Mala tempora currunt!

Mentre tutto il mondo economico si aspetta che, fatte fuori Grecia e Portogallo, ora tocchi a Spagna ed Irlanda, l’Italia vara una manovrina ridicola e rinvia le vere decisioni a fra due anni, mentre lo spread del Btp sul Bund tedesco si attesta a 220 punti dopo la quota record di 224 punti: un differenziale […]

Mentre tutto il mondo economico si aspetta che, fatte fuori Grecia e Portogallo, ora tocchi a Spagna ed Irlanda, l’Italia vara una manovrina ridicola e rinvia le vere decisioni a fra due anni, mentre lo spread del Btp sul Bund tedesco si attesta a 220 punti dopo la quota record di 224 punti: un differenziale mai raggiunto dalla nascita dell’euro ed il rendimento del Btp decennale  al 5,18%. Ob torto collo il Presidente Napolitano è costretto a firmare il decreto sulla manovra, ma mette in rilievo che esso  da solo non basta e che il governo deve mettere in campo altri provvedimenti per contenere il debito da un lato e rilanciare l’economia dall’altro, oltre a ribadire, in più punti,  che su misure così importanti il Parlamento debba fare fino in fondo la propria parte con “un confronto realmente aperto”. La manovra rinvia tutto, carica gli statali ed i pensionati, non taglia e previlegi dei ricchi, né la politica e si guarda bene dalla’abolire le Provincie, con un risparmio stimato di 40 miliardi. Molto critica l’opposizione, con il leader  Pd Pier Luigi Bersani, che  paragona Tremonti al Dottor Stranamore, l’Udc che attacca il ministro per l’impatto che il decreto avrà sulle famiglie, ma nessuno che propone un documento di altro tipo o si impunti, a parte Di Pietro, sulle Provincie e sui costi della politica.  Tremonti comunque è preoccupato ed apre cautamente alle modifiche, purché queste non modifichino i saldi complessivi, tanto sa che neanche agli altri politici di opposizione conviene decurtare se stessi o i loro amici. Intanto continuano i guai a destra, con la Lega che minaccia di non votare il finanziamento alla presenza militare italiana in Libia ed Afganistan dopo l’azzeramento, in finanziara, del federalismo fiscale, con tagli che solo per i bilanci locali vale 9,6 miliardi nel 2013-2014 e altri 7,5 di minori finanziamenti per la sanità. Assistenza sociale, trasporto pubblico locale, livelli di assistenza sanitaria, politiche di sostegno alle imprese, investimenti: è questo, secondo le autonomie, il lungo elenco di servizi sui quali inciderà come un bisturi la manovra. Berlusconi – al quale chiedono un incontro urgente – deve “assumersi la responsabilità delle ricadute sui servizi fondamentali per il Paese”, hanno scritto in una lettera. Insomma: sui tagli il premier “deve metterci la faccia”. Anche perché, contestano come già con la manovra dell’anno scorso, la strada seguita col decretone tradisce il “leale spirito di collaborazione”: gli amministratori locali (ed i leghisti) contestano di essersi trovati di fronte a scelte “unilaterali” del Governo, a dispetto della cooperazione istituzionale che pure è scritta nella legge. «Le Regioni, i Comuni e le Province ritengono che la manovra non assicuri il governo del territorio, anche vanificando di fatto il percorso del federalismo fiscale”. E i guai ed i dissapori continuano anche dentro al Pdl, con Tremonti che dal “cretino” a Brunetta durante la conferenza stampa al Tesoro convocata per illustrare la manovra economica, in u crescendo di insofferenza e irritazione verso le parole del ministro della Funzione Pubblica, che, parlando con i vicini di posto, ha stroncato Brunetta con queste parole: “Questo è il tipico intervento suicida”. Insomma in casa Pd sono davvero (o almeno così sembra), tutti contro tutti, sicchè da un lato non hanno tempo per governare, dall’altro danno ragione a Di Pietro: se nelle prossime elezioni vincerà la sinistra sarà solo perché a perdere saranno stati loro. L’insofferenza crescente verso il Pd ed il suo capo, da parte leghista, si