Agricoltura e giovani nel Magistero del Beato Giovanni Paolo II e della Chiesa

“La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe”(Matteo 9,37-38). Il modello ideale della società cattolica, incardinata sulla famiglia naturale e sul recupero del ruolo ancestrale dell’agricoltura e del rapporto con la terra e Dio, piace sempre più ai giovani italiani. La Chiesa da […]

La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe”(Matteo 9,37-38). Il modello ideale della società cattolica, incardinata sulla famiglia naturale e sul recupero del ruolo ancestrale dell’agricoltura e del rapporto con la terra e Dio, piace sempre più ai giovani italiani. La Chiesa da sempre incoraggia gli agricoltori con i suoi preziosi consigli per un uso responsabile della terra. “Il Signore è fedele per sempre”(Salmo 146, 6). È a tutti noto l’insegnamento di Giovanni Paolo II che Domenica 1° maggio 2011 a Roma viene elevato agli onori degli altari dal Sommo Pontefice Benedetto XVI. Il beato Giovanni Paolo II, il 10 maggio 1980, parlò a nome dei “senza voce” dicendo:“I miseri e i poveri cercano acqua…io, il Signore, li ascolterò…cambierò il deserto in un lago d’acqua…(Is 41, 17-18)…l’acqua che io gli darò diventerà…sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14)”. Nel Giubileo del mondo agricolo, sabato 11 novembre 2000, Giovanni Paolo II volle dedicare un momento di “festa” e di riflessione sullo stato di quest’importante settore della vita e dell’economia e sulle prospettive etiche e sociali che lo riguardano. Il Giubileo dei lavoratori della terra coincise con la tradizionale Giornata del ringraziamento promossa in Italia dalla Confederazione dei Coltivatori  Diretti. Fu un “forte richiamo ai valori perenni custoditi dal mondo agricolo e, tra questi, soprattutto al suo spiccato senso religioso”. Il beato Giovanni Paolo II, nel “ringraziare e dare gloria a Dio che ha creato la terra e quanto essa produce, a Dio che si è compiaciuto di essa come di ‘cosa buona’(Gn 1, 12) e l’ha affidata all’uomo per una saggia e operosa custodia, elevò un accorato appello ai contadini, ai quali “è affidato il compito di far fruttificare la terra. Compito importantissimo, di cui oggi si va riscoprendo sempre più l’urgenza. Il vostro ambito di lavoro è abitualmente indicato, dalla scienza economica, come ‘settore primario’. Nello scenario dell’economia mondiale, al confronto con gli altri settori, il suo spazio si presenta molto differenziato, a seconda dei continenti e delle nazioni. Ma quale che ne sia il peso in termini economici, il semplice buon senso basta a porne in rilievo il reale “primato” rispetto alle esigenze vitali dell’uomo”. Sui reali effetti di un cattivo uso della terra, il beato Wojtyla affermò:“quando questo settore è sottovalutato o bistrattato, le conseguenze che ne derivano per la vita, la salute, l’equilibrio ecologico, sono sempre gravi e, in genere, difficilmente rimediabili, almeno in tempi brevi”. Dunque, la Chiesa ha avuto sempre uno sguardo speciale verso gli agricoltori. Prova ne siano gli importanti documenti magisteriali citati dal beato Karol Wojtyla, come la Mater et magistra del beato Giovanni XXIII, il quale “pose per tempo, per così dire, il dito sulla piaga, denunciando i problemi che purtroppo già in quegli anni facevano dell’agricoltura un settore depresso, e ciò sia in rapporto all’indice di produttività delle forze di lavoro sia al tenore di vita delle popolazioni agricolo-rurali”. Da allora altri problemi si sono aggiunti “nel quadro delle nuove problematiche derivanti dalla globalizzazione dell’economia e dall’inasprirsi della questione ecologica”. La Chiesa non ha soluzioni tecniche da proporre. “Il suo contributo si pone al livello della testimonianza evangelica, e s’esprime attraverso la proposta di quei valori spirituali che danno senso alla vita e orientano le scelte concrete anche sul piano dell’economia e del lavoro”. Di chi è la terra? “Il primo valore in gioco, quando si guarda alla terra e a quelli che la lavorano, è senza dubbio il principio che riconduce la terra al suo Creatore: la terra è di Dio! È, dunque, secondo la sua legge che deve essere trattata. Se, rispetto alle risorse naturali, si è affermata, specie sotto la spinta dell’industrializzazione, un’irresponsabile cultura del dominio con conseguenze ecologiche devastanti, questo non risponde certo al disegno di Dio”. I conflitti umani lo dimostrano.

In aperta violazione del comando di Dio all’uomo:‘Riempite la terra, soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo’(Gn, 1,28). “Queste note parole della Genesi consegnano la terra all’uso, non all’abuso dell’uomo. Esse fanno dell’uomo non l’arbitro assoluto del governo della terra – spiega il beato Giovanni Paolo II – ma il collaboratore del Creatore: missione stupenda, ma anche segnata da precisi confini, che non possono essere impunemente valicati”.

È un principio che il beato Wojtyla ricorda nella stessa produzione agricola,“quando si tratta di promuoverla con l’applicazione di biotecnologie, che non possono essere valutate solo sulla base di immediati interessi economici. È necessario sottoporle previamente ad un rigoroso controllo scientifico ed etico, per evitare che si risolvano in disastri per la salute dell’uomo e l’avvenire della terra”. L’appartenenza della terra a Dio fonda anche il principio, caro alla Dottrina sociale della Chiesa, “della destinazione universale  dei  beni  della terra” (Centesimus annus, 6, di Giovanni Paolo II). “Ciò che Dio ha donato all’uomo, lo ha donato con cuore di Padre, che si prende cura dei suoi figli, nessuno escluso. La terra di Dio è dunque anche la terra dell’uomo, e di tutti gli uomini! Questo non implica certo l’illegittimità del diritto di proprietà, ma ne esige una concezione, e una conseguente regolazione, che ne salvaguardino e ne promuovano l’intrinseca funzione sociale (Mater et magistra 106; Populorum progressio, n. 23). Quindi “ogni uomo, ogni popolo, ha diritto a vivere dei frutti della terra. È uno scandalo intollerabile, all’inizio del nuovo Millennio, che moltissime persone – sottolinea Giovanni Paolo II – siano ancora ridotte alla fame e vivano in condizioni indegne dell’uomo. Non possiamo più limitarci a riflessioni accademiche: occorre rimuovere questa vergogna dall’umanità con appropriate scelte politiche ed economiche di respiro planetario”. Come scrisse Wojtyla nel Messaggio al Direttore Generale della FAO in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, “occorre estirpare alla radice le male piante che producono fame e denutrizione”(L’Osservatore Romano, 18 ottobre 2000, p.5). “Le cause di tale situazione, com’è noto, sono molteplici. Tra le più assurde vi sono i frequenti conflitti interni agli Stati, spesso vere guerre dei poveri. Resta poi la pesante eredità di una spesso iniqua distribuzione della ricchezza, all’interno delle singole nazioni e a livello mondiale”. Le cause di tutte le guerre, anche le più assurde. Il Giubileo, nel suo disegno biblico, era orientato a ristabilire l’uguaglianza tra i figli d’Israele anche attraverso la restituzione dei beni, perché i più poveri potessero risollevarsi, e tutti potessero sperimentare, anche sul piano di una vita dignitosa, la gioia di appartenere all’unico popolo di Dio. Non è stato fatto e ne paghiamo le conseguenze. “Occorre una globalizzazione della solidarietà, la quale suppone a sua volta una cultura della solidarietà, che deve fiorire nell’animo di ciascuno”. La Chiesa non cessa di sollecitare in questa direzione i pubblici poteri, le grandi forze economiche, e le istituzioni più influenti. Tuttavia ciascuno di noi dev’essere convinto che “c’è una conversione che ci riguarda tutti personalmente. È da noi stessi che dobbiamo cominciare. Per questo, nell’Enciclica Centesimus annus, accanto ai temi dibattuti dalla problematica ecologica, il beato Karol Wojtyla addita “l’urgenza di una ecologia umana”, per ricordare che “non solo la terra è stata data da Dio all’uomo, che deve usarla rispettando l’intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l’uomo è donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato (Centesimus annus, 38). Se l’uomo perde il senso della vita e la sicurezza degli orientamenti morali smarrendosi nelle nebbie dell’indifferentismo, nessuna politica potrà essere efficace nel salvaguardare congiuntamente le ragioni della natura e quelle della società”. È l’uomo, infatti, che può costruire e distruggere, può rispettare e disprezzare, può condividere o rifiutare. “Anche i grandi problemi posti dal settore agricolo, vanno affrontati non solo come problemi tecnici o politici, ma, in radice, come problemi morali”. Quindi è “responsabilità ineludibile di quanti  operano col nome di cristiani, dare anche in questo ambito una testimonianza credibile. Purtroppo nei Paesi del mondo cosiddetto sviluppato si va espandendo un consumismo irrazionale, una sorta di “cultura dello spreco”, che diventa un diffuso stile di vita”. Giovanni Paolo II invita a contrastare questa tendenza, per “educare ad un uso dei beni che non dimentichi mai né i limiti delle risorse disponibili, né la condizione di penuria di tanti esseri umani, e che conseguentemente pieghi lo stile di vita al dovere della condivisione fraterna”. Questa è “una vera sfida pedagogica e una scelta di grande lungimiranza. Il mondo dei lavoratori della  terra, con la sua tradizione di sobrietà, con il patrimonio di saggezza accumulato anche tra tante sofferenze, può dare in questo un contributo impareggiabile”. Il beato Wojtyla addita all’attenzione di tutta la comunità cristiana e dell’intera società i grandi valori di cui il mondo agricolo è portatore. “Camminate nel solco della vostra migliore tradizione, aprendovi a tutti gli sviluppi significativi dell’era tecnologica, ma conservando gelosamente i valori perenni che vi contraddistinguono. È questa la via per dare anche al mondo agricolo un futuro di speranza. Una speranza fondata sull’opera  di  Dio, che il  Salmista canta così:‘Tu visiti la terra e la disseti, la ricolmi delle tue ricchezze’(Sal 65,10)”. Il beato Wojtyla ci ricorda la fedeltà di Dio.“Per voi, uomini del mondo agricolo, essa è un’esperienza quotidiana, costantemente ripetuta nell’osservazione della natura. Voi conoscete il linguaggio delle zolle e dei semi, dell’erba e degli alberi, della frutta e dei fiori. Nei più diversi paesaggi, dalle asprezze montuose alle pianure irrigate, sotto i più diversi cieli, questo linguaggio ha il suo fascino, a voi tanto familiare. In questo linguaggio, voi scorgete la fedeltà di Dio alle parole che Egli disse nel terzo giorno della creazione:”La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto”(Gn 1, 11). Dentro il movimento pacato e silenzioso ma ricco di vita della natura, continua a palpitare il compiacimento originario del Creatore:”E Dio vide che era cosa buona”! (Gn 1, 12)”.

