Sbarchi, rivolte e complici ipocrisie

Dopo la breve pausa dei giorni scorsi, è ripresa l’ondata di sbarchi di immigrati nordafricani sulle coste dell’isola di Lampedusa, con gli ultimi due avvenuti all’alba di oggi, che hanno portato altri 132 tunisini. Nel frattempo continua l’ondata di rivolte in Maghreb, con migliaia di persone che hanno manifestato, ieri, in 20 città del Marocco […]

Dopo la breve pausa dei giorni scorsi, è ripresa l’ondata di sbarchi di immigrati nordafricani sulle coste dell’isola di Lampedusa, con gli ultimi due avvenuti all’alba di oggi, che hanno portato altri 132 tunisini. Nel frattempo continua l’ondata di rivolte in Maghreb, con migliaia di persone che hanno manifestato, ieri, in 20 città del Marocco per chiedere riforme politiche che limitino i poteri di re Mohammed VI, un giovane ucciso e altre quattro persone ferite in uno scontro con i soldati nel porto meridionale di Aden nello Yemen e la Libia sull’orlo della guerra civile, con feroce repressione da parte di Gheddafi ed un bilancio salito a oltre 300 morti. Il vescovo di Tripoli, Martinelli, ha affermato ieri: “non siamo in grado di sapere a chi appartengano in questo momento Bengasi e altre città della Cirenaica”, mentre un gruppo di estremisti islamici, che si fa chiamare “l’emirato islamico di Barka”, ha preso in ostaggio membri delle forze di sicurezza e civili ad Al Baida, sempre in Cirenaica. Il figlio del colonnello Muammar Gheddafi, Saif al Islam, è andato in tv per assicurare che il padre è in Libia, che “non è un leader come Ben Ali o Mubarak”, ed è sostenuto dall’esercito. In un discorso trasmesso nella notte dalla televisione di stato, Saif ha ammesso che le forze di sicurezza hanno commesso “errori” nel loro intervento contro la folla di manifestanti, perché, ha detto, non sono state addestrate a questo genere di operazioni, ma ha anche smentito che siano state uccise oltre 200 persone a Bengasi, nella violenta repressione delle proteste, così come denunciato da fonti mediche e dell’opposizione. Come ricorda oggi il TG1com, Muammar Gheddafi è il più longevo leader arabo-musulmano, al potere dal 1969. Nato a Sirte, in pieno deserto libico, nel 1942, da una famiglia di poveri beduini. All’età di nove anni si trasferì a Sebha dove andò a scuola e assorbì le idee provenienti dal vicino Egitto, teatro della rivoluzione di Gamal Abdel Nasser, uno dei massimi esponenti del nazionalismo arabo. Il primo settembre 1969, i libici appresero dalla radio che re Idris – da alcuni giorni partito per l’estero – era stato estromesso e che il loro paese aveva cessato di essere una monarchia. A guidare la rivolta contro il sovrano – nel ruolo di leader del Consiglio del Comando della rivoluzione – era proprio il giovanissimo Gheddafi. I suoi primi atti di governo erano in linea con i progetti coltivati in segreto negli anni precedenti: nazionalizzazione delle banche estere e delle compagnie petrolifere, nonchè la chiusura di tutte le basi militari occidentali. Panarabismo ed accentuazione dell’aderenza ai precetti islamici in tutti i settori – tra cui la proibizione della vendita e del consumo di alcolici – caratterizzano la Libia dei primi anni della rivoluzione gheddafiana. Negli anni ’80, la Libia di Gheddafi si configurò come “stato-canaglia”, sostenitore di gruppi terroristici quali l’irlandese IRA e il palestinese Settembre Nero. Gheddafi fu progressivamente emarginato dalla NATO e il 15 aprile 1986 Tripoli fu bombardata dai caccia americani (Secondo scontro aereo del golfo della Sirte), rispondendo con un attacco missilistico contro Lampedusa. Nel 1988, la Libia organizzò l’attentato di Lockerbie sul volo Volo Pan Am 103, che causò la morte di 270 persone. Con la risoluzione 748/92, l’ONU impose un embargo sulla Libia, finché essa non consegnerà gli imputati (5 aprile 1999) e non accetterà la responsabilità civile verso le vittime (2003). La più recente visita del colonnello Gheddafi nel nostro Paese risale allo scorso agosto quando invitò “l’Europa a convertirsi all’Islam”. I colloqui che ebbe con il premier Berlusconi si sono incentrati prevalentemente sulla politica internazionale, in particolare sull’Africa, e sul Medio Oriente. I due leader, hanno fatto una serie di valutazioni sulle prospettive della pace in Medio Oriente a seguito degli ultimi sviluppi nell’area. Gheddafi avrebbe inoltre rinnovato l’attenzione della Libia alla penetrazione delle imprese italiane