False uscite

La strategia attuale di Berlusconi è in parte vecchia ed in parte nuova. La parte vecchia è quella di scaricare sugli altri le responsabilità di fatti che hanno indignato anche l’elettorato di destra, attribuendo a Tremonti l’onore di una finanziaria che non fa nulla se non penalizzare chi è già in difficoltà e rinviare ad […]

La strategia attuale di Berlusconi è in parte vecchia ed in parte nuova. La parte vecchia è quella di scaricare sugli altri le responsabilità di fatti che hanno indignato anche l’elettorato di destra, attribuendo a Tremonti l’onore di una finanziaria che non fa nulla se non penalizzare chi è già in difficoltà e rinviare ad altra data le scelte importanti  e al duo Tremonti-Alfano l’inserimento della norma salva-Fininvest. Per quando riguarda la parte nuova del canovaccio, dichiara che se potesse lascerebbe ora e che nel 2013 lui si riserverà la parte del “padre nobile”, lasciando ad Alfano il compito di correre per Palazzo Chigi. Nella sua lunga (e abbastanza incredibile, data la testata, intervista a Repubblica), Berlusconi dice anche di non pensare al Quirinale, ma di immaginirare Gianni Letta idoneo per quel ruolo. Ha parole amare per tutti, per Tremonti e per la Lega, il primo reo di credersi l’unico intelligente e di non fare mai gioco di squadra, la seconda che, senza di lui, rischia la fine piuttosto ingloriosa dell’UDC e del Fli quanto lo hanno abbandonato.  Aggiunge anche che, mentre nel Pdl ci sono giovani molto in gamba ed il partito è pronto ad un futuro senza di lui, nella Lega ma non hanno ancora trovato il successore di Bossi e, pertanto, anche in questo, sono molto indietro. Si sofferma, poi, sul tema del taglio delle tasse. “Sulle tasse andiamo comunque avanti. È chiaro che la situazione è difficile. Abbiamo cercato soprattutto di non mettere le mani nelle tasche degli italiani. Negli altri Paesi lo hanno fatto. Hanno tagliato i dipendenti pubblici e i loro stipendi. Detto questo, la modificheremo: correggeremo il super bollo sulle autovetture e qualcosa sulle tasse la faremo”. E Tremonti? “Lui è preoccupato dai mercati. Lo capisco. Ma gli ricordo sempre che in politica il fatturato è composto dal consenso e dai voti. A lui il consenso non interessa, a noi sì. Quindi, fermi restando i saldi, noi la manovra la cambieremo in Parlamento”. Ma davvero Berlusconi vuole lasciare o questa non è altro che l’ennesima trovata per ridare credibilità ad una immagine vacillante? Alcune settimane fa, sul Manifesto, Asor Rosa ha parlato di “momento fatale” e di “parte sana del paese”, dicendo che non esistono le condizioni per “una prova di forza dal basso” e ci vuole invece “una prova di forza che, con l’ autorevolezza e le ragioni inconfutabili che promanano dalla difesa dei capisaldi irrinunciabili del sistema repubblicano, scenda dall’ alto, instaura quello che io definirei un normale “stato d’ emergenza”, si avvale, più che di manifestanti generosi, dei Carabinieri e della Polizia di Stato, congela le Camere, sospende tutte le immunità parlamentari, restituisce alla magistratura le sue possibilità e capacità di azione, stabilisce d’ autorità nuove regole elettorali, rimuove, risolvendo per sempre il conflitto d’ interessi, le cause di affermazione e di sopravvivenza della lobby affaristico-delinquenziale, e avvalendosi anche del prevedibile, anzi prevedibilissimo appoggio europeo, restituisce l’ Italia alla sua più profonda vocazione democratica” eccetera. Secondo questa impostazione Berlusconi se ne andrà solo se cacciato, per l’intellettuale di sinistra con una rivoluzione degli apparati statali, secondo altri meno vetero-comunisti, con un accordo fra i partiti che lo ponga, finalmente,  in minoranza. Già lo scorso Marzo, come ricorderà qualcuno, Berlusconi aveva confidato di voler lasciare e Hans Juergen Schlamp, corrispondente per l’Italia per Spiegel, scrisse, nella versione “on line”, in un articolo intitolato “Berlusconi è un po’ finito”, che si trattativa del solito “teatrino italiano”. Certamente, a 74 anni, con mille problemi privati da risolvere, Berlusconi è stanco del suo ruolo politico e, forse, a volte,  sogna un ritiro a vita privata per altro suntuosissima e piena di svaghi. Certo la sua brillantezza si è sbiadita, all’estero non si fa altro che ridere di lui, gli acciacchi aumentano, la stanchezza lo coglie sempre più spesso, di tanto in tanto si addormenta in pubblico ed è stanco di correre nelle aule di tribunale e sedare rise sempre più difficili in casa sua e fra gli alleati. Ma lui non è la Zanicchi che davvero lascerà la politica per tornare al bel canto, anche perché, se davvero lasciasse, lascerebbe per intero tutto il suo potere. Marcello Veneziani, che a volte ha lampi d’intelligenza non prezzolata, sul Giornale ha scritto che il Pdl è una monarchia, di cui ha pregi e difetti , pertanto, tutto precipita senza il monarca. Sempre Veneziani ci ricorda che a politica ha solo due modelli. Uno è il vecchio Partito, monolite con il Pci e multi-lite con la Dc, per via delle correnti, dove conta la struttura, l’apparato. L’altro modello è il partito del leader, come quelli prima citati. Una via di mezzo o di transizione fra i due modelli furono il Msi di Almirante e il Psi di Craxi, dove sussisteva un partito con più correnti ma c’era un leader indiscusso. Certamente il modello Pdl cerca ora di aprirsi a quest’ultimo modello, ma, anche in questo caso, funziona solo se resta in campo e attivo Berlusconi. Come ha scritto, tempo fa, Miguel Morra, corrispondente di El Pais, sul Fatto Quotidiano, la sinistra deve trovare presto un’alternativa,  perché lui camperà davvero 120 anni e, sino alla fine, resterà ben attaccato al potere.

Carlo Di Stanislao

 

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