della cultura del pregiudizio e dell’odio. Il Comitato 10 Febbraio ogni anno si attiva presso le scuole di ogni ordine e grado, con informazioni utili alla conoscenza di una tragedia storica consumata su due fronti: l’eliminazione fisica e l’esodo. Le uccisioni e il fenomeno dell’esodo, determinato questo sia dal terrore psicologico delle foibe sia dalle deportazioni e dalla perdita della cittadinanza e della propria cultura hanno riguardato indistintamente militari e civili italiani, vittime del comunismo titino.

La scuola che è il luogo della conoscenza e dell’istruzione, ha l’alto compito di formare i giovani per la vita, di favorire lo sviluppo del senso civico, di educarli ai valori della cittadinanza, del lavoro, della pace, della solidarietà e del rispetto della persona. Le istituzioni scolastiche e in particolare i docenti, sono invitati a promuovere nell’ambito dei percorsi didattici e dell’offerta formativa, momenti di studio, di riflessione sul rispetto della persona, delle diversità e della collaborazione e solidarietà tra i popoli al fine di superare pregiudizi e odi di parte. La celebrazione del Giorno del ricordo, recuperando una parte della storia del popolo italiano, può essere l’occasione per conoscere e per capire. Conoscenza e comprensione sono le basi da cui partire per sentirsi integralmente cittadini italiani, europei e del mondo. L’Italia non può e non vuole dimenticare tutte le vittime: non perché il Giorno del Ricordo animi il risentimento, ma affinché le tragedie del passato non si ripetano più in futuro. Un appuntamento nato dai giovani e rivolto ai giovani, per comunicare e informare utilizzando gli stessi linguaggi, al fine di creare un sentimento di empatia e fare proprio un Ricordo che fa parte della cultura nazionale del nostro Paese. Ma anche per (far) respirare l’italianità di terre apparentemente lontane, abolendo la distanza tra le classi politica, turistica (economica) e sociale dei cittadini e, quindi, tra adulti e giovani perché questo Ricordo è di tutti e per tutti. Le istituzioni territoriali hanno il dovere di individuare nella Legge le forme migliori per commemorare e celebrare adeguatamente i nostri connazionali frontalieri, la cui storia rivive ogni giorno nella toponomastica delle nostre città. Per questi motivi il 10 febbraio si indossa in Italia il fiocco Tricolore, simbolo di riconoscimento per tutti quegli italiani che vogliono con questo semplice gesto ricordare quei tragici fatti. Una giornata che assume quest’anno un significato particolare, congiungendo idealmente tre tragedie della Storia: la Shoah del popolo ebraico, il genocidio di decine di migliaia di italiani infoibati e le oltre 120mila vittime della guerra civile risorgimentale del Nord contro i “briganti” del Sud Italia.

Ricorre, inoltre, il 10 febbraio 2011, il 101° anniversario della nascita di Giovanni Palatucci, ultimo Questore di Fiume che riuscì, durante la Seconda Guerra Mondiale, a salvare oltre 5mila ebrei.