Sì, il Signore è fedele per sempre. “E voi, esperti di questo linguaggio di fedeltà ‘linguaggio antico e sempre nuovo’, siete naturalmente gli uomini del ‘grazie’. Il vostro prolungato contatto con la meraviglia dei prodotti della terra, ve li fa percepire come un dono inesauribile della Provvidenza divina. Per questo la vostra giornata annuale è, per antonomasia, la Giornata del ringraziamento”. Che nel Duemila acquistò un più alto valore spirituale, innestandosi nel Giubileo per celebrare i duemila anni dalla nascita di Cristo. “Siete venuti a ringraziare per i frutti della terra, ma innanzitutto siete venuti a riconoscere in Lui il Creatore e insieme il frutto più bello di questa nostra terra, il ‘frutto’ del grembo di Maria, il Salvatore dell’umanità e, in certo senso, del ‘cosmo’ stesso. La creazione, infatti, come dice Paolo “geme e soffre nelle doglie del parto”, e nutre la speranza di essere liberata “dalla schiavitù della corruzione”(Rm 8, 21-22)”.

Il gemito della terra conduce il beato Wojtyla col pensiero al lavoro degli uomini e delle donne dell’agricoltura, “lavoro così importante e pur non privo di disagi e durezze. Nel Libro dei Re si evoca appunto una tipica situazione di sofferenza dovuta alla siccità. Il profeta Elia, provato dalla fame e dalla sete, è protagonista e insieme beneficiario di un miracolo della generosità. Tocca a una povera vedova soccorrerlo, dividendo con lui l’ultimo pugno di farina e le ultime gocce del suo olio; la sua generosità apre il cuore di Dio, al punto che il profeta può annunciare:”La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non si svuoterà, finché il Signore non farà piovere sulla terra”. La cultura del mondo agricolo è, da sempre, segnata dal senso del rischio che incombe sui raccolti per le imprevedibili avversità atmosferiche. Ma oggi, ai pesi tradizionali, se ne aggiungono spesso altri dovuti all’incuria dell’uomo. L’attività agricola dei nostri tempi – afferma Giovanni Paolo II – ha dovuto fare i conti con le conseguenze dell’industrializzazione e lo sviluppo non sempre ordinato delle aree urbane, con il fenomeno dell’inquinamento atmosferico e il dissesto ecologico, con le discariche di rifiuti tossici, con il disboscamento delle foreste. Il cristiano, pur confidando sempre nell’aiuto della Provvidenza, non può non assumere iniziative responsabili per far sì che il valore della terra venga rispettato e promosso. È necessario che il lavoro agricolo sia sempre meglio organizzato e sostenuto da provvidenze sociali che lo ripaghino pienamente della fatica che comporta e dell’utilità veramente grande che lo contraddistingue. Se il mondo della tecnica più raffinata non si riconcilia con il linguaggio semplice della natura in un salutare equilibrio, la vita dell’uomo correrà rischi sempre maggiori di cui già ora vediamo avvisaglie preoccupanti. Siate dunque, carissimi Fratelli e Sorelle, grati al Signore, ma insieme fieri del compito che il vostro lavoro vi assegna. Operate in modo da resistere alle tentazioni di una produttività e di un guadagno che vadano a discapito del rispetto della natura. Da Dio la terra è stata affidata all’uomo “perché la coltivasse e la custodisse”(Gn 2, 15). Quando si dimentica questo principio, facendosi tiranni e non custodi della natura, questa prima o poi si ribellerà”.

Questo principio di ordine, che vale per il lavoro agricolo come per ogni altro settore dell’attività umana, deve radicarsi nel cuore dell’uomo. “È dunque proprio il ‘cuore’ il primo terreno da coltivare. Non a caso, quando Gesù vuole spiegare l’opera della parola di Dio, si serve, con la parabola del seminatore, di un illuminante esempio tratto dal mondo agricolo. La parola di Dio è seme destinato a portare frutto abbondante, ma purtroppo cade spesso su un terreno poco adatto, dove i sassi o le erbacce e le spine – espressioni molteplici del nostro peccato – le impediscono di radicarsi e di svilupparsi (Mt 13, 3-23). Ammonisce, pertanto, un Padre della Chiesa, proprio rivolgendosi ad un agricoltore:”Quando dunque sei nel campo e contempli il tuo podere, considera che anche tu stesso sei campo di Cristo e presta attenzione anche a te come al tuo campo. Quella stessa bellezza che esigi che il tuo contadino renda al tuo campo, rendila anche tu al Signore Iddio nella coltivazione del tuo cuore”(San Paolino di Nola, Lettera 39, 3 ad Apro e Amanda)”.

