Neutrini tachionici più veloci della luce al Laboratorio Nazionale del Gran Sasso Premio Nobel europeo e italiano

“Se scopriremo una Teoria completa dell’Universo, decreteremo il trionfo definitivo della ragione umana, giacchè allora conosceremmo la mente di Dio”(Stephen Hawking). Il 30 settembre 2011 lo storico acceleratore di particelle Tevatron del Fermilab di Chicago (Dipartimento Usa per l’Energia) è stato spento nel corso di una solenne cerimonia ufficiale alla presenta del Direttore professor Pier […]

“Se scopriremo una Teoria completa dell’Universo, decreteremo il trionfo definitivo della ragione umana, giacchè allora conosceremmo la mente di Dio”(Stephen Hawking). Il 30 settembre 2011 lo storico acceleratore di particelle Tevatron del Fermilab di Chicago (Dipartimento Usa per l’Energia) è stato spento nel corso di una solenne cerimonia ufficiale alla presenta del Direttore professor Pier Oddone. Il grande collisore di protoni-antiprotoni dal 1983 e la più grande fabbrica di Antimateria al mondo (dal 1988 si è evoluta a tal punto da passare da una produzione di 10 alla decima potenza di antiprotoni l’ora agli attuali 30×10 alla decima potenza di antiprotoni l’ora) cedono le insegne del comando al loro grande degno successore, l’acceleratore LHC del Cern di Ginevra. L’intero dispositivo del Fermilab nel 2013 sarà riconfigurato per ospitare esperimenti con i muoni e per verificare l’esistenza dei neutrini tachionici scoperti al Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn (esperimento Cern Neutrinos To Gran Sasso-Opera). I dati saranno disponibili nel 2016 e con Minos non prima del 2013. Agli scienziati del Tevatron dobbiamo le più importanti scoperte fondamentali della fisica subnucleare, come l’esistenza del Top Quark e dei cinque barioni che, nel pieno rispetto della Relatività di Einstein, hanno aiutato la Scienza a dimostrare l’esistenza, nell’ambito del Modello Standard, di una selva di particelle elementari che compongono la struttura intima della materia, dell’energia, dello spazio e del tempo. Alla luce dei neutrini tachionici del Gran Sasso, la famosa equazione di Einstein, E=mc², deve essere riscritta? Siamo appena entrati nella nuova era della Cosmologia, sulle note dell’Allegretto (settima sinfonia di Beethoven). La deviazione dei neutrini superluminari dalla struttura dello spazio-tempo di Albert Einstein, se confermata, merita certamente il Premio Nobel per la Fisica. Tutto europeo e italiano. I tachioni, evidentemente, esistono. Altri lavori in passato avevano speculato scenari tachionici esotici, suggestivi e fantascientifici. Ora la Natura, che riserva sempre incredibili sorprese, consente l’esistenza di materia tachionica in continua accelerazione nel nostro Universo? I neutrini tachionici del Cern sono latori di informazioni? I campi di analisi si fanno di ora in ora sempre più interessanti. I regimi energetici da esplorare sono virtualmente infiniti. Le 43 dimensioni teorizzate dal professor Antonino Zichichi nel Supermondo con la Supermateria, potrebbero descrivere scenari naturali sempre più concreti. Il grande fisico Stephen Hawking afferma che “il mondo in cui viviamo ci disorienta con la sua complessità”. Eppure l’equazione definitiva sarà molto più semplice di quanto si creda. Perché con questa, se esiste, riusciremmo a rispondere alle domande più importanti dell’umanità: qual è la natura dell’Universo? Qual è il nostro posto in esso? Da che cosa ha avuto origine l’Universo e da dove veniamo noi? Perché l’Universo è così come lo vediamo? Se questi neutrini superano la velocità della luce, non necessariamente dobbiamo rinunciare al fascino della Relatività di Einstein, alla struttura tipo-tempo e tipo-spazio del protone, alla massa di moto nelle reazioni nucleari. L’importante è che questi nuovi neutrini, conformemente agli studi del più grande fisico di tutti i tempi, Ettore Maiorana, sulla loro doppia natura (materia-antimateria) e massa “immaginaria”, non siano latori di informazioni. Altrimenti sono guai seri. Il grande fisico Enrico Fermi amava dire che