Aree note bizantine

Mentre Calderoli e Di Pietro, da posizioni diverse, contestano il via libera ai bombardamenti italiani in Libia, aprendo un fronte difficile per il Governo, si registra il via libera di Napolitano che,  in un comuinicato dichiara: “L’ulteriore impegno dell’Italia in Libia costituisce il naturale sviluppo della scelta compiuta a marzo, secondo la linea fissata nel […]

Mentre Calderoli e Di Pietro, da posizioni diverse, contestano il via libera ai bombardamenti italiani in Libia, aprendo un fronte difficile per il Governo, si registra il via libera di Napolitano che,  in un comuinicato dichiara: “L’ulteriore impegno dell’Italia in Libia costituisce il naturale sviluppo della scelta compiuta a marzo, secondo la linea fissata nel Consiglio supremo di difesa da me presieduto e quindi confortata da ampio consenso in Parlamento”. Ieri sera il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha annunciato telefonicamente al presidente Usa Barack Obama che l’Italia ha deciso di svolgere azioni mirate contro specifici obiettivi militari selezionati sul territorio libico e, stamani, si registra l’appoggio del Quirinale e la decisa posizione contraria di Idv e di Lega. Col bizantinismo tipico delle corti levantine di un tempo, da Palazzo Chigi (sede della Presidenza del Consiglio) si apprende, da una ulteriore nota,  che l’Italia (ossia Berlusconi) ha deciso di aumentare la flessibilità operativa dei propri velivoli con azioni mirate contro specifici obiettivi militari selezionati sul territorio, nell’intento di contribuire a proteggere la popolazione civile libica. Alla dissociazione del ministro leghista Roberto Calderoli hanno risposto oggi sia il ministro degli Esteri Franco Frattini sia quello della Difesa Ignazio La Russa e, dopo la benedizione anche di Napolitano, è chiaro che il governo o non rischierà un voto parlamentare sulla decisione di un maggiore impegno italiano nei raid aerei contro la Libia. “Su questo deciderà il Consiglio dei ministri”, ha detto La Russa, mentre il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto ha insinuato una manovra propagandistica del Carroccio: “Calderoli è un genio, politicamente e la Lega potrà ottenere il massimo risultato col minimo sforzo…”. Ma malumori e dissensi si registrano anche nel Pdl, con  Carlo Giovanardi che dice: “l’intervento in Libia è completamente sbagliato”, mentre Alfredo Mantovano si è detto certo che le “perplessità” non siano solo della Lega. “A me – ha affermato – piace più l’Italia che manda gli aiuti umanitari a Bengasi piuttosto che l’Italia che bombarda”. Insomma, nonostante l’OK del Colle, il governo si spacca, dimostrando, nel giorno del vertice con Sarkozy, di essere diviso e senza bussola, soprattutto in materia di politica estera. Secondo l’opinione, su La Stampa, di Marta Dassù, in teoria, l’Italia avrebbe potuto scegliere, di fronte allo scoppio della crisi libica, una posizione diversa; ma, una volta  la defilata opzione “tedesca”,  una volta date le proprie basi, una volta premuto per il comando Nato, una volta accolto con tutti gli onori Jalil (il capo di Bengasi) a Roma, una volta deciso l’invio di alcuni consiglieri militari, il rifiuto di fornire bombardieri non aveva più  senso. Il fatto è che la credibilità internazionale di Berlusconi e del suo governo è ai minimi e, all’interno, il Pdl continua a perdere forza e consenso. Non è un caso che la fiducia dei ministri che si sono esposti mediaticamente in questi ultimi mesi è in caduta libera. Dalla Libia alla finta emergenza immigrazione, passando per il “processo breve”, non c’è più sintonia con l’elettorato o, comunque,  una parte di esso. Berlusconi ed i suoi (soprattutto gli ex colonnelli di An), hanno cercato di recuperare consenso sventolare lo spauracchio dell’uomo nero, ma la cosa pare non abbia funzionato. Negli occhi degli italiani ci sono quelle immagini vergognose di Lampedusa, l’incapacità del governo di trovare una soluzione, che aggredisce l’Europa dicendo di essere rimasta sola, paventa un flusso migratorio di portata biblica e nasconde (ma non vi riesce troppo), che si sta parlando di 30.000 disperati: lo stesso livello del 2008, mentre la Germania, venti anni fa, senza colpo ferire, si fece carico da sola di centinaia di migliaia di profughi provenienti dall’ex Jugoslavia. Mentre la fiducia del governo è in caduta libera e si attesta su minimi mai stati così bassi, sul piano internazionale siamo visti come una nazione poco credibile, che grida “al lupo, al lupo” sul fronte immigrazione, un nazione che tentenna di fronte alla crisi libica, un Paese governato da un premier che si occupa dei suoi problemi con la giustizia invece di dare