La carta Bin Laden, forse pronta da anni ma ‘in scadenza’

L’eliminazione di bin Laden offre al presidente Obama la possibilità di uscire dal pantano afgano senza che ciò appaia come una ritirata, una sconfitta, presentandosi anzi come vincitore che può dire ‘missione compiuta, ora ce ne possiamo andare’. Generale Fabio Mini*, qual’è la sua valutazione? Con questa mossa il presidente Obama, che fino a pochi […]

L’eliminazione di bin Laden offre al presidente Obama la possibilità di uscire dal pantano afgano senza che ciò appaia come una ritirata, una sconfitta, presentandosi anzi come vincitore che può dire ‘missione compiuta, ora ce ne possiamo andare’. Generale Fabio Mini*, qual’è la sua valutazione?
Con questa mossa il presidente Obama, che fino a pochi giorni fa era in caduta libera in tutti i sondaggi e apparentemente condannato a una prossima sconfitta elettorale, ha improvvisamente riguadagnato una popolarità e una credibilità immense. Questo grande successo consente a Obama di rivendicare il conseguimento di un obiettivo che lui stesso aveva posto con grande enfasi nel 2009 enunciando la sua nuova strategia per l’Afghanistan, tutta incentrata su al Qaeda e bin Laden. All’epoca parve a tutti un azzardo incomprensibile. Ma a posteriori risulta chiaro che il presidente aveva già all’epoca la sicurezza che quell’obiettivo, apparentemente irraggiungibile, era invece acquisibile, o addirittura già acquisito nel senso che Osama forse era già morto. Ora che l’obiettivo fissato è stato raggiunto, Obama può avviare l’uscita dall’Afghanistan dichiarando di aver vinto.

Dal punto di vista della politica estera la tempistica del blitz risulta ideale, giusto a ridosso della scadenza di luglio sull’avvio del ritiro dell’Afghanistan. Ma per una ricaduta massima in politica interna non gli conveniva aspettare la vigila delle prossime elezioni?
Obama ha dovuto eliminare bin Laden adesso perché le rivoluzioni arabe, in cui al Qaeda non gioca alcun ruolo, stanno rendendo il simbolo politico di Osama ininfluente, stavano velocemente mettendo fuori gioco l’asso nella manica che il presidente voleva giocarsi. Quindi ha scelto di agire prima che la figura di bin Laden perdesse ogni valore politico, finché era ancora politicamente spendibile. Se avesse aspettato, avrebbe eliminato un simbolo ormai scaduto.

L’eliminazione dello ‘sceicco del terrore’ avviene pochi giorni dopo l’annuncio del cambio ai vertici della sicurezza nazionale americana, con il generale Petraeus alla Cia e Panetta al Pentagono al posto del ‘bushiano’ Gates. Secondo lei c’è qualche relazione tra le due cose?
L’uscita di scena di bin Laden consente al presidente Obama non solo di chiudere trionfalmente la difficile partita afgana ereditata da Bush, ma anche di concludere la fase storica e politica della guerra al terrorismo. L’eliminazione del capo di al Qaeda gli offre l’opportunità di voltare pagina e di avviare una nuova fase di politica internazionale meno bellicista, caratterizzata da una maggiore tranquillità internazionale e incentrata proprio sulla gestione di quelle rivoluzioni ed evoluzioni in corso nel mondo arabo nordafricano e mediorientale. Ma questo richiede anche la chiusura di un ciclo strategico, un mutamento di registro espresso appunto dal cambio ai vertici della sicurezza nazionale: un apparato militare dotato di minor potere e autonomia rispetto all’era Bush, più legato all’intelligence e quindi alla politica.

Il presidente Obama ha dichiarato che con la morte di bin Laden il mondo è più sicuro, ma molti ribattono che al Qaeda non è morta con il suo capo e che il terrorismo internazionale costituisce ancora una minaccia, ragion per cui giudicano inopportuno il disimpegno militare Usa dall’Afghanistan.
Sia sul ritiro dall’Afghanistan che sul cambio di strategia internazionale Obama è destinato a scontrarsi con le resistenze di chi vuole che la guerra al terrorismo continui, di quegli ambienti politici, non solo repubblicani, che vogliono perpetuare il regime del terrore e della paura, di quelle lobby che grazie allo spauracchio di Osama bin Laden e del terrorismo internazionale hanno fatto grandi affari e vogliono continuare a farli. Sono loro, in America ma anche in Europa, che in queste ore paventano nuovi attacchi terroristici.

* Il generale Fabio Mini ha comandato la missione Nato in Kosovo (Kfor), è stato tra l’altro ufficiale negli Stati Uniti presso la 4º Divisione di Fanteria a Fort Carson (Colorado) e addetto militare a Pechino; ha diretto l’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (Issmi) ed è autore di diversi libri, oltre venti saggi e innumerevoli analisi su questioni militari, strategiche e geopolitiche.

Enrico Piovesana-PeaceReporter

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