Il beato Giovanni Paolo II ci invita a questa “coltivazione dello spirito” per “presentate al Signore, prima ancora del vostro impegno professionale, il lavoro quotidiano della purificazione del vostro cuore: opera esigente, che mai riusciremmo a compiere da soli. La nostra forza è Cristo, del quale la Lettera agli Ebrei ci ricorda che “nella pienezza dei tempi, è apparso per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso” Eb 9, 26). Questo sacrificio, compiuto una volta per tutte sul Golgota, si attualizza per noi ogni volta che celebriamo l’Eucaristia. Qui Cristo si rende presente, col suo corpo e il suo sangue, per farsi nostro nutrimento. Quanto deve essere significativo per voi, uomini del mondo agricolo, contemplare sull’altare questo miracolo, che corona e sublima le meraviglie stesse della natura. Non è forse un miracolo quotidiano quello che si compie quando un seme si fa spiga, e da essa tanti chicchi di grano maturano per essere macinati e diventare pane? Non è forse un miracolo della natura il grappolo d’uva che pende dai tralci della vite? Già tutto questo porta, misteriosamente, il segno di Cristo, giacché “tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste”(Gv 1, 3). Ma ancor più grande è l’evento di grazia, con cui la Parola e lo Spirito di Dio rendono il pane e il vino, “frutto della terra e del lavoro dell’uomo”, corpo e sangue del Redentore. La grazia giubilare che siete venuti ad implorare non è che sovrabbondanza di grazia eucaristica, forza che ci risolleva e ci risana dal profondo, innestandoci in Cristo”. Di fronte a questa grazia, ci ricorda il beato Wojtyla, “l’atteggiamento da assumere ci viene suggerito dal Vangelo con l’esempio della povera vedova, che nel tesoro mette solo pochi spiccioli, ma in realtà dona più di tutti, perché non dona il superfluo, ma “tutto ciò che aveva per vivere”(Mc, 12, 44). Questa donna sconosciuta si mette così sulle orme della vedova di Zarepta che aveva aperto la sua casa e la sua mensa ad Elia. Ambedue sono sostenute dalla fiducia nel Signore. Ambedue, dalla fede, traggono la forza di una carità eroica. Esse ci invitano a spalancare la nostra celebrazione giubilare sugli orizzonti della carità, guardando a tutti i poveri e bisognosi del mondo. Ciò che avremo fatto al più piccolo di essi, lo avremo fatto a Cristo (Mt 25, 40). E come dimenticare che proprio l’ambito del lavoro agricolo conosce situazioni umane che ci interpellano profondamente? Interi popoli, che vivono soprattutto del lavoro agricolo nelle regioni economicamente meno sviluppate, versano in condizioni di indigenza. Vaste regioni sono devastate dalle frequenti calamità naturali. E talvolta a queste disgrazie si aggiungono le conseguenze di guerre, che, oltre a provocare vittime, seminano distruzione, spopolano territori fertili e magari li lasciano infestati da ordigni bellici e sostanze nocive”. Il Giubileo nacque in Israele come un grande tempo di riconciliazione e di ridistribuzione dei beni. “Accogliere oggi questo messaggio non può certo significare limitarsi ad un piccolo obolo. Occorre contribuire ad una cultura della solidarietà che, anche sul piano politico ed economico, sia nazionale che internazionale, spinga verso iniziative generose ed efficaci a vantaggio dei popoli meno fortunati. Di tutti questi fratelli vogliamo oggi ricordarci nella nostra preghiera, ripromettendoci di tradurre il nostro amore per loro in operosa solidarietà, perché tutti, senza eccezione, possano godere dei frutti della ‘madre terra’ e vivere una vita degna dei figli di Dio”.

Come sapete è stato scongiurato lo sfratto di alcune famiglie di contadini del Parco dell’Acquafredda grazie alla capillare e costante mobilitazione di cittadini, fedeli, associazioni, comitati e partiti. Compreso il tg satirico Striscia La Notizia. L’accordo con il Vaticano, oltre a costituire un importantissimo precedente, permetterà ai contadini di continuare a vivere e lavorare la terra sotto la spinta del ricambio generazionale. Non solo nel Parco dell’Acquafredda. In Italia ci sono molte altre famiglie di contadini con lo sfratto incombente che potrebbero nei prossimi mesi perdere casa e lavoro. Alcune di esse lavorano le terre della Chiesa da generazioni, valorizzando il nostro territorio con le sue tipicità in aree rurali dal potenziale economico forse ancora inespresso. La stampa italiana e Internet, tuttavia, nei mesi scorsi, hanno usato espressioni forti contro il Papa e la Chiesa, accusati di “voler sfrattare i poveri contadini”. Parole forti e titoli ingiustificati che hanno incardinato e strutturato una polemica puerile assolutamente dimentica dell’insegnamento del Vangelo e del Magistero della Chiesa Cattolica Apostolica Romana. Oggi nei campi italiani quasi un lavoratore su dieci è straniero, secondo quanto afferma la Coldiretti in riferimento al primo “click day” dello scorso 31 gennaio 2011 per l’assunzione regolare di un primo contingente di 52.080 cittadini extracomunitari molti dei quali troveranno lavoro nelle imprese agricole dove il loro contributo è divenuto indispensabile. Il Pontefice Benedetto XVI si è soffermato più volte sull’importanza del lavoro agricolo, esprimendo la necessità di rivalutare l’agricoltura come risorsa indispensabile per il futuro. Il Santo Padre sottolinea che, nonostante la crisi in atto, i paesi più ricchi ancora sostengono una vita improntata su un consumismo irresponsabile. È indispensabile, quindi, educarsi a un consumo più saggio e responsabile affinché a nessuno manchi il pane e il lavoro.

Nicola Facciolini

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *