Gli infiniti mondi alieni del Telescopio Spaziale Keplero: una donna scoprira’ ET

Bingo! Sarà una donna, Natalie Batalha, a svelare al mondo il pianeta di ET grazie al telescopio spaziale dedicato a Johannes Kepler (1571-1630), il grande astronomo tedesco che ha rivoluzionato la nostra percezione dell’Universo, oggi pieno di centinaia di potenziali Terre (http://planetquest.jpl.nasa.gov/). Sul totale di stelle che dovrebbero essere 300mila miliardi di miliardi, l’esiguo pacchetto […]

Bingo! Sarà una donna, Natalie Batalha, a svelare al mondo il pianeta di ET grazie al telescopio spaziale dedicato a Johannes Kepler (1571-1630), il grande astronomo tedesco che ha rivoluzionato la nostra percezione dell’Universo, oggi pieno di centinaia di potenziali Terre (http://planetquest.jpl.nasa.gov/). Sul totale di stelle che dovrebbero essere 300mila miliardi di miliardi, l’esiguo pacchetto turistico offerto dal Telescopio Spaziale Keplero (www.kepler.nasa.gov) prevede ai futuri costi delle auspicabili missioni umane interstellari, viaggi fino a 3mila anni luce dalla Terra, per raggiungere alcuni dei mondi alieni scoperti nella fetta di cielo compresa tra le costellazioni del Cigno, della Lira e del Drago. Un’enorme quantità di spazio (tra i 600 e i 3mila anni luce) probabile sede di pianeti simili alla Terra. Esistono sistemi solari come il nostro, sicuramente molto più vicini, antichi e ricchi di pianeti, che attendono di essere osservati, scoperti ed esplorati già oggi con le nostre attuali tecnologie. In grado di far lievitare alle stelle il Pil di questo nostro povero mondo proiettato invece sull’abisso di un terzo conflitto mondiale dagli esiti indecifrabili. Basta decidere subito cosa fare. Basta stabilire immediatamente quali sono le nostre intenzioni di Paesi civili. Se, come auspico, sono di Pace, allora tutti insieme dovremmo, con una rivoluzione economica stile “Gelsomini”, convertire l’industria militare offensiva, in imprese spaziali private e pubbliche in aperta e libera concorrenza, per l’affermazione del diritto commerciale nello spazio profondo, oltre l’orbita terrestre, oltre le imprese burocratiche delle Agenzie pubbliche, oltre l’orbita terrestre, oltre i combustibili fossili, oltre la fissione nucleare. La disoccupazione mondiale non sarebbe più un problema se gli economisti optassero per l’introduzione e la soluzione di questa equazione matematica essenzialmente “empatica”: spazio cosmico uguale impresa, lavoro e sviluppo. Perché questa è scienza non fantascienza. Come la notizia, recentemente confermata dagli scienziati della Nasa, utilizzando la sonda Kepler, della scoperta (in luce visibile) dei primi sei pianeti, fatti di un miscuglio di roccia e gas, in orbita attorno a una stella, simile al Sole, chiamata Kepler-11 localizzata a circa 2mila anni luce dal nostro patrio pianeta Terra. Il sistema solare alieno di Kepler-11 è straordinariamente compatto, piatto e ricco di grossi pianeti rocciosi che orbitano vicini alla loro stella. Se non lo avessero prima osservato gli scienziati non ci avrebbero mai creduto. Figuriamoci gli autori Star Trek che non avrebbero mai osato immaginare e filmare scenari celesti così interessanti. Kepler-11 è il sistema solare alieno più completo e compatto mai scoperto prima dall’Uomo. Si conoscono poche stelle con più di un pianeta in transito e Kepler-11 è il primo astro ad averne più di tre. Sistemi come questo non sarebbero comuni. Gli scienziati credono che meno dell’uno percento di stelle abbia sistemi di pianeti come Kepler-11. Anche se poi ammettono che i dati sono ancora insufficienti per sapere quanti ve ne siano effettivamente là fuori: uno su mille, uno su 10mila, uno su un milione? Finora è stato osservato solo un sistema solare con tali caratteristiche. Ma tutti i pianeti in orbita su Kepler-11, una stella nana gialla, sono più grandi della Terra. Uno è comparabile ai nostri Urano e Nettuno. Il pianeta più interno, Kepler-11b, è dieci volte più vicino alla sua stella di quanto lo sia la Terra al Sole. Subito dopo si possono incrociare gli altri pianeti: Kepler-11c, Kepler-11d, Kepler-11e, Kepler-11f, e il più esterno, Kepler-11g, che orbita ad una distanza doppia rispetto alla Terra. Il confronto con il nostro sistema solare è sbalorditivo se sovrapponiamo le orbite. I primi cinque pianeti più vicini alla stella orbitano tutti entro lo spazio del nostro Mercurio. Il sesto è ancora vicino. Nel nostro sistema solare, Kepler-11g si troverebbe tra Mercurio e Venere! I primi cinque esopianeti hanno periodi orbitali (di rivoluzione) compresi tra 10 e 47 giorni mentre un anno su Kepler-11g trascorre in appena 118 giorni. Dalle misure di dimensione e massa della cinquina, gli scienziati hanno determinato che si tratta dei primi cinque mondi alieni più piccoli finora scoperti e confermati fuori dal nostro sistema solare. Un mix di roccia e gas che potrebbe contenere anche l’acqua. La materia rocciosa compone la maggior parte dei pianeti mentre i gas che li avvolgono occupano la maggior parte del loro volume più esterno. L’architettura e la dinamica celeste di Kepler-11 è sensazionale perché dice molto sulla sua storia e sulla sua formazione. I pianeti Kepler-11d, Kepler-11e e Kepler-11f sono composti da una quantità significativa di gas leggeri, un chiaro indizio del fatto che almeno questi tre pianeti si sono formati per primi, in pochi milioni di anni. Un sistema planetario nasce quando il nucleo della nube molecolare collassa per formare una stella, innescando i processi di fusione termonucleare. I dischi protoplanetari di gas e polveri dai quali si formano i pianeti, circondano la stella appena nata. Questi dischi posso essere osservati attorno alla maggior parte delle stelle che hanno meno di un milione di anni di vita, ma poche stelle più vecchie di 5 milioni di anni, ne hanno ancora uno intatto. Da ciò gli scienziati deducono che, in teoria, i pianeti che contengono quantità significative di gas si formano in tempi relativamente brevi per catturarli prima che il disco primordiale si disperda sotto l’azione diretta della radiazione stellare. La sonda Kepler continuerà a sorvegliare il sistema di Kepler-11 fino al termine della missione. Grazie ai transiti di pianeti osservati dal telescopio spaziale, gli scienziati possono stimare precisamente dimensione e massa di questi mondi alieni. Non si esclude che se ne possano scoprire di altri in quel lontano sistema. Forse esiste già un settimo pianeta, magari occultato dai suoi fratelli maggiori o dalla sua stessa stella. Può capitare lì e ovunque nell’Universo. L’occhio di Kepler non è infallibile. Un osservatorio spaziale osserva ciò per cui è stato programmato: rivelare in tempo reale le tracce di pianeti candidati misurando direttamente la debolissima diminuzione di luminosità registrata su migliaia di stelle al passaggio dei loro oscuri compagni. La dimensione del pianeta ospite è dedotta dal cambiamento di luminosità stellare e la sua temperatura può essere stimata dalle caratteristiche della stella e dal periodo orbitale del pianeta. Gli scienziati si avvalgono anche di tutti gli altri telescopi disponibili in cielo e sulla Terra, come lo Spitzer Space Telescope, per seguire e verificare le orbite di questi pianeti candidati e di altri oggetti di interesse per Kepler. Che osserva tutto l’anno il campo stellare compreso tra le costellazioni di Cygnus, Lyra e uno spicchio del Drago: un privilegio assoluto. Tutti i dati disponibili vengono poi elaborati per determinare quali dei pianeti candidati siano effettivamente reali. Kepler continuerà a stupirci per moltissimi anni, anche se le sue attività operative nominali dallo spazio dovrebbero concludersi nel novembre 2012. Alla ricerca di mondi extraterrestri piccoli più o meno come la Terra, in orbita attorno alla loro stella nella “fascia verde” della zona abitabile del sistema, in grado di sostenere la vita per la probabile presenza di acqua sulla loro superficie. Poiché i transiti di pianeti nella “zona abitabile di stelle simili al Sole si verificano periodicamente e sono richiesti tre transiti per la verifica ufficiale, gli scienziati stimano che occorrano almeno tre anni per localizzare e verificare l’esistenza di pianeti di tipo terrestre.