con i presuntuosi non bisogna mostrarsi modesti. Parole scolpite del cuore del protone se negli ultimi decenni hanno spronato gli scienziati nel difficile cammino della conoscenza (non delle profezie) contribuendo al risveglio della cultura e dei valori della nostra civiltà occidentale. Che sono in comunione con la Scienza e la Fede in Dio per la dignità della persona. Se Einstein ha ragione, nessuna particella dotata di massa e di informazione può superare la velocità della luce, ma ci deve essere una struttura tipo-spazio e tipo-tempo del protone. Una struttura reale, non immaginaria, non allucinatoria, che supera qualsiasi anomalia sperimentale di qualsivoglia dominio immaginifico. Le numerose frontiere cui porta la Relatività non sono state ancora tutte esplorate. Se immaginiamo due particelle o pietre apparentemente identiche (stesso colore e stessa forma) forse ci stupiremmo nel pensare che, messe lì in mezzo a un tunnel (fisico, particellare o virtuale), in realtà, potrebbero essere qualsiasi cosa! Una potrebbe essere fatta con molti strati di materiale terrestre vario. L’altra potrebbe essere talmente esotica da contenere l’intero Universo! Magari pronta ad espandersi istantaneamente a una velocità di gran lunga superiore a quella della luce, per raggiungere dopo 14 miliardi dei nostri anni le attuali dimensioni note dell’Universo. Studiare la durezza degli strati di una particella è una cosa. Studiare le sue potenzialità “creatrici” ne è un’altra. I fisici nucleari lavorano con le particelle elementari reali per studiarne la struttura: molte sono visibili e fotografabili, altre sono invisibili ma esistono egualmente. Le tracce lasciate dai neutrini sugli esperimenti del Gran Sasso si possono fotografare. La matematica è decisiva per evitare cantonate colossali. Il protone, ad esempio, è la particella più longeva dell’Universo. Ha un raggio inferiore a un “fermi”, un decimo di millesimo di miliardesimo di centimetro e pesa due milionesimi di miliardesimo di miliardesimo di grammo. È capace di tutto il protone. Evidentemente anche di “rivelare” tachioni. I fisici lo osservano da decenni e più lo studiano, più capiscono di aver compreso nulla. Perché il protone non è una particella elementare. Non è fatto di soli quark. Robert Hofstadter, il primo scienziato a chiedersi perché mai il protone dovesse essere privo di struttura, scoprì che quella infinitesimale entità di spazio e di massa, è dotata di grande complessità. I suoi colleghi fisici pensavano che il protone fosse semplicemente un punto. Una particella elementare, fatta solo e soltanto di se stessa. Gli scienziati hanno dimostrato matematicamente e sperimentalmente che il protone ha almeno due strutture: una di tipo-tempo e l’altra di tipo-spazio. Questa è solo una delle conseguenze della Relatività di Einstein. Un giorno Blackett affermò che “Einstein avrebbe fatto meglio a chiamare Teoria dell’assoluto la sua Teoria della relatività; è naturale perché ciò che Einstein ha scoperto nasce dall’esistenza di una velocità assoluta, quella della luce”, circa 300.000 chilometri al secondo nel vuoto cosmico. Una velocità che nel nostro Universo non è mai relativa a qualcosa. Una velocità permessa soltanto alla luce. Almeno fino a pochi giorni fa. Già alla fine dell’Ottocento molti pensavano che l’esistenza di una velocità assoluta avrebbe fatto crollare la Relatività del moto scoperta da Galileo Galilei. Si capisce benissimo la portata delle cose che stiamo dicendo. Sembra incredibile che la formulazione del Principio di relatività, formulato da Galilei (per favore scrivetelo così anche all’estero! Non Galileo, ma Galilei! Perché scriviamo Newton, non Isacco) quattrocento anni fa, sia valido ancora oggi a velocità terrestri. Perché la trasformazione matematica di quel Principio sfuma totalmente quando le velocità in gioco (di una particella, di un’astronauta, di un ultra-extraterrestre) sono prossime a quelle della luce. È stato dimostrato che altrimenti le correzioni ai risultati ottenibili usando la formula di Galilei sono totalmente