Bossi Vs Berlusconi

Ancora una volta, anche in occasioni che dovrebbero essere esenti da tali uscite (definite dall’ex procuratore capo Borrelli “triviali”), Berlusconi tuona contro i giudici, dichiarando che è già stata presentata  una proposta di legge per dare via libera alla commissione d’inchiesta sui magistrati; proposta già da tempo messa agli atti della  Camera dai deputati del […]

Ancora una volta, anche in occasioni che dovrebbero essere esenti da tali uscite (definite dall’ex procuratore capo Borrelli “triviali”), Berlusconi tuona contro i giudici, dichiarando che è già stata presentata  una proposta di legge per dare via libera alla commissione d’inchiesta sui magistrati; proposta già da tempo messa agli atti della  Camera dai deputati del Pdl Jole Santelli e Giorgio Stracquadanio,  ma che finora la maggioranza non ha spinto per accelerarne l’iter di discussione. Il premier è tornato a parlare di persecuzione nei suoi confronti anche nel “Giorno della Memoria”,  celebrata al Quirinale per ricordare le vittime del terrorismo e nonostante Napolitano abbia richiamato alla necessità, per il governo, di fare di tutto per “aprire gli armadi della vergogna al fine di stabilire la verità sulle stragi”. Nel ringraziare il Csm per aver pubblicato, in questa occasione, un libro in memoria di Vittorio Bachelet e di tutti i magistrati uccisi dal terrorismo e dalle mafie, Napolitano ha detto che prima di parlare di riforme bisogna rispettare e rendere gli onori dovuti alla magistratura e che parlare di “responsabilmente della magistratura, nella consapevolezza dell’onore che ad essa deve essere reso come premessa di ogni produttivo appello alla collaborazione necessaria per le riforme necessarie”. Durante il suo discorso il Capo dello Stato si è commosso ricordando i dieci magistrati uccisi dal terrorismo: “Non dimenticheremo, perché l’Italia non dimentichi ma tragga insegnamenti e forza da quelle tragedie”. La lotta al terrorismo, ha ricordato, fu per l’Italia la prova più dura e pericolosa ma fu vinta con la Costituzione e la democrazia “grazie alla fibra morale, al senso del dovere, all’impegno nel lavoro e nella vita civile che hanno caratterizzato servitori dello Stato e cittadini di ogni professione e condizione”. Da Milano, invece, dove si è presentato al processo Mills che lo vede imputato di corruzione, Berlusconi attacca a testa bassa la magistratura, colpevole, a suo dire di avere all’interno “una associazione a delinquere”, espressione non condivisa da Fini (definito “stronzo” da Bossi)  che dichiara “Belusconi butta benzina sul fuoco per non parlare d’altro”. Ma di altro parla (o affabula, sarebbe meglio dire), il Cavaliere, che da’ dell’incompetente ai sindaci di L’Aquila e di Napoli e dichiara che le elezioni del 15 e 16 maggio vanno vinte,  perché se trionfasse la sinistra “saremmo tutti meno liberi”. In una video-messaggio fatto circolare su Youtube, il premier elenca quelli che definisce i punti del programma della sinistra: “reintrodurrebbe l’Ici che noi abbiamo abrogato, raddoppierebbe l’imposta su Bot e Cct del 12,50% al 25% e sui dividendi delle azioni, introdurrebbe un’imposta sul patrimonio delle famiglie a partire dagli appartamenti anche piccoli, consentirebbe le intercettazioni a tappeto, soprattutto utilizzandole per accanirsi contro i suoi avversari politici, lascerebbe le frontiere non aperte ma spalancate agli immigrati clandestini per concedere poi in cinque anni il voto agli extracomunitari e spostare a suo favore la bilancia elettorale”. In realtà è grande la paura di Berlusconi e non solo circa i suoi guai giudiziari. A Milano, dove ci ha messo la faccia candidandosi come capolista del Pdl, può capitare che i leghisti non votino Letizia Moratti,  come successe a Renato Brunetta, candidato a sindaco di Venezia, sicché il grande incantatore si gioca la carta del populismo basato sui pregiudizi della gente, ma, di fatto, lo scontro politico, ogni giorno che passa, sta diventando sempre più una rissa da taverna,  che coinvolge i Palazzi della politica e quelli istituzionali. La coalizione di maggioranza parla due lingue diverse, dato che Berlusconi dice una cosa e Bossi, subito dopo, l’opposto.  