intravede anche dalla vicenda Calderoli-Berlusconi sull’emendato (presentato, poi ritirato, poi non si capisce bene) del lodo Mondadori. Come ricorda Reuters, il ministro leghista della Semplificazione ha seccamente smentito  Silvio Berlusconi che aveva appena detto di aver parlato con lui della norma sul Lodo Mondadori, affermando di “non avere mai né visto né letto” questa misura di cui ha appreso l’esistenza dai giornali, una settimana dopo il consiglio dei ministri.Pochi minuti prima della nota, Berlusconi, in un convegno, aveva detto di avere parlato della norma che avrebbe permesso a Fininvest, controllante Mediaset, di non pagare il risarcimento milionario alla Cir in caso di conferma di condanna da parte della corte d’Appello di Milano, con Calderoli. E che il ministro leghista gli avrebbe detto: “Perché non me ne hai parlato prima? Ti avrei aiutato e l’avrei scritta meglio”. “Quella norma non l’ho scritta io”, ha ribadito il premier, “la cosa e’ stata discussa nel Cdm e il ministro Tremonti ha ritenuto di non portarla al voto del Cdm. Era sicuro che tutti i membri del governo sarebbero stati d’accordo. Non c’e’ nessun giallo. Io e la Fininvest non abbiamo bisogno di nessuna norma per salvarci”, ha sottolineato il Cavaliere, a cui, negli ultimi tempi, non ne va bene una. A margine della presentazione di un libro appena sfornato da Domenico Scilpodi, ha di nuovo detto che contro di lui si muovono i poteri forti che cercano di delegittimarlo con palate di fango. “Avete mai sentito Merkel, Sarkozy o Zapatero investiti da richieste di dimissioni dopo elezioni amministrative?”, ha chiesto il presidente del Consiglio, denunciando il modo frontale la “tentazione della scorciatoia ed il tatticismo” delle opposizioni. Il libro di Scilipodi si intitola “il re dei peones”, reca una prefazione del premier e vuol ripercorrere la carriera politica de l’autore. La figura di Scilipoti è indicata,  nella richiamata refazione del Cavaliere come esempio di anticonformismo, un puro che “si è ribellato alla vergognosa pratica del ribaltone“, che “rompe gli schemi precostituiti della vulgata di sinistra“. Scilipoti, il re dei peones, un termine che non ha alcunché di dispregiativo, anzi, scrive il Cavaliere, è ora di sdoganare questo appellativo. Peòn è sinonimo di “infaticabile, pragmatico, lavoratore al servizio della democrazia”. E tutti coloro che si accaniscono contro il caro Scilipoti, altri non sono se non la bassa manovalanza di quella macchina del fango che “negli ultimi vent’anni ha causato un gran numero di vittime”. Professionisti della disinformazione, quelli che criticano Scilipoti, che hanno trasformato il mondo dell’informazione […] in un mostro con licenza senza limiti di insultare, calunniare e demonizzare l’avversario nonché di inventare di sana pianta fatti e dichiarazioni”. Nella presentazione del libro, oltre a gettare la responsabilità delle scelte economiche sui Tremonti e di quelle guerraiole a metà su Consiglio dei Ministri, con la solita distorsione della realtà, Berlusconi ha sentenziato: “Non consegneremo l’Italia a Bersani, Di Pietro e Vendola. Siamo legittimati a governare, siamo al governo, e ci resteremo fino alla fine della legislaturaed io ho pensato a noi poveri disgraziati, triangolarti fra l’insipienza delle opposizioni ed la vuota verbosità del premier, peones davvero, ma nel senso più autentico del termine: cioè autentici servi della gleba. Peon,al singolare,  può voler dire anche pedina nel gergo degli scacchi e noi questo davvero siamo, nella scacchiera di una politica che non si preoccupa più di alcun problema reale, in un Paese in cui un giovane su tre non lavora ed è a casa una donna su due e chi avrebbe il compito di elaborare strategie d’uscita, si preoccupa dei suoi processi, dei suoi “lodi” e dei libri dei propri, prezzolati “amichetti”.

Carlo Di Stanislao

 

 

 

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