trascurabili: milionesimi di millimetro l’ora nella composizione di velocità a noi familiari. “Technological progress comes from doing things differently in an unpredictable way. Such progress has proven itself to be both speedy and inceasing”, afferma il fisico nucleare Stanton T. Friedman nel libro “Ufo & Aliens”(New Page-Career Press, 2011): le più grandi scoperte scientifiche e tecnologiche giungono dal totalmente inatteso perché il futuro non è mai un’approssimazione del passato. La Relatività di Galilei pur sconvolgendo il modo di pensare tipico del suo tempo, non fu sufficiente per andare sulla Luna. Einstein, 300 anni dopo Galilei, partendo dal fatto che esiste una velocità assoluta, scoprì il modo corretto di comporre le velocità. Tutta la realtà in cui viviamo è, infatti, di tipo-spazio e di tipo-tempo. Siamo, cioè, immersi nello Spazio-Tempo, omonima scultura donata dall’artista spaziale Italo Rodomonti alla Provincia di Teramo nell’estate 2011. “La donazione dell’opera Space-Time – afferma Italo Rodomonti – rappresenta un indiscutibile motivo di orgoglio a suggello dell’attività artistica e culturale svolta dal sottoscritto in Italia e nel mondo, da sempre impegnato nei temi scientifici della rappresentazione dello Spazio Cosmico e del suo Infinito quale socio della International Association for Astronomical Artists. Le mie opere sono famose in tutto il mondo. Oggi, in questa gradita occasione, vorremmo porre, come normale consuetudine negli USA, le basi per un Progetto culturale straordinario nella nostra amata Provincia di Teramo, cercando di divulgare ai giovani studenti l’amore per l’Arte e per l’Astronomia, regina di tutte le scienze, con la collaborazione e la grande dedizione che anima lo spirito di sacrificio dei ricercatori e degli scienziati Inaf di Collurania e del Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn”. Il legame tra spazio e tempo nasce, infatti, dalla velocità assoluta della luce. Dall’esistenza, cioè, di una costante fondamentale della Natura, almeno nel campo della velocità. Ma come? Qualcuno potrebbe obiettare che l’esistenza di una velocità assoluta (luminare) sembra contraddire il principio galileiano della relatività delle velocità. Tuttavia Galilei diceva un’altra cosa perché non formulò il suo Principio di relatività in questi termini. Disse Galilei:“Non sarà mai possibile mettere in evidenza un effetto fisico che dipenda dalla velocità, se questa è costante”. Oggi, nel dopo Einstein, qualcuno dice che è così? Onori e oneri. Einstein fu il più grande galileiano del suo tempo perché riuscì a provare che la velocità assoluta della luce non era in contraddizione con il principio della Relatività di Galilei. Non solo. Einstein studiò ciò che produceva la velocità assoluta della luce. Una scoperta dalle profonde implicazioni fisiche e culturali, perché da questo punto in poi della storia dell’Umanità rimane il fatto che il Tutto nasce dall’esistenza di una velocità che non cambia mai in qualsiasi punto dell’Universo. Se oggi siamo così bravi nel fare di meglio, dovremo essere altrettanto consapevoli nell’accettarne le conseguenze. L’implicazione più incredibile e vera della Relatività di Einstein, forse non del tutto compresa, è che questa velocità assoluta fa crollare il concetto di tempo assoluto. Quindi il tempo diventa “relativo” come lo spazio. Intorno a noi e dentro di noi. Perché siamo immersi in una struttura “plasmata” dalla massa-energia e disegnata dalla velocità assoluta della luce. Se questo è ancora oggi vero, il tempo si fonde con lo spazio in un’unica realtà quadridimensionale. Questa è l’eredità di Einstein: spazio e tempo insieme sono le colonne dell’Universo. Ossia di tutte le quantità fisiche, anche di quelle non costanti. Poiché spazio e tempo sono intimamente fuse in un’unica realtà a quattro dimensioni, tutte le quantità fisiche debbono condividere lo stesso destino. Per secoli sulla Terra molti erano convinti che energia e quantità di moto fossero cose totalmente indipendenti come il tempo e lo spazio. Il pensiero dominante era davvero