Viaggio tra le fiamme della stella supergigante Betelgeuse

La nuova spettacolare immagine della stella supergigante Betelgeuse, ripresa dagli astronomi dell’Osservatorio Europeo Meridionale (Eso) utilizzando lo strumento VISIR del Very Large Telescope (VLT), rivela un complesso intreccio di polveri e gas nebulari attorno alla stella, con una risoluzione da record, mai raggiunta prima. I dettagli sono così precisi e stupefacenti da svelare la struttura […]

La nuova spettacolare immagine della stella supergigante Betelgeuse, ripresa dagli astronomi dell’Osservatorio Europeo Meridionale (Eso) utilizzando lo strumento VISIR del Very Large Telescope (VLT), rivela un complesso intreccio di polveri e gas nebulari attorno alla stella, con una risoluzione da record, mai raggiunta prima. I dettagli sono così precisi e stupefacenti da svelare la struttura filamentosa ed asimmetrica della “nebula” che ricorda quella delle fiamme nucleari emesse dagli astri morenti. Gas che non si propagano tanto facilmente in tutte le direzioni, spinti dai poderosi venti stellari alimentati dai fortissimi campi magnetici. Che su Betelgeuse danno vita a un’attività parossistica di “dimagrimento” con l’emissione di grandi quantità di radiazioni e di massa stellare nello spazio. Betelgeuse, una stella rossa supergigante posta, secondo il nostro convenzionale punto di vista terrestre, nella magnifica costellazione di Orione (in Italia visibile d’Inverno), è uno degli astri più brillanti del cielo. È la seconda stella più luminosa di Orione dopo Rigel (http://it.wikipedia.org/wiki/Betelgeuse). Ma è anche uno dei più grandi e massicci della nostra periferia galattica. Betelgeuse potrebbe occupare tranquillamente tutto lo spazio compreso tra il Sole e l’orbita di Giove nel nostro Sistema Solare, irradiando cinque Unità Astronomiche, cioè cinque volte la distanza tra la Terra e il Sole. Le immagini del Very Large Telescope mostrano la materia stellare che avvolge Betelgeuse in gusci sempre meno densi e più estesi che raggiungono distanze dell’ordine dei 60 miliardi di chilometri dalla superficie dell’astro. Cioè 400 volte la distanza tra il Sole e la Terra. Gli astronomi e gli astrofisici sanno che le supergiganti rosse come Betelgeuse rappresentano uno degli ultimi stadi (età) di vita delle stelle particolarmente grandi e massive. In questo relativamente breve periodo, gli astri come Betelgeuse si “gonfiano”, aumentano le loro dimensioni mano a mano che il combustibile nucleare che li alimenta (l’idrogeno) si esaurisce, sostituito dall’elio e poi dagli altri elementi più pesanti che però non possono controbilanciare con le loro reazioni termonucleari l’immensa “mole” gravitazionale di queste supergiganti. Che tendono a collassare inesorabilmente verso il nucleo. Per allontanare nel tempo lo scenario disastroso dell’esplosione stellare, la Natura inizialmente permette loro di liberarsi della massa in eccesso che può essere espulsa nello spazio cosmico sotto forma di gas nebulare e radiazioni, a ritmi parossistici. Come dire che in 10mila anni stelle come Betelgeuse si liberano di materia pari alla massa totale del Sole. Gli scienziati dell’Eso evidenziano due fenomeni particolari: il primo è la formazione di enormi pennacchi di gas (più modesti rispetto a quanto rivelano le immagini della nebula di Betelgeuse, un indizio molto importante ma non definitivo!) che si estendono dalla stella verso lo spazio. Pennacchi già sotto osservazione usando lo strumento NACO del VLT; il secondo fenomeno, all’interno dei pennacchi espulsi, è il fortissimo “respiro” della supergigante Betelgeuse immortalato nel vigoroso movimento delle enormi bolle di gas sulla superficie stellare, molto simile a quello dell’acqua in ebollizione. I nuovi risultati presentati sul prestigioso Astronomy & Astrophysics dal team di astrofisici guidati da Pierre Kervella e Guy Perrin del “LESIA, Observatoire de Paris / CNRS, Université Pierre et Marie Curie”, composto da: A. Chiavassa (Université Libre de Bruxelles, Belgium), S.T. Ridgway (National Optical Astronomy Observatories, Tucson, USA), J. Cami (University of Western Ontario,Canada; SETI Institute, Mountain View, USA), X. Haubois (Universidade de São Paulo, Brazil) e T. Verhoelst (Instituut voor Sterrenkunde, Leuven, Belgium), mostrano che i pennacchi più vicini alla stella sono probabilmente connessi alle strutture nebulari più esterne ora fotografate nella luce infrarossa dal Very Large Telescope dell’Eso. La nebula è invisibile ai nostri occhi, ossia alle lunghezze d’onda più familiari, poiché lo splendore di Betelgeuse la offusca completamente. La forma asimmetrica e irregolare della massa proiettata nello spazio indica che la Natura non predilige la modalità simmetrica per far dimagrire queste stelle. Le bolle di materia stellare e i pennacchi giganti che si formano e si osservano su Betelgeuse potrebbero essere responsabili dell’aspetto globuloso della nebula. Le nuove immagini ne evidenziano anche la natura: polveri di silicati e di alluminio, la materia che forma la crosta dei pianeti rocciosi come la Terra. La deduzione è ovvia. Miliardi di anni fa, prima della nascita del Sole, i silicati terrestri e i minerali che formano e colorano il nostro corpo e il nostro sangue, furono cucinati da una superstella (ora estinta) molto simile a Betelgeuse. Quindi, siamo tutti figli nucleari delle stelle.