Il telescopio Kepler può osservare un volume di spazio molto limitato e un’area apparente di appena 1/400 della volta celeste! E può scovare solo una piccola frazione dei pianeti alieni che circondano stelle, il cui piano orbitale appaia correttamente allineato rispetto alla nostra visuale. Questi fattori risultano determinanti anche per il conteggio finale delle scoperte di Kepler, in quanto là fuori potrebbero esserci, solo in quella fetta di cielo, milioni di pianeti in orbita attorno alle loro rispettive stelle simili al nostro Sole. Per questo la Nasa esulta. Già queste osservazioni preliminari fanno schizzare alle stelle le probabilità che non siamo soli nell’Universo, anche se l’obiettivo dichiarato dagli scienziati non è quello di scoprire ET. Kepler ha contato questi mondi alieni: vi sarebbero 54 pianeti del tutto simili alla Terra che potrebbero risultare abitabili. Già una bella media sul totale dei pianeti finora scoperti al di fuori del nostro sistema solare. Ma il numero è destinato a più che raddoppiare in pochi mesi, perché gli oltre 1.200 pianeti candidati scoperti da Kepler sono al vaglio degli scienziati. In tal caso sarebbero subito da aggiungere 68 nuove Terre potenzialmente abitate. Questi numeri della scienza, pochi mesi fa, era ancora pura fantascienza. Si era partiti da mere ipotesi. O meglio dai sogni di Ipazia. Ora abbiamo almeno 68 pianeti candidati di taglia terrestre e 54 mondi candidati nella zona abitabile dove l’acqua può esistere allo stato liquido. Almeno cinque pianeti candidati è come se si trovassero nel nostro sistema solare al posto della Terra: ne condividono le dimensioni e l’orbita!