lontano dalla verità. Grazie al lavoro straordinario di Einstein, il balzo in avanti dell’Umanità è stato semplicemente incredibile. Non possiamo ancora viaggiare a velocità prossime a quelle della luce, per verificare di persona le scoperte di Einstein. Sappiamo che è possibile farlo, teoricamente, senza finire in mille pezzi. A un solo “G” di accelerazione costante, sostenibile da chiunque per mesi ed anni, fino a sfiorare la barriera della luce. Il fatto è che non solo non l’abbiamo ancora fatto ma non ci abbiamo neppure provato. Perché? Esiste una struttura quadridimensionale cui i fisici hanno dato il nome di “quadri-impulso”. Una componente di questa entità è l’energia. Le altre tre componenti, sono la quantità di moto. Fino al 1905 nessuno ci aveva capito niente, nonostante fossero trascorsi tre secoli di Galilei e due secoli da Newton, perché nessuno aveva scoperto questa nuova verità. Fu Galilei a scoprire le tre componenti della quantità di moto: altezza, lunghezza e larghezza. Non una sola ma tre. Solo l’energia ne ha una sola perché è una quantità “scalare”. Con un solo numero, cioè, sappiamo tutto sull’energia. Per cuocere gli spaghetti sui fornelli a induzione di casa, poggiamo la pentola d’acqua somministrando la giusta quantità di energia per raggiungere l’ebollizione. Non abbiamo bisogno di conoscere altro. La grande scoperta di Einstein, sul legame intimo tra spazio e tempo, ci dice che l’energia e la quantità di moto sono anch’esse strettamente connesse nello spazio-tempo. I fisici “leggono” l’energia come la quarta dimensione del quadri-impulso. Le altre tre dimensioni sono quelle della quantità di moto. Questo vale per tutte le quantità fisiche, anche per la struttura del protone. Le implicazioni sono notevoli perché nel cuore del protone possono essere messe in evidenza cose talmente incredibili da superare la più fervida immaginazione del più eccentrico autore di fantascienza. Il protone è una delle tante frontiere della Relatività di Einstein. Uno scienziato che ha provato quel che diceva, formulando una delle equazioni più rigorose, eleganti e familiari di tutti i tempi. La struttura tipo-spazio del protone fu studiata la prima volta negli anni Cinquanta del XX Secolo da Robert Hofstadter. I segreti del protone sono molteplici. Dieci anni dopo, questa incredibile particella dalla quale sarebbero poi scaturiti i neutrini tachionici del Cern rivelati per la prima volta al mondo dal Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn, svelò dopo difficili esperimenti la sua struttura tipo-tempo. All’epoca il Cern di Ginevra era guidato dal fisico Victor F. Weisskopf quando Antonino Zichichi presentò il progetto per lo studio della struttura tipo-tempo del protone. Un esperimento molto difficile tant’è che furono in molti a ritenerlo semplicemente impossibile. Per realizzarlo era necessaria tanta Antimateria, cioè una grande quantità di antiprotoni. Centomila al secondo. Era poi necessaria una nuova tecnica in grado di catturare e identificare un singolo leptone (elettrone o muone), nel mare magnum di pioni (mesoni pi-greco), e un singolo antileptone. Bisognava, cioè, identificare e distinguere la materia dall’antimateria. L’esperimento riuscì. I risultati ottenuti mostravano che il protone doveva avere una struttura tipo-tempo. Altra implicazione della Relatività di Einstein. Senza la sua struttura temporale, se cioè il protone fosse stato una particella puntiforme, i fisici avrebbero dovuto osservare un effetto centinaia di volte superiore a quello misurato. La struttura tipo-tempo del protone ha ancora molto da rivelare e continua a mietere successi dopo 45 anni da quei primi studi. E se le persone sono davvero interessate a queste meravigliose questioni del sapere scientifico elaborato da menti così brillanti del Cern e del Fermilab da rivaleggiare con i geni della Storia, allora abbiamo ragione di credere che c’è una speranza in più per la nostra Umanità. Per i nostri giovani assetati di verità. Era la speranza di Ipazia. È la nostra speranza. Le persone amano la verità della