Le osservazioni dello strumento NACO al VLT avevano già mostrato i pennacchi. Il piccolo cerchio nella foto pubblicata dall’Eso, ha un diametro di quattro volte e mezza l’orbita della Terra e rappresenta le dimensioni reali della superficie visibile di Betelgeuse. Il disco nero corrisponde alle regioni più brillanti della stella che nell’immagine sono state mascherate per mostrare lo splendore della nebula in luce infrarossa. Gli studi all’Eso sono molto importanti per seguire tutte le fasi finali della vita di questi astri. Tuttavia è impossibile prevedere quando Betelgeuse esploderà in supernova, l’atto finale delle supergiganti. Magari, miliardi profughi sono già in viaggio da decine di anni, provenienti dai mondi minacciati dalla futura supernova, verso pianeti come la Terra. Chi può dirlo? Un fatto è certo. Conoscere la fisica di questi processi nucleari relativamente conclusivi, può aiutare a comprendere come queste supergiganti cercano di sopravvivere: i consumi parossistici di carburante nucleare e le forti “diete” alle quali si sottopongono, rappresentano la frontiera delle nostre conoscenze. L’ebollizione della materia superficiale, l’eiezione di gas in eccesso e il rifornimento nucleare dagli strati più esterni, sono elementi di studio e riflessione per capire il nostro futuro nell’Universo. La cuccagna è finita da un pezzo su molti altri mondi morenti, forse a causa di stelle come Betelgeuse. Che però, quando esplodono in supernova (la maggior parte dell’energia viene emessa sotto forma di neutrini) diventano la fucina nucleare e la sorgente di tutti quegli elementi chimici utili alla formazione di altre stelle, di pianeti rocciosi forse abitabili e, in definitiva, di altra vita.

Betelgeuse è mille volte più grande del nostro luminare. È una delle stelle più luminose oggi conosciute. La sua luce è superiore a quella emessa da 100mila astri di taglia solare. Come tutte le supergiganti, vive molto meno della nostra stella di mezza età (5 miliardi di anni).

Betelgeuse, all’attuale ritmo di “espansione” nebulare, alla veneranda età di pochi milioni di anni, è prossima alla fine. È condannata ad esplodere in supernova. Le sue radiazioni distruggeranno ogni cosa nel raggio di alcune decine di anni-luce. Quando accadrà, sulla Terra la vedremo brillare di giorno e di notte come un secondo Sole, forse per alcuni mesi. Tuttavia, vista la considerevole distanza, non dovremmo preoccuparci di nulla. I neutrini di Betelgeuse illumineranno tutti gli esperimenti del Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn: gli scienziati nel cuore dell’Appennino abruzzese potranno analizzare in grande dettaglio la catastrofe cosmica lontana circa 660 anni luce dalla Terra. Le moderne tecnologie messe a punto dagli astrofisici dell’Eso, stanno mostrando per la prima volta al mondo il vero volto di questa supergigante. Le ottiche adattive possono aiutare gli astronomi ad ottenere immagini brillanti e “pulite” dell’astro, prive dei pessimi effetti indotti dalla turbolenza atmosferica. Ossia alle più alte risoluzioni, come fossero scattate dallo spazio. Già i risultati offerti dallo strumento NACO avevano permesso di raggiungere il limite teorico del telescopio di 8 metri di diametro: la significativa risoluzione di 37 millisecondi d’arco, paragonabile alle dimensioni di una palla da tennis sulla International Space Station, vista da terra. Ora possiamo vedere davvero i pennacchi nucleari di Betelgeuse che si estendono nello spazio per almeno sei volte il diametro dell’astro, ossia la distanza tra il Sole e il pianeta Nettuno. Ma non in tutte le direzioni. Un’indicazione chiara del fatto che, secondo gli esperti dell’Eso, i meccanismi di espulsione vedono protagonisti il campo magnetico, la rotazione e i moti convettivi interni dei gas stellari. La spettacolare sequenza di avvicinamento alla supergigante Betelgeuse (http://www.eso.org/public/videos/eso1121a/) può rendere l’idea di cosa stiamo realmente osservando. La soluzione al problema del “quando Betelgeuse esploderà” non è facile perché gli astronomi sono convinti del fatto che la stella possa riservare altre sensazionali sorprese prima del botto finale. Nulla a che vedere con la fine del mondo nel 2012. Allora si cerca di aumentare la potenza dei telescopi disponibili, combinando tutte le tecniche ottiche ed informatiche per “estendere” virtualmente le dimensioni reali di lenti e specchi al VLT. Grazie all’interferometria, Keiichi Ohnaka del Max Planck Institute di Bonn e i suoi colleghi, cercano di combinare tutta la potenza disponibile in Cile al Very Large Telescope, per “materializzare” un telescopio, oggi virtuale e un giorno reale, di 48 metri di diametro capace di visualizzare una schedina di memoria sulla Iss. Oggi gli astronomi sono in grado di navigare letteralmente sulla rossa superficie bollente di Betelgeuse! È la prima stella dopo il Sole ad offrire questa straordinaria opportunità. E la stampa italiana come interpreta queste scoperte? Il principale quotidiano italiano alcuni mesi fa annunciò addirittura la possibile esplosione di Betelgeuse nel 2012. Una chiara bufala nata dalla sinistra interpretazione delle dichiarazioni di un fisico australiano. Betelgeuse è una supergigante rossa già condannata all’evento di supernova. Chiariamo subito il concetto. Potrebbe essere esplosa oggi. Perché dovrebbe farlo l’anno prossimo? Ma per scoprirlo dovremmo comunque attendere più di sei secoli. La velocità della luce è ancora una barriera temporale formidabile. Certamente che accada nel 2012 potrebbe essere meno improbabile di quanto lo sia piuttosto la caduta di un asteroide di 10 miglia sulla Terra dopo 65 milioni di anni. Ogni giorno nasce e muore una stella nell’Universo, ma nessuno scienziato è in grado di fare una previsione del genere per Betelgeuse. Generazioni di astronomi da più di 400 anni sono in ansiosa attesa di una supernova galattica vicina, alla giusta distanza di sicurezza dalla Terra. L’esplosione di una stella massiccia giunta alla fine della sua breve esistenza illuminerebbe l’intera Via Lattea. E sarebbe osservabile dalla Terra se posta alla giusta distanza, al di sopra o al di sotto del piano galattico, e lontana dalle dense polveri cosmiche del nucleo centrale. Le supernove si osservano con regolarità nelle altre galassie. L’Osservatorio Astronomico OACT di Teramo (Collurania) e l’Osservatorio privato di Colle Leone (Mosciano S. Angelo, Te) hanno all’attivo alcune osservazioni interessanti. Astronomi pubblici e privati ne scoprono diverse ogni anno in tutto il mondo. Ma sono troppo lontane per poterle studiare nei minimi particolari. Betelgeuse è la giusta candidata che farebbe al caso nostro. Perché non è troppo vicina alla Terra (altrimenti saremmo investiti da una spaventosa pioggia mortale di radiazioni gamma e X, che farebbe esplodere ogni dispositivo elettronico sulla Terra non a prova di shock elettromagnetico) ma neppure troppo lontana. Insomma, secondo alcuni astronomi sarebbe la classica supernova miracolosa, nei limiti di sicurezza per uno spettacolo pirotecnico termonucleare cosmico e scientifico davvero grandioso. Che meriterebbe sicuramente tutta la nostra considerazione e tutto il nostro rispetto per il privilegio più unico che raro concesso all’umanità intera, dopo la bellissima SN1987A del secolo scorso. Una Betelgeuse da incorniciare e immortalare in articoli e foto scientificamente validi. Le supernove esplose negli ultimi duemila anni e i cui resti sono ancora visibili nello spazio, hanno meritato cronisti e scienziati all’altezza del compito. Nel 1006 e nel 1054 due stelle luminosissime brillarono magnificamente nel cielo.

Due supernove, due astri di grande massa giunsero al termine della loro vita esplodendo con l’energia di miliardi di bombe all’idrogeno, illuminando l’intera galassia. Mediamente nella Via Lattea eventi del genere si verificano ogni tre o quattro secoli. L’ultimo risale al 1604. Fenomeni così grandiosi non passano inosservati. Eppure può accadere anche questo nel mondo occidentale. Nel passato si pensava che il cielo delle stelle fisse ritenute per definizione immutabili, fosse perfetto. Quindi senza mutamenti e senza esplosioni cosmiche. Si preferivano altre interpretazioni confezionate su misura. Altri registrarono la supernova del 30 aprile 1006 nella costellazione del Lupo: furono gli studiosi islamici come l’astrologo e medico egiziano Ali ibn Ridwan (988-1061), ed osservatori iracheni, cinesi e giapponesi. L’unica traccia italiana è nei documenti dell’abbazia benedettina di San Gallo. “Frank Winkler – scrive Piero Bianucci su La Stampa – nel 2003 ha fatto notare che la luminosità della stella fu tale da permettere ai monaci di miniare i loro codici in piena notte. Oggi rimane, in quell’angolo di cielo, una piccola e debolissima nebulosa che emette raggi X. La supernova comparsa nel 1054 nella costellazione del Toro suscitò la meraviglia di astronomi arabi, cinesi e indiani d’America senza trovare attenzione in Europa benché sia stata visibile di giorno per tre settimane e abbia brillato in cielo per 653 notti. Possiamo dedurne che, scuole monastiche a parte, nel medioevo l’astronomia si immerse in un lungo letargo”. Con poche eccezioni. “All’inizio del settimo secolo – fa notare Bianucci nell’interessante articolo scientifico – Isidoro, vescovo di Siviglia, tracciò la distinzione tra astrologia e astronomia bollando la prima come superstizione. Beda il Venerabile nel 725 fissò le regole per determinare le festività mobili cristiane all’interno di quel calendario giuliano che fu il contributo all’astronomia dato dai romani, notoriamente gente pratica. Nel 1050 il benedettino Ermanno lo Storpio descrisse costruzione e uso dell’astrolabio. Elementi di astronomia si trovano nel trattato “De Sphera” dell’inglese Giovanni Sacrobosco, morto a Parigi nel 1236. Notevoli sono le “Tavole Alfonsine” che re Alfonso X di Castiglia fece compilare da un gruppo di astronomi arabi nel 1272. L’uscita dal buio inizia con Johannes Muller di Koenisberg (1436-1476) detto Regiomontano. Bambino prodigio, Regiomontano entrò all’Università di Lipsia quando aveva solo 11 anni ed a 12 calcolò le effemeridi di Sole, Luna e pianeti. Fu un ottimo osservatore. Con le sue misure inizia la revisione critica dell’astronomia tolemaica che apre la strada a Copernico”. Arrivarono poi altre due supernove. “Una nel 1572, studiata da Tycho Brahe, e una nel 1604, studiata dal suo allievo ed erede Keplero, e poi anche da Galileo Galilei. Due eventi eccezionali che insieme ne formano uno ancora più eccezionale: la generazione tardo-rinascimentale che visse a cavallo tra il 1572 e il 1604 vide due supernove nella nostra Via Lattea, mentre noi moderni da più quattrocento anni aspettiamo di vederne una. In ogni caso furono le supernove a dimostrare, con la mancanza di parallasse, che anche il cielo delle stelle fisse poteva subire mutamenti, alla faccia di Aristotele e Tolomeo. Ma le supernove del 1006 e del 1054 furono ignorate in ambito nel mondo cristiano”. Parafrasando un proverbio popolare, non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Speriamo non accada di nuovo.

L’European Southern Observatory (Eso) è la principale organizzazione intergovernativa di astronomia in Europa e l’Osservatorio Astronomico più produttivo al mondo. È sostenuto da 14 paesi: Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Olanda, Portogallo, Spagna, Svezia, Svizzera e Gran Bretagna. L’Eso mette in atto un ambizioso programma che si concentra sulla progettazione, costruzione e gestione di potenti strutture astronomiche da terra che consentano agli astronomi di fare importanti scoperte scientifiche.

L’Eso ha anche un ruolo preminente nel promuovere e organizzare cooperazione nella ricerca astronomica. Gestisce tre siti unici di livello mondiale in Cile: La Silla, Paranal e Chajnantor.

A Paranal, l’Eso dirige il Very Large Telescope, l’Osservatorio Astronomico nella banda visibile e infrarossa più d’avanguardia al mondo. L’Eso è il partner europeo di un telescopio astronomico rivoluzionario, ALMA, il più grande progetto astronomico esistente, e sta pianificando al momento un Telescopio Europeo Estremamente Grande nella luce “ottico/vicino-infrarosso” di almeno 42 metri di diametro, l’E-ELT, che diventerà “il più grande occhio del mondo rivolto al cielo”.

Nicola Facciolini

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