nel Paese, frutto della firma del trattato di Amicizia tra Italia e Libia di cui era ricorso il secondo anniversario. Lasciata la residenza dell’ambasciatore, Berlusconi e Gheddafi hanno inaugurato la sede romana dell’Accademia libica in Italia, in occasione della Giornata di amicizia italo-libica. Sulla targa posta all’ingresso dell’Accademia c’era scritto in caratteri arabi:”per l’occasione del secondo anniversario della firma del trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la grande Jamaryiha e la Repubblica italiana, il fratello leader della rivoluzione Mummar Gheddafi ha inaugurato in presenza del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, la sede dell’Accademia libica in Italia per essere un ponte di congiungimento culturale e civile tra la grande Jamaryiha e la Repubblica italiana. Roma 30 agosto 2010″. Su Libetiamo di ieri, Carmelo Palma, scrive che la Libia, con Berlusconi, è divenuta il partner privilegiato della nostra politica mediterranea, con Gheddaffi che continuamente ricatta l’Europa globalizzando il disordine e minacciando di far esplodere la bomba migratoria sulle coste europee , per costringere il vecchio continente a legittimare la sua “risposta” alla rivolta o forse perfino ad accorrere in suo aiuto. E con l’Italia, che ormai confonde la solidità dei regimi con la stabilità dei paesi, che potrebbe essere tentata dallo scambio e trascinare così i partner europei ad un atteggiamento benevolo, per tamponare la falla che si apre lungo la frontiera libica con un’apertura di credito destinata ad allargarla. E’ ormai chiaro che nella sponda sud del mediterraneo e in buona parte del medio-oriente è di fatto finita una stagione politica lunghissima, quella delle autocrazie nazionali in bilico tra legittimazione esterna e delegittimazione interna, tra nazionalismo arabo e “responsabilità” internazionali. Nessuno sa con precisione se – e dove – tra il potere dei militari e quello delle grandi maggioranze islamiche si riuscirà a raggiungere un compromesso in grado di accompagnare il mondo arabo in un processo di graduale modernizzazione politica. E’ chiaro che di fronte all’alternativa tra democrazie fanatizzate e autocrazie affaristiche l’Europa – e l’Italia – sarebbe costretta a scegliere le seconde, ma, a differenza di quanto pensa Frattini (e con lui il governo) , non è detto che la sponda sud del Mediterraneo sia condannata, nei secoli, a questa sola alternativa. E mentre il dittatore si prepara ad uccidere altre centinaia, se non migliaia di manifestanti, probabilmente dal suo rifugio sicuro in Venezuela (come sostiene Al Jazeera), assoldando milizie di origine africana in grado – grazie alla loro totale estraneità nei cofronti dei legami tribali – di reprimere nel sangue gli afflati di libertà della popolazione, il nostro dittatore locale dichiara: “Non ho sentito Gheddafi. La situazione è in evoluzione, quindi non mi permetto di disturbare”. Quindi, in questo drammatico frangente il Cav non chiama Gheddafi per non disturbalo o, forse, per via del rischio intercettazioni o, piuttosto perché il colonnello è un interlocutore perfetto nella politica concepita dal nostro governo nell’area calda del Mediterraneo. La situazione in Libia è così grave e fuori controllo che l’Ue sta considerando di evacuare i cittadini europei, in particolare da Bengasi, ma un aereo della Turkish Airlines inviato da Ankara per riportare in patria i cittadini turchi non è potuto atterrare nella città ed è dovuto tornare indietro. Finmeccanica ha già iniziato l’evacuazione dei propri dipendenti, mentre l’Eni fa sapere che al momento le operazioni del gruppo in Libia procedono nella normalità. – Il dipartimento di Stato americano ha ribadito di essere molto preoccupato per la situazione in Libia. Per protestare contro la repressione e l’utilizzo di mercenari stranieri per sparare contro i rivoltosi, si sono dimessi gli ambasciatori libici in India, Cina e alla Lega Araba, ha reso noto il servizio in arabo della Bbc. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha fatto appello a “non ricorrere all’uso della forza e a rispettare le libertà fondamentali”. Invece il nostro Frattini, al suo arrivo alla riunione dei capi delle diplomazie dell’Ue ha affermato ha affermato: “Siamo ancora più preoccupati perché si stanno affermando ipotesi di emirati islamici a est e questo, a poche decine di chilometri da noi, sarebbe un fattore di grande pericolosità. Sono molto preoccupato per una Libia divisa a metà, tra Tripoli e la Cirenaica”. Evidente richiamo alla necessità di tutelare Gheddafi. Prima della Seconda guerra mondiale la Libia era stata una delle colonie dell’Impero Italiano, sino a quando le truppe italiane non vi furono scacciate dagli alleati nel 1943. Dal 1943 la Libia cadde sotto il controllo della Francia e del Regno Unito, che la ebbero in gestione fiduciaria dalle Nazioni Unite nel 1947 anno in cui la nascente Repubblica Italiana rinunciò definitivamente alla colonia. Il Regno Unito mantenne il controllo su Tripolitania e Cirenaica, mentre la Francia sulla regione del Fezzan. Il 21 novembre 1949, l’Assemblea generale dell’ONU approvò una mozione, in cui la Libia sarebbe diventata indipendente dal 1 ° gennaio 1952. Idris Senussi, Califfo di Cirenaica e Tripolitania e capo dei mussulmani Senussi, rappresentò Libia ai negoziati delle Nazioni Unite, e il 24 dicembre 1951, proclamando l’indipendenza del paese, a regime monarchico. A Idris venne offerta la corona dai rappresentanti delle tre regioni (Cirenaica, Tripolitania e Fezzan) e salì al trono con il nome di Idris I di Libia. In conformità con la Costituzione, il nuovo Stato ha un governo federale con i tre Stati della Cirenaica, Tripolitania e Fezzan autonomi. Il regno aveva anche due città-capitale Tripoli e Bengasi. Due anni dopo l’indipendenza, il 28 marzo 1953, la Libia aderì la Lega Araba. La monarchia decadde il 1 ° settembre 1969, quando un gruppo di ufficiali militari guidati da Muammar al-Gaddafi attuarono un colpo di stato contro re Idris, mentre egli era in Turchia per delle cure mediche. I rivoluzionari arrestarono il capo di stato maggiore dell’esercito e il capo della sicurezza del regno. Dopo aver saputo del golpe, re Idris lo respinse, definendolo “irrilevante”, mentre il principe ereditario Hasan-Senussi annunciò il suo sostegno per il nuovo regime. Dopo il rovesciamento della monarchia, il paese fu ribattezzato Repubblica araba di Libia ma, di fatto, esiste di fatto una netta separazione fra Cirenaica e Tripolitania, con la prima del tutto contraria (e da sempre) al regime di Gheddafi, anche se il colonnello è un suo figlio. Proprio in Cirenaica, a una quarantina di chilometri da Al Bayda, in un campo di concentramento italiano, fu impiccato, il 15 settembre del 1931, il “leone del deserto”, il leggendario capo dei ribelli Omar el Mukhtar e sempre di questa terra era re Idris dei Senussi, deposto proprio dal colpo di Stato incruento del colonnello Gheddafi, il 1˚ settembre del 1969. Non è la prima volta che sotto Gheddafi la Cirenaica si ribella. Anche prima dei morti di Bengasi (2006) per la maglietta anti-Islam di Calderoli, le proteste sono state sedate nel sangue. Ma oggi la posta in gioco potrebbe essere ancora più alta ed anche il nostro governo dovrebbe rendersene conto. Si ricorderà, nell’agosto scorso, la liturgia dei caroselli con cavalli berberi e quelli dei carabinieri, con le sciabole scintillanti, gli inni scanditi dalla banda, che suggellava un patto tra Italia e Libia, certamente unico in un mondo percorso dalle inquietudini e dalle scosse razziali, con sotto la tenda, allestita nei giardini della residenza dell`Accademia libica, il premier ed il Colonnello che conversano amabilmente di politica internazionale e di Africa, ma anche delle prospettive di pace in Medio Oriente e di come si potesse uscire dalla crisi economica internazionale. Alla fine delle giostre e delle chiacchiere, si decise che l’Italia, in base al trattato di Bengasi del 2008, avrebbe pagato 5 miliardi di dollari alla Libia, come compensazione per l`occupazione militare e in cambio, la Libia, avrebbe preso misure per combattere l`immigrazione clandestina dalle sue coste. Sappiamo come è andata. Da anni la nostra Nozione sostiene un governo che sta annegando nel sangue la rivolta di massa per la libertà. Governi di ogni colore, s’intende, ma oggi, come scrive “Italia Alternativa”, sono Berlusconi e Bossi primi complici di Gheddafi e dei suoi crimini, poiché lo hanno coperto di miliardi in cambio di commesse per i capitalisti italiani e di campi di prigionia ( e di tortura) per i migranti d’Africa, col contorno di amazzoni e scambi “culturali” tra Sultani. E il silenzio di Berlusconi sulla strage in corso è solo la confessione ipocrita di questa complicità.

Carlo Di Stanislao

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