Scienza e della Fede al servizio della persona. Il nostro tempo ha bisogno di menti e di cuori in grado di elaborare una cultura e una politica all’altezza del nostro potenziale scientifico e tecnologico. L’Abruzzo oggi è sull’Everest di una Scienza mondiale che può e deve tradursi in ricchezza distribuita a tutti. Non bastano le buone intenzioni. Altrimenti tutto è perduto. La nostra libertà e con essa il nostro futuro. “La crisi del nostro tempo – ammoniva Karol Wojtyla, il Santo Padre Giovanni Paolo II, il protettore degli scienziati – non è di bombe, ma di cultura. È la cultura dell’odio che produce le bombe. Non la Scienza”. Le grandi verità scientifiche sull’Universo incominciano a far parte del patrimonio culturale di tutti grazie alle Università. Ma anche grazie all’Internet buono. Questa grande impresa culturale, a mio avviso, va incoraggiata e diffusa capillarmente con serietà, competenza, entusiasmo, integrità, insieme agli scienziati di buona volontà. La cultura filosofica deve recuperare oltre un secolo di conoscenze fisiche, irraggiando i suoi frutti nella vita di tutti i giorni dei sette miliardi di esseri umani oggi sulla Terra. Un compito altissimo. Nel patrimonio culturale e scientifico mondiale non si entra in pochi. Non basta la pagina scientifica, il redattore e lo speciale, magari sull’onda iperluminare del sensazionalismo. Ciò che contano sono le conferme e le iniziative scientifiche e tecnologiche (dunque, economiche) conseguenti ai risultati sperimentali e teorici. Servono i brevetti e servono le invenzioni. Oggi, in Italia è ancora tanto facile far credere che Scienza e Tecnica siano la stessa cosa. La filosofia (maestra del linguaggio) ci aiuti a fare chiarezza. Il Magistero della Chiesa Cattolica lo ha già fatto grazie a Giovanni Paolo II. Quanti, oggi, in Italia e nel mondo sono in grado di distinguere, nel flusso mediatico in cui siamo immersi, tra menzogne e verità scientifiche? Grazie a Dio alcuni scienziati si sono decisi a scendere dalle torri d’avorio molto tempo prima che in Italia diminuissero i finanziamenti statali. Molto tempo prima che l’impresa scientifica e tecnologica finisse fagocitata da interessi tutt’altro che galileiani. Il Laboratorio del Gran Sasso (che oggi tutti celebrano, anche quelli che negli ultimi dieci anni ne hanno auspicato la chiusura e che oggi non sono in grado di distinguere il significato delle parole: fascio-tunnel di neutrini!) sarebbe stato inconcepibile senza la libertà, impossibile se fossero prevalse le idee di quanti ritenevano che la Scienza non faceva Cultura e quindi Prodotto Interno Lordo. Quando si discuteva dell’impatto minimo che la Scienza aveva sulla cultura del nostro tempo, scienziati come Antonino Zichichi, al quale alcuni colleghi dicevano che predicasse nel deserto, e il Premio Nobel Carlo Rubbia si opponevano strenuamente a quel pensiero. “Provate a scendere e vedrete”, dicevano loro. Grazie a Dio lo hanno fatto, accogliendo la lezione di Fermi. Al Cern esiste la più grande macchina acceleratrice che porta il protone a una velocità tale da battere qualsiasi record nel raggio di decine di anni luce dalla Terra. Chi diceva che era impossibile è stato smentito dai fatti. Il discorso si può ripetere per qualsiasi altra particella dell’universo subnucleare, finora senza alcun pericolo per Einstein. Il quale fu il primo a scoprire a cosa corrisponde la massa di moto. Un oggetto fisico che si muove, acquista massa di moto. Semplice. Grazie alla scoperta dell’effetto leading gli scienziati hanno reso possibile l’impossibile: ricondurre alle stesse origini tutti i processi in cui si producono nuove particelle. Non anomalie, ma particelle vere. La logica, sempre pronta al totalmente inatteso, non può tradire se stessa. Se un’astronave viaggia ad altissima velocità acquista una grande massa di moto nel nostro Universo. Ciò vale per qualsiasi oggetto di qualsiasi forma. La massa acquisita grazie al moto di cosa è fatta? La massa di moto acquisita da un’astronave e dal suo equipaggio cos’hanno in comune a velocità prossime a