“La verità è sempre rivoluzionaria” – diceva Gramsci e pare che i libri di Marco Pirina rispondano pienamente al vecchio e sempre attuale messaggio. Il primo volume del professor Marco Pirina,“1945-1947 Guerra Civile. La Rivoluzione Rossa” (edito dal Centro Studi e Ricerche Storiche Silentes Loquimur), è un libro (407 pp.) che punta i riflettori su un periodo storico fino ad oggi immerso nelle tenebre della memoria. Ma ecco pubblicato anche il secondo volume dell’opera (528 pagine, ottobre 2004) con centinaia di testimonianze e memorie che ricostruiscono la tragedia del Dopoguerra italiano, le stragi di repubblichini e dei loro familiari nelle Foibe, dopo la fine della guerra, l’eliminazioni gappiste di industriali, artigiani, agrari, preti, cattolici, socialisti, ex partigiani, “nemici” dei progetti rivoluzionari di chi non depose le armi nel nome di una “rivoluzione rossa”, creando quelle contraddizioni storico-politiche che ancora oggi alimentano la disinformazione in Italia e nel resto del mondo. In questi libri, per la prima volta vengono pubblicati integralmente i rapporti ufficiali dei Carabinieri sui fatti, copie di atti processuali, relazioni del Ministero dell’Interno e dell’intelligence americana. E i nomi delle vittime, reperiti da fonti ufficiali a guerra finita: oltre 50mila di cui 15mila insepolti. Ma che successe dopo il 25 aprile del 1945? E perché fu strappata un’importante pagina della storia d’Italia? Il doppio volume di Pirina recupera fatti, nomi, storie e raccoglie i frammenti dei feroci massacri compiuti dai partigiani comunisti verso i fascisti (gli ex), i repubblichini e gli inermi, fra cui preti, imprenditori e borghesi che non accettarono di partecipare al diabolico “disegno” e che non condividevano o intralciavano la strada dei partigiani comunisti verso il progetto rivoluzionario. L’Autore porta alla luce le pagine del diario di una Storia rimasta nascosta per più di 60 anni. La ricerca di Pirina è iniziata quando ebbe il coraggio e la volontà di ricomporre quella pagina della Storia strappata, il post-dopoguerra. Come nei libri di testo scolastici sono mancati per decenni le Foibe e la Guerra Civile italiana dopo l’8 settembre 1943, così i testi degli storici di questi ultimi 50 anni si erano lasciati indietro l’analisi del post-dopoguerra. Quando la Resistenza contro l’invasore, nella quale la Patria rinacque, era finita, qualcuno pensava di realizzare qualcos’altro. Un progetto rivoluzionario, senza libertà, giustizia e verità. Finita la Resistenza si è passati alle esecuzioni sommarie di fascisti, ex fascisti, di quanti coinvolti con la Repubblica Sociale Italiana e di civili innocenti. Un tema che ha per nostra fortuna interessato intellettuali di sinistra come Gianpaolo Pansa e Giovanni Pisanò. Ma qual è la differenza tra l’approccio di Pirina, di Pansa ne “Il sangue dei vinti” o di Pisanò ne “Il triangolo rosso”? Pirina ha lavorato su documenti e testimonianze, su atti giudiziari, su inchieste, su fonti giornalistiche e religiose. Il suo libro non è né un racconto né una ricostruzione: è la ricerca storica degli avvenimenti con una dimensione, una data ed un riferimento precisi. Qui non c’è quasi nulla di opinabile. È un diario cronologico di tutte le regioni del Nord Italia, provincia per provincia, dal 1945 ai primi del 1948. Ricompone, insieme ai suoi collaboratori del Centro Studi, episodi e fatti avvenuti in tante parti del Nord Italia, offrendo una chiave di lettura: ciò che accadde in Emilia Romagna aveva uno stesso messaggio, un medesimo disegno, identico alle altre regioni del Nord Italia. “Vi era un progetto – spiega Pirina – perché ciò che accadde in Istria, in Venezia Giulia e in Friuli, corrispondeva esattamente a quanto successe in Emilia Romagna, in Piemonte, in Lombardia. Un piano preciso. Cominciato ben prima della fine della guerra, con Porzus il 7 febbraio 1945, con l’uccisione dei partigiani cattolici e azionisti socialisti, ammazzati dai partigiani comunisti. Fatti ed atti immortalati dal regista Renzo Martinelli nel suo grande film. Successivamente anche la chiave di lettura che in questi ultimi anni si è data delle Foibe è stata molto falsata. Perché è stato accentuato un principio di lettura etnico: si è detto che sono stati gli slavi. Invece non è vero!”. Perché c’erano anche i partigiani comunisti italiani “che fisicamente sono andati a prelevare coloro che erano nemici del progetto internazionalista comunista. Perché sul confine era più facile. Era possibile realizzare il piano meglio che in Emilia Romagna, perché l’annessione avrebbe portato all’estensione anche territoriale”. Ma la ricostruzione di Pirina non riguarda solo le uccisioni dei fascisti. Ecco la novità assoluta. Nelle altre regioni del Nord Italia si è passati, dopo l’uccisione dei fascisti, all’uccisione di un sindaco socialista a Bologna (solo per citare un esempio), di preti, di commercianti, di borghesi, di imprenditori, di gente che col fascismo non aveva avuto niente a che fare, ma che faceva parte di quel ceto che rifiutava il progetto rivoluzionario comunista. E nei territori dove il controllo era maggiore, perché più forti erano state le formazioni partigiane garibaldine che non avevano mollato le armi, questo progetto si estese nel tempo. “Così a Milano, per esempio, la Volante Rossa continuò ad ammazzare con stile gappista fino al 1949 quando i principali responsabili, invece di essere processati, furono fatti scappare dal partito e da Togliatti stesso…e i responsabili poi occuparono dei posti di enorme prestigio nei paesi dell’Est”. Togliatti li difese. “Furono protetti da Togliatti il quale da una parte fece finta di minimizzare o di isolare questa scheggia impazzita e dall’altra la difese facendo andare all’estero oltre 34mila responsabili. Terribile fu quando con le due amnistie del 1952 e del 1953 (quando la DC ha il controllo del governo in senso maggioritario) furono coperti tutti i reati avvenuti dal ’45 al ’47. Questo è importante perché mostra con chiarezza la chiave di lettura che ho dato del tentativo rivoluzionario”. Dunque venivano eliminati i nemici di questa rivoluzione rossa: ecco la differenza di lettura tra il libro di Pirina e quello di Pansa il quale esamina il momento della jacquerie rivoluzionaria nei confronti dei vinti, che c’è stata ed è presente anche nel libro di Pirina. Ma poi non è finita. “Perché una scheggia del Partito Comunista che faceva riferimento a Pietro Secchia, non voleva perdersi il momento buono: avevano le armi, avevano il controllo di alcuni territori, avevano tutto. Quindi ci potevano provare. Non ci sono riusciti, ma ci hanno provato. E per farlo c’erano da eliminare tutti coloro che rappresentavano un pericolo per il disegno, come nel caso di Gorizia dove vengono uccisi i membri del Comitato Liberazione Nazionale. O come a Trieste o come gli industriali di Reggio Emilia…”. Poi, con le elezioni del 18 aprile 1948 si alimenta la fiammata rivoluzionaria. “Le schegge minime continuano ad essere presenti nelle varie cellule e nei diversi paesi dove c’è una predominante elettorale comunista. Poi si vanno a riversare negli anni ’60 e ’70, in quelle che poi diventeranno le Brigate Rosse…”.

Nei libri di Pirina, inoltre, viene denunciato apertamente il legame che unisce l’azione dei partigiani comunisti dopo il 25 aprile, con l’attività terroristica delle Br. “C’è un legame, un filo rosso come lo chiama Massimo Caprara, che continua sempre. E l’esame di queste radici storiche l’ho voluto fare sui fatti. Basta leggere, nel capitolo di Reggio Emilia, le dichiarazioni del partigiano William: il Partito Comunista mi ha ordinato di uccidere e di fare la rivoluzione. Ma senza la lettura di questi fatti, svanisce anche l’interpretazione della grande spaccatura che c’è, ancora oggi, tra gli italiani. Proprio perché non è mai stato esaminato ed elaborato culturalmente e con serenità quello che successe in quegli anni tragici della nostra Storia. Attraverso il suo metodo, la trascrizione di episodi violenti, di flash crudeli, Pirina sostiene che il libro non rischia affatto di riaccendere l’odio, come alcuni pensano. “Assolutamente no. Se lo si legge con lo spirito che gli ho voluto dare, restituisce dignità alla Memoria. Il rancore nasce proprio dal silenzio. Vanno ricordati sia le vittime sia i responsabili”. E sul perché in fondo al libro vi siano delle pagine bianche, l’Autore non ha dubbi:“Per coinvolgere i testimoni, finché ci sono…”.

