E lieve sia la Terra: il potere magico-sacrale della scrittura

Casa Onna. Il nostro è un dolore presente, viene soltanto plasmato nel tempo. E’ stata presentata ieri l’antologia E lieve sia la terra: 24 scrittori che tramite ritratti, necrologi, racconti, profili, ricordi, riflessioni evocazioni riportano alla vita le voci delle vittime del terremoto. Brani d’autore in cui s’intrecciano i fili di tante vite: quelle perdute […]

Casa Onna. Il nostro è un dolore presente, viene soltanto plasmato nel tempo. E’ stata presentata ieri l’antologia E lieve sia la terra: 24 scrittori che tramite ritratti, necrologi, racconti, profili, ricordi, riflessioni evocazioni riportano alla vita le voci delle vittime del terremoto. Brani d’autore in cui s’intrecciano i fili di tante vite: quelle perdute dei morti, quelle svuotate dei conoscenti a loro sopravvissuti, quelle degli autori, in molti casi completamente estranei alla città nel momento della tragedia.

<<Io è un altro>> dichiarava Rimbaud nella Lettera del veggente, testo cardine della modernità letteraria in Europa. La letteratura come strumento d’incontro con l’altro e accettazione del pericolo di un confronto che diventa in alcuni momenti visione speculare.

E lieve sia la terra raccoglie i testi di autori che hanno accettato di far rivivere e di rendere imperituro grazie alla monumentalità della scrittura il ricordo dei morti del terremoto dell’Aquila. Morti, recita il sottotitolo del volume, e non vittime, termine quest’ultimo che darebbe adito a interpretazioni troppo sfumate di un evento le cui conseguenze sono state troppo crudelmente vere da accettare: in 308 sono morti di terremoto.

A ciascun autore è stato chiesto di sfogliare il database del quotidiano <<Il Centro>>, che elenca le vittime del terremoto per scegliere due o tre persone. E scrivere il perché di questa scelta. Semplicemente.

Umberto De Carolis, uno dei 24 autori che ha introdotto la presentazione del libro, mette a nudo le sue iniziali e tuttora non fugate riserve su un’operazione così delicata come quella di sovrapporre la propria voce alla voce di chi non può più aver voce, arrogandosi il diritto di esprimere il dolore altrui semplicemente per il fatto di evocare realtà tramite la parola per mestiere. <<Scrivere è un genere di esercizio di cui si finisce sempre per compiacersi. Accettando l’invito di partecipare al progetto mi è sembrato che acconsentendo avrei deciso più per me che per gli altri. Il pericolo era quello di trarre vanto da una materia così dolorosa.>>. Nella stessa prefazione il curatore del libro Luca D’Ascanio, riportando le parole di un’anonima scrittrice che ha declinato l’invito a far parte della raccolta e interpretandone le ragioni, centra le perplessità di coloro che hanno scelto di farne parte: <<Lo so che la morte ti getta in pasto al mondo>>. Perché scrittori diversi dovrebbero mettersi a parlare di persone defunte che nella maggior parte dei casi non hanno mai conosciuto? Onesto tenersi fuori dalla retorica dell’immedesimazione e tacere per non fomentare e opporsi la continua strumentalizzazione del terremoto dell’aprile 2009.

Ma la tragedia che ci ha colpiti ha reso la morte un fatto collettivo: la scrittura allora non si fa carico solamente di un dovere civile di testimonianza e di denuncia ma riscopre il valore magico-sacrale della parola. <<Mi si chiedeva di farmi sciamano per evocare i morti. I miei strumenti sarebbero state le parole>>: la scrittura consente di incidere nella memoria luoghi e persone che ci sono state strappate via mentre in città si tremava di terrore e inconsapevolezza. Gesti, frasi ricorrenti, pose riprendono movimento tramite la potenzialità espressiva della parola. Gli autori esterni alle vicende consentono una rispettosa distanza da un dolore che deve rimanere intimo ma deve essere condiviso perché è necessario rifuggire dall’indifferenza e da un’attenzione alla tragedia che è solo morbosa attrazione al delittuoso e alla disperazione.

Alla presentazione sono stati presenti alcuni degli autori, quelli che con L’Aquila hanno avuto un rapporto più viscerale, per esserci nati, per averci trascorso gli anni dell’adolescenza, per averla scelta e per continuare a sceglierla come città d’appartenenza oppure per esserle stata lontana nel momento del sisma e sentire tutto il peso di una colpa che non si riesce ad espiare. Nelle lacrime a stento tenute nascoste da Ilaria Carosi, nel desiderio di Sara Polidoro di essere stavolta presente alla sua città, nella difficoltà, evidente in Sandro Cordeschi, di essere testimone di un evento che lascia afasici, la violenza del sisma si abbatte e non sembra essere stemperata dal trascorrere del tempo.

A due anni dal sisma il dolore sembra coglierci ancora di sorpresa: nello scenario di perenne distruzione di Onna, durante la lettura di alcuni brani estrapolati da E lieve sia la terra, la nostra Antologia di Spoon River, si piange, si rimane in silenzio svuotati dal senso di perdita, carichi della responsabilità di vivere anche per coloro che non ci sono più.

Elisa Giandomenico

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