quella della luce? I risultati ottenuti al Fermilab, al Cern e in tutti gli altri laboratori del mondo sembrano indicare che la massa di moto acquisita da un sasso è completamente diversa dalla massa di moto acquisita da una particella. Tutte le ricerche e tutti gli studi fatti sulle interazioni di particelle diverse indicavano risultati differenti. Una diversità cruciale fondata sul fatto che nello studio di queste reazioni nucleari e subnucleari non era mai stato preso in esame l’effetto leading. Che dovrebbe avere validità universale perché, qualunque sia la particella coinvolta, in tutte le reazioni è necessario tenerne conto in modo dettagliato. Questa massa di moto i fisici la possono immaginare come fatta di tante cose. Nell’immaginaria astronave, piccola o grande che sia, c’è posto per tutti. Lanciata verso la velocità della luce, cosa accade? Non lo sappiamo ancora. C’è chi ipotizza la creazione di ponti inter-dimensionali tra universi-isola (Einstein-Rosen) per non finire in pezzi. C’è chi postula la nascita di un altro universo in grado di accoglierla. E chi la nascita di un sacco di altre cose mai immaginate prima ma tutte egualmente possibili nei 10 alla 500ma potenza di universi teorizzati da Hawking. Detta così, c’è posto anche per i neutrini tachionici. Se Lhc lancia protoni ed antiprotoni, il discorso è immediato:“la massa di moto riproduce tutta la realtà di questo mondo”. Cioè “è identica sia se associata a un protone sia se associata a un pione o a un elettrone”(Zichichi). Quindi anche alle massime di energie finora disponibili al Cern (alcuni tera-elettronvolt). Anche le implicazioni sulla massa di moto che determina il numero di particelle prodotte in una interazione.   E che Opera! Sessanta nanosecondi separano gli scienziati Infn dalla Rivoluzione scientifica del XXI Secolo. Sessanta nanosecondi dalla gloria del Cern di Ginevra e del Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn fondato nel 1979 dal professor Antonino Zichichi. Confesso di essermi rifugiato nel mio bunker anti-atomico, staccando tv, computer, radio e I-pod, appresa dalla Reuters Science (giovedì 22 settembre 2011, fonte: arxiv.org) la notizia esplosiva, annunciata dal Cern Ginevra, del presunto superamento della velocità della luce da parte del flusso dei neutrini artificiali sparati sull’esperimento Opera sotto il Gran Sasso. Le informazioni avevano raggiunto frequenze talmente parossistiche, al di là di ogni immaginazione su Internet, da impedire qualsiasi riflessione e lettura obiettiva dell’evento. Che richiederà decenni di verifiche sperimentali e di elaborazioni matematiche. Lo sapevamo. Dal Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn, prima o poi, sarebbe nata la nuova Fisica del Neutrino. Ma, francamente, tutto potevamo immaginare fuorché la fine (da molti preconizzata e già data per certa) della velocità assoluta della luce, una delle colonne portanti della Relatività, del Big Bang, del Modello Standard, delle stringe cosmiche ancestrali, della materia e dell’energia oscure, di ciò che osserviamo con i telescopi spaziali, di ciò che osserveremo e di chi più ne ha più ne metta. La cultura sarà in grado assorbire il colpo? A proposito, che cosa è stata infranta davvero? La barriera della luce o la nostra stessa percezione della struttura dell’Universo e quindi dello spazio-tempo in cui viviamo? I risultati di Opera non convincono la comunità scientifica internazionale. Non tutti hanno firmato al Cern. È normale, non è un giallo. Le oltre 15mila osservazioni-evento misurate al Gran Sasso avrebbero dovuto affrontare le “forche caudine” dei canali ufficiali, secondo i canoni normali della Scienza e non secondo le esigenze dei media internazionali. La conferenza stampa al Cern, poi, non ha convinto più di tanto. Dire che i neutrini viaggiano alla velocità di venti parti per milione superiore a quella della luce, insomma che arrivano prima dei fotoni, è certamente elettrizzante perché, oltre a far pensare ai motori di curvatura di Star Trek, giunge dal famoso “totalmente inatteso”. Il