La Lega vuole ottenere un successo personale per non farsi fagocitare dal Pdl e imporre, nello stesso tempo, le sue condizioni. E, in caso di cambio della guardia a Palazzo Chigi, la partita potrebbero giocarsela tanto Maroni quanto Tremonti. Altrettanto il Pdl fa il possibile e l’impossibile per non regalare i voti al suo alleato. La sfida tra Berlusconi e Bossi è la novità di questa campagna elettorale, secondo il teutonico detto “macht geht vor recht”, ossia “la ragione del più forte è sempre la migliore”. E, come scrive sul Sole 24 Ore Lina Palmerini, la campagna elettorale non è l’unica ragione dello smarcamento di Umberto Bossi da Silvio Berlusconi. È vero, la difesa della magistratura fa parte dell’inizio dell’avventura del Senatur quando faceva da sponda ai Pm di Mani Pulite in chiave anti-partiti. Ma è anche vero che, poi, il Carroccio ha avuto relazioni anche violente con i giudici: ricordate il Pm di Verona Guido Papalia? Ecco, contro quel magistrato le parole di Bossi o di Maroni furono di fuoco. “Dovrebbe essere messo al bando della società civile”, diceva Bossi del magistrato titolare di un’inchiesta sui vertici leghisti accusati di attentato contro l’intergrità dello Stato e vilipendio. Poi ci fu la fase secessionista, durata tre anni (’96-’99) su 30, in cui si registrò uno scontro frontale con i Pm, come ricorda il politologo Stefano Galli. Ma adesso il profilo della Lega è più garantista, più, diremo, istituzionale, sempre allineato con Napolitano che, durante la “secessione” fu l’odiato ministro degli Interni. Il clima è ben raccontato da Matteo Salvini, in prima linea nella campagna leghista milanese e probabile vicesindaco, se vince la Moratti: “Che ci sia bisogno di una riforma profonda della giustizia è innegabile, che ci siano magistrati che non fanno autocritica su errori e ritardi anche, ma definirli un “cancro” è eccessivo. “Non ci sto al derby tra premier e giudici: voglio che si parli di Milano, della metropolitana, dei parcheggi”, ha detto il politico leghista. In fatto di populismo i leghisti non hanno nulla da imparare né dal premier né dalla Santantanchè (unica felice della speciale classifica “lato B” dei deputati del Pdl, che ha invece fatto infuriare la Mussolini e non pare perché sia arrivata solo quinta). Quelli del Carroccio, infatti, seguono il doppio binario composto, da un lato, dal pragmatismo “celodurista” e dall’altro dalla compostezza istituzionale filo-Colle. Credo abbia ragione Claudio Di Tommasso che dalla Gazzetta del Mezzogiorno avverte che il governo nazionale rischia assai sulla ruota di Milano, con la Lega che lo sta facendo capire in un modo quasi sfacciato: se Milano salta (per il centrodestra) può saltare anche Roma (per il premier). E quando Umberto Bossi si mette in testa una cosa, nemmeno un redivivo Alberto da Giussano (personaggio, per giunta, più mitologico che reale) riuscirebbe a fargli cambiare idea. Il presidente del Consiglio ne è consapevole. Non a caso, dopo lo choc del 1994, quando il Senatùr lo uccellò senza particolari rimorsi, Berlusconi si è guardato bene dal ferire o dal pungere il vendicativo condottiero e alleato leghista. Re Silvio, in più di tre lustri, ha ironizzato su tutto e tutti, da Barack Obama a Nicolas Sarkozy, fatta eccezione, però, per Bossi (e lo zar Vladimir Putin). La prospettiva di patire un secondo ribaltone suggerisce a Berlusconi di gettare acqua sul fuoco o di girarsi dall’altra parte tutte le volte che l’Umberto si smarca inviando segnali agli avversari del premier. Non dev’essere un’operazione gradita e simpatica, per un temperamento istintivo e sanguigno come il Cavaliere. Ma non c’è alternativa. Bossi è un animale politico puro, refrattario ai sentimenti e un po’ meno ai risentimenti e guai a dimenticarlo. Sono molti, a partire dal più acuto osservatore di politica nazionale, Stefano Folli, a ritenere che se si perdesse Milano la Lega avvierebbe una manovra di smarcamento, se non dal centrodestra, di sicuro dal presidente del Consigli e i ripetuti ossequi a Napolitano (odiato sino a dieci anni fa),  agevolano questa impressione, trasformandola in una quasi certezza.

Carlo Di Stanislao

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