Inno Nazionale di Goffredo Mameli è validissimo per Italia Federale

Giustamente il 150mo anniversario dell’Unità del Regno d’Italia propone, insieme al tema sul ruolo degli ebrei italiani nel processo risorgimentale, anche il dibattito sull’assimilazione dei popoli, delle culture (con annessa depredazione!) e degli stati superstiti italiani dell’Antico Regime. Temi niente affatto cari alle sceneggiate dei comici televisivi che in esegesi quanto meno sospette pretendono forse […]

Giustamente il 150mo anniversario dell’Unità del Regno d’Italia propone, insieme al tema sul ruolo degli ebrei italiani nel processo risorgimentale, anche il dibattito sull’assimilazione dei popoli, delle culture (con annessa depredazione!) e degli stati superstiti italiani dell’Antico Regime. Temi niente affatto cari alle sceneggiate dei comici televisivi che in esegesi quanto meno sospette pretendono forse un po’ troppo se non l’impossibile. Grazie a Dio abbiamo storici del calibro di Anna Foa che, intervenendo sui dati all’emancipazione degli ebrei, sul contesto in cui questi nomi si sono affermati e sul senso che hanno assunto, possono offrire spunti assai interessanti di riflessione. La Foa rivela che “nella consapevolezza i nomi sono delle interpretazioni e in quanto tali nascono in un particolare contesto storico, obbediscono a bisogni particolari”. Un ragionamento molto utile per comprendere anche la natura del Risorgimento italiano e dell’Inno nazionale di Mameli che intendiamo spiegare. Il più diffuso di questi nomi, “emancipazione”, appare per la prima volta in riferimento agli ebrei già nella Germania della prima metà dell’Ottocento, in seguito all’emancipazione dei cattolici irlandesi, nel 1829. Anche il termine “assimilazione appare nella prima metà del XIX secolo e viene usato in alcune pagine di Heinrich Heine e di Moses Hess, entrando nel dibattito politico però solo intorno agli anni ‘80 dell’Ottocento. Esso è, tra tutti i nomi usati per designare l’ingresso degli ebrei nella società esterna, il più ambiguo e il più connotato negativamente, perché suggerisce l’idea che tale inserzione abbia provocato la perdita, veloce o progressiva, della loro identità ebraica”. Assai più recenti, degli ultimi decenni, sono invece i termini, ormai molto usati, di: integrazione, acculturazione, modernizzazione, desunti dalle scienze sociali a designare l’entrata di una minoranza, in questo caso quella ebraica, nella società esterna. “Nei loro studi sugli ebrei dei vari paesi d’Europa, gli storici fanno molta attenzione a distinguere queste etichette ed a precisare la natura dei diversi processi, mentre nella vulgata storiografica sono termini che vengono spesso usati in maniera indifferenziata a descrivere quelli che sono in realtà processi di diversa natura, economico-sociale, giuridico-politica, identitario-religiosa”. Questa vulgata pur obbedendo a motivazioni diverse da quelle della storia “risponde ad un percorso storico assai specifico fatto dal mondo ebraico italiano nella sua interpretazione del proprio passato: la costruzione di un paradigma identitario dalla fusione, negli anni intorno all’inizio del Novecento, di una precedente riflessione sulla necessità di tener saldo un ebraismo passibile di disgregazione, frutto di timori soprattutto religiosi e tale comunque da non mettere mai in discussione l’adesione all’emancipazione e al processo risorgimentale, e la polemica antiemancipatoria del sionismo, che vedeva in questa integrazione la perdita dell’identità della diaspora”. Si trattava di un modello interpretativo della storia degli ebrei che si basava sulla netta contrapposizione tra identità ebraica ed “assimilazione e che è rimasto a lungo egemone nella storiografia e nel senso comune storiografico, fino a prender nuova linfa dalla riflessione del dopo-Shoah sull’inanità dell’emancipazione”. Si tratta di interpretazioni che hanno goduto di un’eccezionale vitalità nel mondo ebraico italiano, “anche se in anni recenti gli storici degli ebrei, a partire dalla storiografia anglosassone ed israeliana, le hanno confutate e demolite sulla base di attenti studi di storia sociale e culturale, fino a proporre, come in uno studio sul caso tedesco dello storico Scott Spector apparso nel 2006 sulla rivista americana Jewish History, l’eliminazione pura e semplice del termine “assimilazione” dall’uso storiografico: “Forget assimilation”, dimenticatevi dell’assimilazione”. L’eccidio di Bronte contro gli inermi contadini come può essere definito? Un atto “eroico” di assimilazione necessaria ai fini dell’Unità del Regno d’Italia? Nel Canto degli Italiani si rievoca la battaglia di Legnano del 1176 in cui la Lega Lombarda sconfisse Barbarossa. Tema fortissimo, sorgente del Federalismo di ieri e di oggi negli oltre 8mila Comuni italiani. “Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa. Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, che schiava di Roma Iddio la creò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì! Noi fummo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popoli, perché siam divisi. Raccolgaci un’unica bandiera, una speme: di fonderci insieme già l’ora suonò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì! Uniamoci, uniamoci, l’unione e l’amore rivelano ai popoli le vie del Signore. Giuriamo far libero il suolo natio: uniti, per Dio, chi vincer ci può? Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì! Dall’Alpe a Sicilia, dovunque è Legnano; ogn’uom di Ferruccio ha il core e la mano; i bimbi d’Italia si chiaman Balilla; il suon d’ogni squilla i Vespri suonò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì! Son giunchi che piegano le spade vendute; già l’Aquila d’Austria le penne ha perdute. Il sangue d’Italia e il sangue Polacco bevé col Cosacco, ma il cor le bruciò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte. Siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì!”. Cosa intendeva dire Mameli? L’elmo di Scipio: la cultura di Mameli è classica, forte è il richiamo alla grandezza dell’impero romano. L’Italia ha di nuovo sulla testa l’elmo di Scipio (Scipione l’Africano), il generale romano che nel 202 avanti Cristo sconfisse a Zama il cartaginese Annibale. L’Italia è tornata a combattere. Le porga la chioma: la Vittoria si offre alla nuova Italia e a Roma, di cui la dea fu schiava per volere divino. La Patria chiama alle armi: la coorte (600 uomini), infatti, era la decima parte della legione romana. La Vittoria sarà di Roma, cioè dell’Italia. Nell’antica Roma alle schiave venivano tagliati i capelli. Così la Vittoria dovrà porgere la sua chioma perché sia tagliata, perché la Vittoria è schiava di Roma che sarà appunto vincitrice. Coorte: nell’esercito romano le legioni erano divise in molte coorti. Stringiamci a coorte significa: restiamo uniti fra noi combattenti che siamo pronti a morire per il nostro ideale. Calpesti significa. calpestati. Raccolgaci: la lingua di Mameli è la lingua poetica dell’Ottocento. Questo raccolgaci in italiano moderno significa: ci raccolga, un congiuntivo esortativo che assimila il pronome diretto. Il significato è: ci deve raccogliere, tenere insieme. Una speme: altra parola letteraria e arcaica. Significa speranza. Una Bandiera e una speranza (speme) comuni per l’Italia, nel 1848 ancora divisa in sette Stati. Fonderci insieme: negli anni del giovane Goffredo Mameli l’Italia è ancora divisa in molti piccoli stati. Il Canto dice che è l’ora di fondersi, di raggiungere l’unità nazionale. Per Dio: è un francesismo e significa “da Dio”: se siamo uniti da Dio, per volere di Dio, nessuno potrà mai vincerci. Qui è forte il richiamo all’insegnamento di Santa Canterina da Siena, patrona d’Italia. Tuttavia, mazziniano e repubblicano, Mameli traduce qui il disegno politico del creatore della Giovine Italia e della Giovine Europa. Che avrà mai voluto intendere Goffredo Mameli? Siccome aveva vent’anni ci piace pensare che abbia voluto lui stesso giocare sul doppio senso (morì proprio a Roma nel 1849, combattendo per la Repubblica Romana). Dovunque è Legnano: ogni città italiana è Legnano, il luogo dove nel 1176 i comuni lombardi sconfissero l’Imperatore tedesco Federico Barbarossa. In questa strofa, Mameli ripercorre sette secoli di lotta contro il dominio straniero. La Lega Lombarda ma anche l’estrema difesa della Repubblica di Firenze, assediata dall’esercito imperiale di Carlo V nel 1530, di cui fu simbolo il capitano (Ferruccio) Francesco Ferrucci. Il 2 agosto, dieci giorni prima della capitolazione della città, egli sconfisse le truppe nemiche a Gavinana; ferito e catturato, viene finito da Fabrizio Maramaldo, un italiano al soldo straniero, al quale rivolge le parole d’infamia divenute celebri: “Tu uccidi un uomo morto”. Balilla: è il soprannome del bambino che con il lancio di una pietra nel 1746 diede inizio alla rivolta di Genova contro gli Austro-piemontesi. Sebbene non accertata storicamente, la figura di Balilla rappresenta il simbolo della rivolta popolare di Genova contro la coalizione austro-piemontese. Dopo cinque giorni di lotta, il 10 dicembre 1746 la città è finalmente libera dalle truppe austriache che l’avevano occupata e vessata per diversi mesi. Ogni squilla significa “ogni campana”. I Vespri: è la sera del 30 marzo 1282, tutte le campane chiamarono il popolo di Palermo all’insurrezione contro i Francesi di Carlo d’Angiò. La rivolta si è poi chiamata la rivolta dei Vespri siciliani poiché i siciliani si ribellano ai francesi invasori una sera, all’ora del vespro. Le spade vendute: i soldati mercenari si piegano come giunchi e l’aquila, simbolo dell’Austria, perde le penne. L’Austria era in declino (le spade vendute sono le truppe mercenarie, deboli come giunchi) e Mameli lo sottolinea fortemente: questa strofa fu in origine censurata dal governo piemontese. Insieme con la Russia (il cosacco), l’Austria aveva crudelmente smembrato la Polonia. Ma il sangue dei due popoli oppressi si fa veleno che dilania il cuore della nera aquila d’Asburgo. Quali altri segreti riserva il Canto degli italiani? Ve li lasciamo scoprire: www.quirinale.it/qrnw/statico/simboli/inno/inno.htm, nella speranza di infondere uno spirito autenticamente federale e unitario per il trionfo della Verità storica che finora ci è stata negata. Elaborare la nostra storia passata (lutti compresi) è utile per programmare i prossimi 150 anni dell’Italia unita e federale sulla Terra e tra le stelle per la Pace. Perché la Bandiera tricolore di Dante, il Sommo Poeta che la ispirò dai colori della magnifica Beatrice (la veste bianca, il verde dell’ulivo e il rosso delle fiamme), ha un significato sublime e celeste assolutamente da riscoprire, studiare e valorizzare. Forse, l’Inno di Mameli non è solo il Canto degli italiani.

Nicola Facciolini

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