La strategia policentrica nella città – territorio

Il dissolvimento della forma urbana è un fenomeno che oggi interessa un gran numero di città europee. E’ frutto di un processo di crescita che, sorto sotto l’insegna di una visione monocentrica di città – un monocentrismo impostato sulla centralità della “centro storico” – è stato poi parzialmente negato dalla nascita di diverse enclave disseminate […]

Il dissolvimento della forma urbana è un fenomeno che oggi interessa un gran numero di città europee. E’ frutto di un processo di crescita che, sorto sotto l’insegna di una visione monocentrica di città – un monocentrismo impostato sulla centralità della “centro storico” – è stato poi parzialmente negato dalla nascita di diverse enclave disseminate sul territorio. A smembrare il tradizionale disegno urbano aquilano, impostato sul paradigma “centro-periferia” è stato il big bang del 6 aprile. A distanza di due anni, oggi il territorio comunale si rappresenta come una “concrezione incoerente” di  brani storici, quartieri moderni, enclave, detriti, nebulose, sprawl. Di tutto si può parlare fuorché di forma urbana, e le consunte pagine di questo “libro di pietra” evocano lo stato sociale, psicologico e organizzativo in cui versa la società civile. Questo disfacimento, anziché essere letto come momento di una sia pur dolorosissima ma necessaria metamorfosi, viene vissuto prevalentemente come annientamento identitario, infausta disgregazione di uno  compatto e stabile sistema socio-ambientale. In realtà, i fenomeni di dispersione e di assenza di identità, la mancanza del senso di appartenenza sono locuzioni che rimandano ai concetti di perifericità e di marginalità, ad una distribuzione non egualitaria dei luoghi centrali, aspetti ricorrenti negli standards di vita locali. Le mega-strutture universitarie, commerciali, militari e sanitarie apparse in età recente nei diversi comparti del territorio comunale, non sono mai divenuti dei veri e propri “luoghi centrali”, spazi simbolici e della convivialità, su cui potesse intessersi la quotidianità dei cittadini. Queste enclave sono entrate a far parte del contesto urbano solo in quanto situate in prossimità delle grandi strade di comunicazione o nei punti di massima accessibilità dal territorio. Appaiono quindi come “recinti ad ingresso controllato” che assorbono una grande quantità di potenziale urbano. Se riversate nei tessuti residenziali forse avrebbero potuto produrre vigorosi effetti di rivitalizzazione, conformi ad una strategia policentrica. Di fatto però esse sono espressione del prototipo di “città diffusa” che fuoriesce da quello tradizionale impostato sul binomio “centro-periferia” e che per  taluni versi potrebbe definirsi “policentrico”, ma di un policentrismo che non ha una funzione strutturante, poiché impostato su un insieme di realtà separate, ciascuna centrata in sé stessa e il cui rapporto col contesto è affidato unicamente alla grande rete trasportistica. Questo modello potrebbe essere superato solo se inserito in una visione policentrica di città-territorio e accompagnato da requisiti di integrazione, di qualità e urbanità attraverso un’adeguata regia pubblica. Oggi, il progetto di un “sistema di centralità” rappresenta la più grande operazione di architettura e di paesaggio urbano che l’Aquila del post-terremoto possa effettuare, un’iniziativa che, ispirata all’inclusività sociale, rappresenta un’opportunità irrinunciabile che consentirebbe di  ridisegnare l’intera compagine del territorio comunale in fase di disfacimento. Suddetto sistema andrebbe concepito come “sistema di luoghi complessi”, dall’impianto fondato sul concetto di spazio pubblico, dato da una pluralità di funzioni di alto livello, caratterizzate dalla presenza di variegate attività culturali, ricreative e rappresentative. Ciò è essenziale non solo per un generale impatto economico sui consumi, ma anche per l’effetto che dette attività hanno su alcuni processi sociali che hanno luogo nella città, nonché sulla loro attrattività nei confronti di alcune categorie di persone e di profili professionali. Infatti la possibilità di avere accesso ad attività culturali e ricreative contribuisce a rendere l’ambiente urbano particolarmente attraente per le persone con più elevati livelli di istruzione e in particolare quelle persone impegnate in attività intellettuali, creative. E, poiché queste sono le categorie di persone più critiche per lo sviluppo e la crescita di un luogo, essere in grado di attrarle e trattenerle diviene un obiettivo critico per una città policentrica. L’esperienza internazionale mostra che in tutti i progetti urbani di una certa rilevanza viene istituita una struttura di regia che, definendo gli obiettivi funzionali e qualitativi del progetto, li esplicita con una prima serie di requisiti, tramite l’elaborazione di Linee Guida, la cui strategia dovrebbe agire su due livelli: su quello facente capo ai singoli frammenti urbani e su quello riferito all’insieme. Il primo, orientato su una capillare opera di aggiustamento, ripercorrendo uno per uno i luoghi della crescita, dovrebbe riassegnare identità ai diversi quartieri della periferia. A livello di grande scala l’elemento strutturante è costituito dalla grande rete trasportistica, imperniata principalmente sul trasporto pubblico e sul progetto dello spazio aperto, la cosiddetta “grande rete verde”, in gran parte costituita da parchi e corridoi ecologici. Questa rete, intesa come reinvenzione del paesaggio naturale all’interno della città costruita e come immersione del territorio urbano all’interno di un “connettivo naturale”, si pone come “macrostruttura della città policentrica”, il cui progetto rimanda ad un poster-plan.

Giancarlo De Amicis, di “Policentrica”

 

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