risposte concrete agli elettori e che pertanto non può avere alcuna credibilità. E a dirla lunga, secondo vari giornalisti, sul livello di autorevolezza del Cavaliere, vi è un episodio accaduto la scorsa settimana, in occasione della visita in Italia di Nikoloz Gilauri, primo ministro della Repubblica di Georgia, che, alla vigilia dell’arrivo a Roma, ha espressamente chiesto di non incontrare Berlusconi. Un no che avrebbe assunto i connotati dell’incidente diplomatico se non ci fosse stato l’incontro con il sottosegretario Letta, oltre a quelli con il presidente della Camera Fini e col segretario del Pd Bersani e nonostante il Cav avesse dichiarato, che fu proprio lui (e come poteva essere il contrario?) ad evitare che le tensioni tra Tiblisi e Mosca sfociassero, nell’estate del 2008, in guerra aperta. Fu anche allora si trovò di fronte il presidente francese accanto ai georgiani, secondo uno schema che li vedeva contrapposti alla coppia Berlusconi-Putin e sulla base di quegli accadimenti, secondo quanto riportato da wikileaks in merito alle relazioni dell’ambasciatore Usa a Roma, il governo di Tiblisi si formò la convinzione che Putin avesse promesso a Berlusconi una percentuale di profitto da ogni gasdotto sviluppato dall’Eni insieme a Gazprom. Da qui e dal resto (bunga bunga e processo breve), l’onta, per il Cav, di essere snobbato dal collega georgiano, che certo non fa parte del G20, ma rappresenta comunque  un Paese non  trascurabile, vista l’importanza strategica di uno Stato incastonato nella delicatissimo teatro caucasico. E così, almeno per ora, esce rafforzato Sarkozy ed indeboliti il Cavaliere dal vertice di Roma sulla Libia e cioè sui  rimedi per uscire dall’impasse venutosi a creare sulla circolazione dei migranti sbarcati in Italia dalla Tunisia e diretti verso la Francia grazie al permesso di soggiorno temporaneo fornito loro dalle nostre autorità, con la dichiarazione congiunta della necessità di rivedere il trattato di Shengen, con implicita ammissione che l’Italia è un filtro inesistente, anzi un colabrodo. E, sembra, chela vittoria francese abbia riguardato anche altri fronti. Dopo che il colosso del lusso Lvmh ha portato nel suo portafoglio Bulgari e mentre gli investitori italiani e quelli d’oltralpe stanno ancora lottando per il controllo dei reattori di Edison, il colosso alimentare Lactalis ha annunciato un’Opa totalitaria sul capitale di Parmalat, al prezzo di 2,6 euro per azione. Unica concessione per noi la dichiarazione di Sarkozy di sostenere la candidatura italiana alla direzione della Bce, tanto bisogna ancora incassare il consenso essenziale di Angela Merkel che, sfumata la candidatura di Axel Weber, ha comunque perplessità riguardo l’opportunità di promuovere alla presidenza il candidato di un Paese fortemente indebitato, nel momento in cui l’Eurozona si trova ad affrontare la crisi del debito sovrano. Mancano ancora quasi due mesi al vertice europeo del 24 giugno che dovrà decidere il nome del successore e a Sarkozy non costa nulla promettere dopo aver vinto su tutto. E Berlusconi è in fibrillazione, per i malumori continui della Lega e perché, di fatto dopo l’incontro con Sarkozy, dovrà tornare a cavalcare l’ipotesi del permesso di soggiorno a carattere umanitario (rilanciata ancora dall’ex sottosegretario Mantovano), con l’intenzione  di spargere sul territorio nazionale — regioni a guida leghista comprese — le strutture per accogliere i profughi che in Francia non potranno andare. Altro che “regole condivise” e “convergenze di opinioni”. Contrariamente alle dichiarazioni ufficiali di Silvio Berlusconi a Palazzo Madama alla fine del vertice, fra Italia e Francia si è svolto un braccio di ferro che noi non abbiamo certo vinto. D’altra parte, se “il buongiorno si vede dal mattino”, già ieri le parole di Henri Guaino, consigliere particolare del presidente Nicolas Sarkozy, in un’intervista al quotidiano francese Le Monde‘, secondo cui: “Il fatto che l’Italia abbia lasciato passare i migranti nordafricani pone un problema”, non lasciavano presagire nulla di buono. Sarkozy torna in Francia rafforzato e meno preoccupato di Marine Le Pen, che lo ha ormai superato nei sondaggi tra la classe operaia. Secondo Guaino, la cavalcata della destra dimostra che “la società francese è malata e non dev’essere sottovalutata”, nel suo disagio che si esprime “tanto nella questione dell’identità e della sicurezza, quanto nella questione sociale ed economica”. Tutta colpa della crisi economica che si trascina dal 2008, diceva ieri Guaiono, ma da oggi può aggiungere ai colpevoli anche l’incapacità del governo italiano.

Carlo Di Stanislao

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *