Brutte notizie: la mancata libertà d’informazione

Dedicare spazio e sollecitare la discussione su quanto lo Stato garantisca uno dei diritti cardine della nostra Costituzione, l’articolo 21 a tutela della libertà di manifestazione del proprio pensiero, non è purtroppo qualcosa di banale e scontato. Non è banale, né scontato perché, a ben guardare, alcuni diritti non vengono garantiti semplicemente per l’esistenza di […]

Dedicare spazio e sollecitare la discussione su quanto lo Stato garantisca uno dei diritti cardine della nostra Costituzione, l’articolo 21 a tutela della libertà di manifestazione del proprio pensiero, non è purtroppo qualcosa di banale e scontato. Non è banale, né scontato perché, a ben guardare, alcuni diritti non vengono garantiti semplicemente per l’esistenza di una solida legislazione che ne imponga la tutela.
Il diritto di cronaca dovrebbe essere costante testimonianza dell’applicazione dell’articolo 21, oltre a rappresentare uno dei mezzi fondamentali che consentono ad una società democratica di fruire di un’informazione completa e plurale per poter essere in grado di esercitare la sovranità sul proprio Paese. Di obbligo di informazione si potrebbe parlare soprattutto per l’attività radiotelevisiva che svolge un servizio di preminente interesse generale.
 
Ma noi aquilani lo sappiamo bene: alcuni luoghi che sono mutati sotto la massiccia presenza del potere politico  smettono di essere solo territori e, in quanto tali, oggetto di narrazioni di fatti; diventano luoghi “metapolitici”, oggetto di una comunicazione che deve essere filtrata perché può profondamente incidere sulla valutazione che l’opinione pubblica ha dei soggetti politici implicati nella trasformazione del territorio stesso. La nostra città, dopo la prima fase di emergenza post sisma, non ha avuto molti spazi di visibilità all’interno del servizio pubblico televisivo: non si è documentata la situazione di inarrestabile degrado di un centro storico abbandonato, le modalità di investimento delle risorse stanziate dallo Stato, le fasi della ricostruzione, la panoramica della situazione occupazionale dei cittadini. Un attenta selezione di immagini ha invece concorso e continua a concorrere alla creazione di una “L’Aquila mediatica”, fatta di nuovi quartieri all’avanguardia, centro storico densamente frequentato, cittadini che hanno ormai concluso il periodo di forzata diaspora: chi ha visitato la nostra città dopo il sisma, fatica a riconoscere come quella reale.

E proprio dalla mancata documentazione di fatti relativi alle condizioni di vita degli aquilani che una giornalista come Maria Luisa Busi, volto storico del Tg1 fino al maggio del 2010, ha iniziato un doloroso percorso che l’ha portata ad allontanarsi dalla RAI e alla scrittura di un libro-denuncia che si occupa di far luce sulle dinamiche della recente trasformazione dell’informazione in strumento per fare politica.
 
“Esistono almeno due Italie. C’è quella da cartolina, dove si mangia bene e i problemi non esistono o, alla peggio, si risolvono da soli. E poi c’è un’altra Italia fatta di povertà emergenti o consolidate, di disoccupazione, di precariato, di mercificazione delle donne, di conflitti d’interesse, di uso politico dei media. In un Paese normale, un giornalista del servizio pubblico dovrebbe avere il diritto (e il dovere) di raccontare tutto questo. Ma da noi non funziona così.”
“Brutte notizie. Come l’Italia vera è sparita dalla tv” questo il titolo del libro presentato da Maria Luisa Busi anche a L’Aquila; feroce la denuncia di un servizio pubblico che non si preoccupa di dare una completa rappresentazione del Paese tramite una pluralità di punti di vista, ma elude la differenza tra comunicazione e informazione, facendosi non solo, megafono del governo, ma strumento stesso del potere.
 Parole forti quelle della Busi, ma affiancate da una serie di inchieste e documentazioni, condotte o vagliate in prima persona, che mirano a far emergere situazioni la cui gravità meriterebbe l’attenzione dei mass media; in ogni capitolo del libro fa luce sugli “invisibili”, come lei stessa li chiama, ovvero su quella parte della popolazione che per il fatto di non apparire sulle cronache del servizio pubblico di informazione viene ignorata dall’opinione pubblica e rimossa dalle preoccupazioni del governo. L’occultamento dei problemi reali dell’Italia diventa stimolo a scollare i telespettatori da situazioni angoscianti dell’oggi e a creare le basi di un sostanziale silenzio-assenzo nei confronti di chi gestisce le istituzioni.