proverbiale “vaso di Pandora” da cui possono scaturire inaspettatamente, nel bene e nel male, le più incredibili scoperte dell’umanità. Ma, date le conseguenze che personalmente reputo assolutamente rilevanti sotto il profilo scientifico e filosofico, i nostri scienziati del Progetto CNGS avrebbero dovuto seguire i normali protocolli scientifici ufficiali per la conferma preventiva (non a posteriori) della presunta scoperta. Mi rendo perfettamente conto delle dinamiche psico-sociali nella quali siamo immersi e delle richieste (pressioni dei media, dei politici?) a volte impossibili, a un mondo delle Scienza che forse, alcuni pensano, è in grado di risolvere la crisi economico-finanziaria mondiale. Senza parlare della fortissima concorrenza scientifica internazionale. Ma ormai bisogna lavorare tutti insieme per il progresso dell’umanità nella ricerca della verità, procedendo di verifica in verifica, da un esperimento all’altro, senza accelerazioni dagli incerti “effetti” probabilmente assai poco rassicuranti come la notizia trasmessa all’universo mondo. Non abbiamo ancora una matematica talmente evoluta da capire l’entità del fenomeno effettivamente osservato. La decisione del team Opera di by-passare i canali della pubblicazione scientifica stupisce e meraviglia quanto la scoperta stessa (arxiv.org). Alla sorpresa si aggiunge ora il dubbio di quanti credono sia stata venduta la pelle dell’orso prima del tempo. È vero. Gli scienziati parlano di “anomalia” nei dati di Opera, di “risultati apparentemente incredibili”. Però poi tengono a precisare che gli errori di misura sono marginali. È buona prassi scientifica, quale atto di suprema umiltà intellettuale, al di sopra di ogni ragionevole dubbio, spiegare alle persone che le famose misure indipendenti non sono immediatamente e facilmente realizzabili. Perché si dovrà riprodurre alla lettera l’esperimento CNGS con i suoi 730 Km di tunnel neutrinico, la sua montagna stile Gran Sasso con il suo laboratorio, il cannone protonico del Cern alla giusta energia, di 10 alla 17ma potenza di gigaelettronvolt. Dove e come? Pena il fallimento a favore di una spiegazione più mondana del fenomeno effettivamente osservato: neutrini tachionici. Una scoperta da Premio Nobel. Insomma oggi l’esperimento “Cern Neutrino to Gran Sasso” è più simile a se stesso che all’immagine sfocata di un’approssimazione statistica e sistematica. Ricordiamo che il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso è unico al mondo. Il team Opera ha certamente invitato la comunità scientifica internazionale ad effettuare tutte verifiche del caso, a cominciare dalle misure di alta precisione della distanza tra il Laboratorio del Gran Sasso e il cannone ginevrino che ha sparato i neutrini muonici dal Cern e del preciso istante di partenza del flusso di particelle subnucleari. Sembra facile ma non lo è affatto. Perché la reale posizione di Opera è frutto di una delicatissima triangolazione Gps. Qui l’errore dev’essere necessariamente infinitesimale altrimenti la corretta valutazione del tempo di volo-record dei neutrini, seppur tarato sulle misure effettuate da sofisticati orologi atomici svizzeri, “salta” totalmente. Ora, la distanza tra il cannone neutrinico e Opera, è stata misurata con un errore spaziale di 20 centimetri sui 730 Km di percorso particellare e con un errore temporale di soli 10 nanosecondi. Sebbene nessuno metta in discussione le misure estremamente precise di Opera, il “castello” si regge sulla sottile gamba dell’errore spazio-temporale. È sull’errore sistematico che ci si gioca la scoperta in grado di sconvolgere tutta la nostra vision della realtà. Anche qui vale l’insegnamento degli antichi saggi, indipendentemente dalla propria fede religiosa. Può l’Uomo oggi comprendere la portata reale di una tale scoperta? Dove ci condurrà? La Scienza al servizio dell’Uomo, è l’unica via praticabile come insegna il Santo Padre Giovanni Paolo II. Non vediamo alternative. Pena il ritorno agli spettri delle torri d’avorio e della caccia alle streghe del passato. Queste conoscenze, una