I dati confermano che i mondi più piccoli e i sistemi solari con più pianeti, sono la norma nell’Universo, cioè più comuni di quanto finora pensato. E si tratta dei dati preliminari basati sulle osservazioni condotte da Kepler tra il 2 maggio e il 17 settembre 2009. Ora abbiamo una vera lista di piccoli mondi da esplorare. Una cosa è certa. I futuri geologi planetari (in compagnia di archeologi) impazziranno di gioia. Perché ci si presenta davanti un’autentica prateria cosmica di mondi dalle caratteristiche chimico-fisiche più incredibili per nascita, forma, composizione, movimento orbitale e migrazione planetaria. Queste osservazioni sono utilissime per capire meglio anche il destino del nostro sistema solare. Il più piccolo dei nuovi pianeti alieni scoperti su Kepler-11, ha una massa pari a 2.3 volte la Terra. È la notizia più importante dalla scoperta di “51 Pegasi b”, il primo pianeta extraterrestre rivelato da astronomi svizzeri nel secolo scorso (1995). Da allora se ne sono viste di tutti i colori: la ricchezza di questi mondi è tale da aprire un nuovo capitolo nella storia dell’Astronomia. Perché oggi gli scienziati dispongono di un nuovo potente metodo di misura delle masse planetarie. I risultati del Telescopio Spaziale Kepler sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Nature. Il sistema Kepler-11 contiene (per ora) sei pianeti dalle masse comprese tra 2.3 e 13.5 volte la Terra. Quindi di taglia molto simile ai pianeti del nostro sistema solare. Non sono state ancora individuate lune, tipo Pandora. Tuttavia la struttura e la composizione chimico-fisica degli esomondi possono già essere rivelate analizzando la loro atmosfera. Kepler ha osservato il transito oltre 1200 pianeti di taglia terrestre, tutti da confermare. Gli oltre 530 esopianeti già verificati dagli altri telescopi spaziali e terrestri, sono però tutti di taglia gioviana, giganti gassosi spesse volte unici compagni delle loro stelle. Prima della scoperta del sistema Kepler-11, gli astronomi avevo calcolato le dimensioni e le masse di soli tre esomondi più piccoli del nostro Nettuno. Ora, in sol colpo, gli astronomi hanno un intero sistema solare alieno da esplorare con tutti i telescopi disponibili e di nuova generazione: perché sanno programmarli su cosa cercare. Come la maggior parte dei pianeti noti del nostro sistema solare, anche quelli finora scoperti su Kepler-11 orbitano tutti sullo stesso piano della loro stella. Queste osservazioni rafforzano l’ipotesi che il disco di polveri e gas da cui si sono formati, sopravviva nel tempo. Quindi non è da escludere la presenza di altri corpi minori, asteroidi e comete, come nel nostro sistema solare. Siamo ancora nel campo delle ipotesi. Tuttavia il telescopio Kepler può far luce sulla densità degli esopianeti, calcolata a partire dalle dimensioni e dalle masse, e sulla loro composizione. Tutti e sei i mondi di Kepler-11 hanno densità inferiori alla Terra. Il che implica la presenza di elementi leggeri nella loro struttura. E qui lo scenario diventa davvero interessante. Pare che i due pianeti più interni possano essere composti d’acqua con una tenue atmosfera di gas di idrogeno-elio. Insomma dei caldi Nettuno in miniatura. I più lontani hanno densità inferiori all’acqua, con un’atmosfera di idrogeno-elio. Davvero torrida. Pianeti quindi non abitabili ed assai poco adatti alla vita così come la conosciamo. Ma questi risultati sono comunque sorprendenti poiché si pensava che pianeti così piccoli e vicini alla stella incontrassero non poche difficoltà a conservare una debole atmosfera. Ciò significa che il pianeta ha bisogno anche di una maggiore gravità per trattenerla! Una vera sfida scientifica che potrebbe essere affrontata partendo dall’ipotesi che tutti questi pianeti probabilmente sono nati molto più grandi e massivi di come oggi ci appaiono, con atmosfere di idrogeno-elio più spesse. E ciò che osserviamo è il risultato del lento e inesorabile deterioramento di quel che resta della loro atmosfera. La capacità di valutare confronti tra gli esopianeti di uno stesso sistema come Kepler-11, è decisiva per aiutarci a comprendere il destino ultimo non solo di questi mondi alieni ma anche del nostro così apparentemente stabile. Ora che gli scienziati sanno cosa cercare, la ricerca degli esopianeti si concentrerà su sistemi solari come Kepler-11 rispetto a tutti gli altri. Anche perché la loro vicinanza alla stella è un chiaro indizio del fatto che non si siano formati dove oggi li osserviamo. Probabilmente qualche pianeta ha cambiato orbita proprio durante la formazione, trascinato dalle forze gravitazionali del disco protoplanetario del sistema, migrando dalle regioni più lontane verso l’interno.

Per determinare la massa dei pianeti di Kepler-11, gli astronomi hanno analizzato le deboli variazioni nel loro periodo orbitale, causato dalle reciproche interazioni gravitazionali. La frequenza dei transiti, infatti, non è perfettamente periodica. Chiaro indizio di tali interazioni. Gli astronomi possono così sviluppare modelli delle dinamiche orbitali per ricavare le masse degli esopianeti e verificare la stabilità del sistema solare alieno su scale di milioni di anni.

Il sesto pianeta di Kepler-11 è troppo distante dagli altri cinque per applicare il metodo della pertubazione gravitazionale e quindi per determinarne la massa. Prima gli scienziati verificavano i transiti planetari con i più potenti telescopi a terra anche per stabilirne la massa, usando la spettroscopia Doppler che misura il cambiamento nel moto della stella causato dal “tira e molla” (“terremoto”) gravitazionale del pianeta. Nel caso di Kepler-11, i pianeti sono troppo piccoli, troppo distanti (duemila anni luce) e troppo deboli per usare la spettroscopia Doppler. Ma il Telescopio Spaziale Kepler è stato progettato proprio per scoprire piccoli pianeti di taglia terrestre potenzialmente in grado di ospitare la vita nella nostra Galassia, utilizzando il nuovo metodo rivoluzionario delle dinamiche orbitali. Si potrebbero scoprire molti altri oggetti esotici che neppure immaginiamo, con questo genere di analisi. Chissà. Kepler è la decima missione classe “Discovery” della Nasa, frutto di una collaborazione tra Stati Uniti ed Europa in campo scientifico e tecnologico. Vi partecipano, il Jet Propulsion Laboratory (Pasadena, California, Usa), il Ball Aerospace and Technologies Corp. (Boulder, Colorado, Usa), il Laboratory for Atmospheric and Space Physics dell’Università del Colorado, il grande telescopio W.M. Keck di 10 metri dalle Isole Hawaii, il telescopio Hobby-Ebberly e Harlan J. Smith di 2.7 mt. di diametro in Texas; i telescopi Hale e Shane in California; gli strumenti WIYN, MMT e Tillinghast in Arizona, e il Nordic Optical nelle Isole Canarie (Spagna). Kepler è la prima missione umana alla ricerca di pianeti vitali nell’Universo: ogni sistema solare ha la sua “zona abitabile” dove i pianeti possono sviluppare la vita: l’importante è che vi sia acqua allo stato liquido. Nei suoi tre anni e mezzo nominali di missione, continuerà ad osservare simultaneamente più di 150mila stelle. Missione dedicata al grande Johannes Kepler che sviluppò le Leggi empiriche del moto dei pianeti nel XVII Secolo.

Gli astronomi usano le sue leggi per determinare la distanza tra pianeti e stelle. Questa distanza rivela se il pianeta in questione si trova nella “zona abitabile” oppure no. Se cioè può avere acqua liquida in superficie. Saranno scienziate come Natalie Batalha, professore di fisica ed astronomia alla San Jose State University nel cuore di Silicon Valley (California), a capo del team NASA della Missione Kepler, ad annunciare un giorno al mondo la grande scoperta di un’altra Terra in grado di ospitare una civiltà extraterrestre tra le 150mila stelle analizzate. Il problema non è di poco conto viste le implicazioni culturali della scoperta. Innanzitutto dobbiamo stabilire che cosa intendiamo per “vita”, per “civiltà” e per “pianeti simili alla Terra”. Kepler si limiterà a collezionare tre transiti prima di confermare l’esistenza di pianeti simili alla Terra nella “zona abitabile”. Già la scoperta di Kepler-10b (a 560 anni luce dalla Terra; 23 volte più vicino alla sua stella di quanto lo sia Mercurio al Sole) nella costellazione del Drago, è speciale per le proprietà di quel pianeta, la cui massa e il cui raggio ci dicono che siamo di fronte a un torrido mondo di roccia e non di gas, comunque disabitato. La vita, così come la intendiamo, basata sulla chimica del carbonio, non vi potrebbe esistere a quelle temperature. Del resto le molecole di RNA e DNA non potrebbero sopravvivere.
La ricerca di pianeti extrasolari nella nostra Galassia è l’obiettivo primario della sonda Kepler, ma non l’unico. Esiste, infatti, un gruppo di oltre 300 scienziati del Kepler Asteroseismic Science Consortium che utilizzano i dati estremamente precisi acquisiti dal telescopio spaziale per studiare le proprietà delle stelle osservate. Kepler sta già rivoluzionando l’astrofisica e le tecniche di fotometria, misura Doppler ed astro-sismologia. Non tragga in inganno il fatto che questi primi pianeti scoperti siano tutti abbastanza vicini alla propria stella: sono, infatti, i più facili da rivelare. Ma non sono affatto la norma nella Galassia. Semplicemente aumenta la probabilità di un loro transito sulla stella perché sono a corto periodo orbitale. Quindi, più transiti vengono osservati, più se ne conferma l’esistenza. Gli astronomi hanno scelto la regione del Cigno per tre ragioni: perché è la costellazione settentrionale più osservata dalla maggior parte dei telescopi terrestri e orbitali; perché il campo è sufficientemente lontano dal “cammino” del Sole durante tutto l’anno; perché quella fetta di spazio è vicina al piano della Via Lattea, una delle regioni più ricche di stelle. E forse di Alieni!

Realizzata la prima vera mappa di esopianeti, bisognerà analizzare in gran dettaglio l’atmosfera di questi mondi. Kepler non può farlo. Altre sonde saranno progettate all’uopo, per fare spettroscopia esoplanetaria dallo spazio (da Terra è già possibile grazie ai potentissimi telescopi dell’Eso, VLT) proprio durante i transiti e per scoprirne delle belle. La luce stellare, infatti, attraversando i cieli di questi pianeti, ne rivela la composizione.

Gli scienziati pensano che la vita sia assolutamente possibile nell’Universo. Infatti noi esistiamo!

Le conferme su ET potrebbero venire da altre tecniche come le “microlenti” gravitazionali, piccoli “buchi neri” usati come telescopi a caccia di civiltà aliene, in grado avvicinare il nostro sguardo su lontani mondi abitati. La Relatività Generale di Einstein lo consente. Una grande massa interposta tra noi e quel pianeta, si comporta come una grossa lente di ingrandimento. Ma dovremmo essere molto fortunati per osservare al momento opportuno il pianeta giusto. Un fatto è certo. Tutti possono partecipare alla Missione Kepler, anche dal computer di casa, grazie al programma PlanetHunters (www.planethunters.org) che consente a milioni di persone di analizzare i dati trasmessi dalla sonda spaziale in orbita attorno al Sole. Solo il team Kepler è composto di 50/60 ricercatori che poi sono gli autori delle pubblicazioni scientifiche inviate alla comunità mondiale. Quando la missione primaria di Kepler sarà ultimata, molti ricercatori pensano di prolungarne l’attività sulla stessa fetta di cielo magari per raccogliere più dati su pianeti più piccoli. Ma nulla esclude che si possa puntare altrove il telescopio, magari su Alpha Centuri, Zeta Reticuli, Sirius, Barnard, Epsilon Eridani e tante altre stelle molto più vicine alla Terra.