Senza Giustizia nell’Europa post-cristiana (Italia compresa) non solo si rischiano conseguenze etiche e politiche molto gravi, ma non avrebbe alcun senso celebrare il Giorno del Ricordo. Se la Giustizia, indubbiamente imperfetta, non può essere realizzata né resa, allora viene confermata una scissione tra Morale e Giustizia. Allora la Legge viene sminuita, si tende anzi ad aggirarla e infine ad abolirla. Lo scacco della Legge è qui sempre in agguato insieme alla rivincita del colpevole.
Nella Storia, prima o poi, ciascuno è giudicato secondo le proprie azioni perché Etica e Giustizia restano inscindibilmente connesse per il trionfo della Verità. Se sanno qualcosa i criminali nazisti catturati, giudicati, condannati e, per motivi di salute, in libera circolazione a Roma come in tante altre città del mondo! La Legge mantiene la saldezza di un valore che accomuna e il risarcimento (anche dove il contesto è quello dell’imperdonabile) va considerato ed equamente quantificato. Perché si può e si deve pensare che la Giustizia trionfi anche nella Storia d’Italia. Altrimenti non avrebbe alcun senso celebrare anche solo per un anno il “17 Marzo”, giorno della Unità d’Italia.

Gli Americani hanno elaborato i loro lutti della Guerra di Secessione scoppiata proprio 150 anni fa. Noi italiani, ancora no. Il Talmùd insegna che ci si deve occupare dei “danni”, cioè di non fare del male al prossimo. Sembra un programma molto limitato, in genere quando si parla del rapporto con il prossimo si usano molto i termini:“rispetto”, “amicizia” e “amore”. Cioè si declina questo rapporto in positivo senza soffermarsi troppo sul “non procurare danni”. Anche al San Valentino Day, mi raccomando! Gli Ebrei, ad esempio, insegnano che la strada maestra nel rapporto con il prossimo è allontanarsi dal male per fare del bene. Noi viviamo in un’epoca in cui si parla continuamente di rispetto verso gli altri ma in cui questo rispetto è una “merce” sempre più rara. Rispetto innanzitutto è “non fare del male” fisicamente, psicologicamente, moralmente.

Si parla, si riparla e si straparla delle radici giudaico-cristiane dell’Europa. Finché l’abbiamo fatto con insistenza noi cattolici italiani, aggiungendo il “giudaico-” come un prefisso telefonico (la battuta opportuna è di Gad Lerner) era quasi un nostro affare che più di tanto non ci riguardava né entusiasmava. Ma ora sempre più sono gli intellettuali che si battono per sbandierare questa definizione. Che a tutti non piace. Le radici dell’Europa sono tante: pagane, greche, romane, celtiche, slave, arabe, islamiche. E sono anche quelle di pensatori e martiri come Ipazia che hanno dato la vita per la Verità. E della filosofia, dell’illuminismo, della rivoluzione francese, americana e inglese. Magari in un prossimo futuro aggiungeremo il probabile incontro-scontro culturale con qualche civiltà extraterrestre (benigna si spera: http://planetquest.jpl.nasa.gov/, altrimenti saremo cenere!) se prima non la distruggeremo com’è toccato in sorte ai Nativi Americani!

Anche perché la Storia dei rapporti tra ebrei e cristiani, che da poco si tinge di rosa, non è stata nei millenni precedenti in Europa (e in Abruzzo) una storia d’amore. Quindi è giusto non mescolare tanto le radici, facendo bene attenzione a non dimenticare le identità, i vari punti di vista, nel nome di nuove sante alleanze precarie, improbabili e rischiose. Idem per le Foibe e i nostri connazionali. Ogni ideologia dice la sua per difendere l’impossibile mentre la Verità resta in fondo a quei pozzi oscuri e senza fondo, silenziose tombe per decine di migliaia di persone, non solo italiane, che attendono Giustizia.

Nicola Facciolini

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