  Il libro nasce dall’esigenza di descrivere i dietro le quinte dell’informazione televisiva così come oggi si articola, tentando una chiave di lettura del processo che ha portato il servizio pubblico a filtrare e non a testimoniare i problemi attuali degli italiani, a dare comunicazioni fuorvianti o addirittura ad occultare notizie scomode per il mantenimento del consenso da parte delle masse: la Busi riporta l’esperienza di 20 anni di servizio in RAI sotto la guida di 15 direttori che si sono susseguiti alla direzione risentendo sempre di più della pervasività del potere politico.
 L’impossibilità di documentare fatti, attenendosi ai doveri di cronista, l’ha portata alla rassegna delle dimissioni come volto di punta del Tg1 delle 20.
Le sorti della carriera professionale della giornalista si sono giocate proprio nella nostra città. Aveva chiesto di documentare la situazione post-sisma e nel febbraio del 2010: si ritrova nel bel mezzo di una protesta di comuni cittadini che, appena si accorgono della presenza delle telecamere del Tg1, gridano <<Vergogna!>> <<Scondinzolini!>>, << Siete dei venduti!>>; cittadini della media borghesia, non pericolosi sovversivi o giovani dei centri sociali, che inveiscono furiosi: << ci avete ammazzati due volte… non raccontate nulla… dite solo che va tutto bene… che abbiamo le case di Berlusconi…è una vergogna>>. La giornalista li vede varcare le transenne di centro storico abbandonato perché pretendono spiegazioni di fronte allo spettacolo di una città che vede marcire le sue stesse macerie, alla disperazione di uomini e donne che non hanno la possibilità di riprendere le loro attività lavorative, alla disgregazione di un territorio che ha reso L’Aquila un insieme di non-luoghi. La Busi non può documentare il “miracolo aquilano” e realizza un documentario su tv7, andato in onda a tarda notte, dove racconta la tragica situazione del post sisma, unitamente agli abusi e alle illegalità attuati durante la costruzione del progetto C.A.S.E.
All’indomani delle parole di presa di distanza dalla linea editoriale sul terremoto lo scontro con quella parte della redazione che aveva in precedenza gestito l’argomento, scontro che si accentua alla mancata firma da parte di sessantatrè giornalisti del Tg di un appello in favore del direttore Augusto Minzolini sul processo Mills.
“Siamo stati in sessantatré a rifiutarci di firmare un documento che diceva <<al Tg1 non c’è nessun disagio>> (…) Mentre i nostri centralini andavano in tilt per le telefonate di proteste, mentre sulla piazza virtuale cresceva una rivolta di spettatori senza precedenti. Duecentomila sottoscrivevano un appello su Facebook perché il Tg1 facesse una rettifica, dopo aver dato una notizia falsa: che l’avvocato inglese di Silvio Berlusconi, era stato assolto in cassazione. Invece il reato era caduto in prescrizione.”. Arrivano le rimozioni: Massimo De Strobel, Tiziana Ferrario, Massimo Di Giannantonio, Piero Damosso. Nessuno di loro aveva firmato la lettera pro direttore. Maria Luisa Busi lascia la redazione dichiarando di poter difendere le proprie convinzioni soltanto levando la propria faccia dal Tg.

“Dalla protesta di febbraio avvenuta qui a L’Aquila ho avuto la visione plastica del perché ho voluto fare questo mestiere” dichiara la Busi durante la presentazione del libro, occasione che ha voluto essere anche e, soprattutto, un momento di confronto e ascolto della popolazione aquilana. “E’ un delitto non raccontare la situazione in cui vi siete trovati e tuttora vi trovate. Un delitto che ha precisi responsabili”.

Elisa Giandomenico

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