Ma quanti siamo nell’Universo? Contiamoci, in attesa delle conferme o smentite ufficiali degli scienziati. Nella nostra Galassia, la Via Lattea, ci sono 300 miliardi di stelle, ci ricorda Isaac Asimov. I sistemi planetari che girano attorno a stelle simili al Sole (sul totale di 280 miliardi di sistemi) sono 75 miliardi. I sistemi planetari in stelle simili al Sole che hanno un’ecosfera, sono 52 miliardi. Le stelle simili al Sole, Popolazione I, di seconda generazione, con ecosfera utile, sono 5 miliardi 200 milioni. Le stelle “solari” al cui interno orbiti un pianeta, sono 2 miliardi 600 milioni. Di queste, gli astri al cui interno giri un mondo simile alla Terra, sono 1 miliardo 300 milioni. Per cui il numero medio di pianeti abitabili solo nella nostra Galassia, oscilla tra i 650 milioni (secondo Asimov) e un miliardo come ipotizzato dall’astronomo Carl Sagan. Ciò significa che circa una stella su 460, può vantare un mondo abitabile! Il numero di pianeti della nostra Galassia che hanno generato la vita, è di 600 milioni; e il numero di mondi che hanno una vita di tipo terrestre, è di 416 milioni. Il numero di pianeti che hanno sviluppato una civiltà tecnologica, è di 390 milioni ma, secondo Asimov, solo 260 milioni di mondi sarebbero “indietro” come noi. Tutti gli altri sarebbero più evoluti della Terra. Non è finita. Il numero di pianeti della nostra Galassia in cui è in essere una civiltà tecnologica, è di 530mila. Senza scomodare la favola irlandese di Kilkenny dei “Due Gatti” che lottano l’uno contro l’altro finché non rimangono che le code, ossia la teoria dell’inevitabile annientamento reciproco di tutte le civiltà, possiamo essere sicuri di fare centro visitando Proxima Centauri del sistema Alpha Centauri, la nostra stella tripla più vicina, a soli 3.9/4.4 anni luce? Supponiamo, seguendo il ragionamento di Asimov, che l’intelligenza e la curiosità delle razze e delle civiltà avanzate sia garanzia di pace e di sopravvivenza dei loro mondi. Sempre navigando a vista sulla media, secondo Asimov su ogni pianeta abitabile con una durata potenziale di vita di 12 miliardi di anni, una specie intelligente apparirebbe dopo 4 miliardi 600 milioni di anni. Nel corso di 600mila anni costruisce lentamente una civiltà e velocemente la distrugge, mandando il pianeta in rovina per sempre, indipendentemente dalla scoperta del volo interstellare. Come dire che su 650 milioni di pianeti abitabili della nostra Galassia, solo 32.250 mondi si troverebbero in quel “periodo fertile” di 600mila anni in cui una razza intellettualmente equivalente all’Homo Sapiens della Terra starebbe potenzialmente sviluppandosi. Ma solo 540 mondi ospitano una specie intelligente che, forse, pratica l’agricoltura e vive in città. In 270 esomondi è stata sviluppata la scrittura, in 20 pianeti la scienza moderna e in soli dieci (10) mondi è avvenuto un equivalente della rivoluzione industriale. E, per finire, in soli due (2) esomondi è stata sviluppata l’energia nucleare! Quindi, è molto più probabile l’archeologia interstellare su mondi estinti che il primo contatto come su Pandora? Le ipotesi di Asimov non tengono conto della reale distribuzione di stelle e pianeti nell’Universo (cf. i libri di Stanton T. Friedman). Solo nella nostra immediata periferia interstellare incontriamo molti sistemi solari compresi tra gli infiniti spazi apparentemente vuoti. Quindi, meglio non disperare perché, forse, non siamo soli ma sotto osservazione da tempo. La materia e l’energia oscure, hanno ancora molto da svelare all’Umanità. Una cosa è certa: i numeri elaborati da Isaac Asimov sui sistemi solari simili al nostro in grado di ospitare pianeti in orbita regolare, magari di taglia terrestre, e sull’ammontare delle civiltà extraterrestri nella Galassia, vanno sicuramente corretti al rialzo! Così lavora la scienza che non ha fretta. Gli astrofisici credono che forme di vita aliena possano già esistere su altri pianeti simili alla Terra nella nostra Galassia e altrove? La risposta correttamente scientifica è che non si può ancora dire. Non c’è una risposta. Scienziati come Carl Sagan hanno calcolato statisticamente il numero di civiltà aliene nella Galassia e nell’Universo. Nella peggiore delle ipotesi, sarebbero milioni. Ma è davvero così che stanno le cose? In verità siamo ignoranti su un passaggio fondamentale: sappiamo quali sono e da dove vengono i componenti basilari della vita base-carbonio nata sulla Terra, ma non sappiamo se la vita è concepibile su altre basi come il silicio, l’azoto o l’ossigeno. Forse lo è sull’arsenico, come la Nasa avrebbe scoperto nel 2010. Limitandoci alle nostre conoscenze, da un punto di vista astrofisico, sappiamo dove si sono prodotti i costituenti essenziali della vita, quali sono le stelle che hanno prodotto i processi fisici e in quegli astri il materiale (idrogeno, elio, carbonio, azoto, etc.), ossia i mattoni necessari per costruire amminoacidi, proteine e molecole complesse (Dna, Rna). Da una scintilla è possibile, attraverso meccanismi elettro-chimici, far evolvere l’Rna in determinate condizioni ambientali, fino a raggiungere forme complesse. Abbiamo capito come l’evoluzione teorizzata da Darwin, funziona a livello chimico micro e macroscopico, influenzata dall’ambiente. Considerando i 100mila geni attivi nel cromosoma umano, il numero di combinazioni di possibili individui, secondo alcuni scienziati sarebbe pari a 10 alla sessantesima potenza: la razza umana, quindi, avrebbe il patrimonio genetico necessario per popolare tutto l’Universo. Cosa manca per la vita che conosciamo sulla Terra? Gli scienziati non sanno come è possibile formare da un brodo primordiale il primo protozoo ovvero semplicemente una sua molecola, un singolo amminoacido, uno dei suoi costituenti basilari per una catena a doppia elica del Dna. Ci sono stati esperimenti storici che provano la formazione di amminoacidi e strutture semplici. Ma per legare gli amminoacidi nella giusta sequenza e combinazione, utili allo scoccare della scintilla della vita così come è apparsa sulla Terra, dobbiamo capire il perché quella e non l’altra sequenza funziona ed è quella giusta. Gli astrofisici e i biologi molecolari devono ancora trovare la risposta. Quindi l’ignoranza su quest’informazione impedisce un calcolo statistico corretto: possiamo avere 100 miliardi di stelle nella Galassia e 100 miliardi di galassie simili alla nostra, con una possibilità su mille di trovare un pianeta simile alla Terra con la sua civiltà. Probabilità scarsa ma confortante, visto il numero di stelle, di incontrare prima o poi un altro mondo abitato. Tuttavia, se la semplice probabilità di prendere questi amminoacidi e di legarli alla giusta maniera è prossima allo zero (badate: calcoliamo le combinazioni possibili di un set di amminoacidi giusti, dimenticandoci di come si arriva a formarli!) allora scopriamo una cosa altrettanto sorprendente: la probabilità di vita nel pianeta giusto, è molto più bassa, figurarsi di vita intelligente! Ma per lo scoccare della vita sulla Terra ci deve essere stato un intervento esterno significativo, oggi scientificamente ignoto, che ha indotto in qualche modo la scintilla della prima forma di vita elementare sulla Terra. In tal caso, la probabilità di incontrare civiltà aliene non è più zero, ma prossima alla certezza assoluta! Questo “qualcosa” in più (per gli scienziati, un catalizzatore chimico-fisico) attualmente è sconosciuto. Per cui ogni calcolo statistico è viziato ab origine. Quindi dobbiamo prima capire come e perché sono privilegiate nel nostro Universo alcune configurazioni chimiche e molecolari rispetto ad altre. E’ l’affascinante tema dell’astrobiologia molecolare. Il sospetto di alcuni scienziati è che tale catalizzatore esista. E che, prima o poi, verrà scoperto quale responsabile, miliardi di anni, di aver favorito ed accelerato il processo di formazione della vita sulla Terra e su altri pianeti simili al nostro. Quindi anche sulle stelle a noi più vicine! La teoria della panspermia interplanetaria ad opera di asteroidi e comete, quali vettori della vita, sposta solo il problema: se la prima forma di vita elementare sia venuta da fuori o si sia formata sulla Terra, non cambia molto la nostra situazione. Gli scienziati devono scoprire il catalizzatore per capire come è scoccata la scintilla della vita. Sul nostro pianeta ci sono state le condizioni favorevoli (forse uniche nel Sistema Solare) ma non significa che il catalizzatore debba essere stato presente 3.5/4 miliardi di anni fa solo sulla Terra. Potrebbe essere benissimo diffuso nell’Universo vicino. In tal caso avrebbe raggiunto la Terra al momento giusto. Come si formano questi nuovi mondi? Secondo il fisico nucleare Stanton T. Friedman, entusiasta ed ottimista sull’esistenza di pianeti simili alla Terra e di altrettante civiltà evolute, siamo alla vigilia di una nuova Rivoluzione Copernicana.

Si comincia con lo stabilire cosa e dove cercare nella “zona abitabile” di ogni sistema solare. Un pianeta roccioso (anche una luna di un gigante gassoso) adatto alla vita, è posto a una certa distanza dalla sua stella in sequenza principale (stabile) e si presume che abbia un ragionevole grado di albedo: infatti assorbe e riflette una certa quantità di luce stellare. Da questo “delta” è possibile calcolare la temperatura del pianeta. E il gioco sembra fatto. Il giallo del sistema solare Gliese 581 è un caso ancora aperto, pur non essendo materia d’indagine di Kepler ma di un altro gruppo di astronomi. Perché è difficile stabilire da debolissimi segnali Doppler, se siamo di fronte alla scoperta del primo pianeta roccioso in “zona abitabile” oppure no. Anche sul numero dei pianeti, la comunità scientifica mondiale non è concorde: c’è chi dice quattro pianeti e chi addirittura sei. Si procede con molta cautela. D’altra parte il telescopio Kepler non può cercare direttamente forme di vita sugli esopianeti. Non è questo il suo obiettivo. Come i sismologi si servono dei terremoti per indagare le profondità della Terra, così gli astrofisici usano i terremoti stellari per analizzare l’interno degli astri. Tale tecnica funziona perfettamente sul nostro Sole. Kepler è in grado di “vedere” tali sismi sulla superficie di stelle lontane tra i 600 e i 3mila anni luce. Vede e distingue cioè le variazioni di luminosità indotte da tali sismi ad esatte frequenze molto alte e caratteristiche che dipendono dalle dimensioni e dalla densità della stella. Gli scienziati non hanno segreti da nascondere. La scienza migliore è quella libera. La ricerca di pianeti ET è libera e gli annunci si susseguono regolarmente. I cataloghi ufficiali si riempiono ogni giorno di nuovi pianeti alieni. Kepler è capace di tutto, anche di scovare pianeti più piccoli di Kepler-10b, posti a una distanza di 150 milioni di Km (un’Unità Astronomica, Terra-Sole) dalla sua stella madre. Kepler è meglio di Avatar.

Nicola Facciolini

 

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