volta verificate come effettivamente vere, vanno condivise con tutti, senza segreti. Il grande successo di Opera (2010) sull’oscillazione del neutrino è sotto gli occhi di tutti. Le reazioni del mondo scientifico non si sono fatte aspettare perché il 22 settembre 2011 è una data storica non soltanto per la Fisica. Sul Guardian, Subir Sakar, docente di fisica delle particelle all’Università di Oxford, ammette che questi dati scombinano la relazione di causalità:“L’assunto che la causa non possa arrivare dopo l’effetto è assolutamente fondamentale per la nostra concezione dell’Universo: se salta siamo veramente nei guai”. I risultati dell’esperimento Opera non sembrano essere coerenti neppure con quello che si sapeva dei neutrini. Che, come sappiamo, oscillano perchè sono dotati di una piccolissima massa a differenza dei fotoni privi di massa. Opera oggi ci dice che i neutrini possono precedere la luce. Non quella generata dalla famosa esplosione della supernova 1987A. All’epoca quei neutrini raggiunsero i rilevatori sulla Terra solo tre ore prima che fosse possibile osservare i fotoni dell’evento prodotti dal lampo stellare decine di migliaia di anni fa. Si sa che i neutrini non interagiscono facilmente con la materia, anzi superano indisturbati i detriti e le polveri interstellari. Ci attraversano indisturbati da tutte le direzioni. Quelli emessi dal nucleo della stella morente, anche ore prima dell’evento di supernova 1987A, avrebbero dovuto raggiungere il nostro pianeta con largo anticipo sui fotoni. Così non è stato. Ben Still, ricercatore in fisica delle particelle all’esperimento T2K in Giappone, ha calcolato che, data la grande distanza tra la Terra e la supernova 1987A, se effettivamente i neutrini prodotti dall’esplosione avessero viaggiato alla velocità registrata dall’esperimento del Cern, avrebbero dovuto precedere i fotoni corrispondenti di 4,14 anni e non semplicemente di qualche ora. Qualcuno potrebbe obiettare che stiamo parlando di neutrini prodotti artificialmente dall’uomo al Cern di Ginevra in regimi energetici totalmente differenti: i neutrini della supernova 1987A erano molto più deboli, dotati di energie dell’ordine dei 10 megaelettronvolt; i neutrini creati al Cern raggiungono i 10 alla 17ma potenza di gigaelettronvolt. Non si tratta, quindi, di semplici neutrini naturali stellari. Nella fisica quantistica però non si scherza. L’osservatore modifica l’evento osservato e i tachioni si comportano in modo molto strano. Possono, infatti, accelerare a più basse energie. Le inesattezze nelle rilevazioni italiane potrebbero, quindi, essere di tre tipi: nella misura del tempo di volo dei neutrini; della distanza tra i due laboratori e nella determinazione del momento esatto in cui il flusso delle particelle-madri e dei neutrini superstiti, è stato creato. Il tempo di volo dei neutrini è il fattore misurato con più sicurezza dagli orologi atomici usati dagli scienziati, che possono misurare il tempo con un errore di un secondo su 30 milioni di anni. Per sicurezza il team CNGS si è avvalso della collaborazione di due diverse équipe di metrologi, uno tedesco ed uno svizzero. C’è poi la misura della distanza. Questa potrebbe creare grossi problemi al team CNGS. Il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn si trova 1.400 metri sotto il Monte Aquila, tra le province di Teramo e L’Aquila in Abruzzo. La sua posizione può essere calcolata solo in via indiretta, tramite una triangolazione di segnali Gps. Ora, secondo i ricercatori la distanza percorsa dai neutrini da Ginevra all’Appennino potrebbe allontanarsi da quella stimata (730.534,61 metri) di al massimo 20 centimetri. “Il momento esatto della creazione del fascio di neutrini è invece forse la cosa più difficile da misurare – ha detto Rob Plunkett del Fermilab di Batavia sul New Scientist – perché non ci sono rilevatori di neutrini in uscita nei laboratori del Cern di Ginevra. L’unico modo di calcolare questo istante è quello di estrapolarlo dai dati relativi ai fasci di protoni che producono i neutrini in Svizzera e dalla distribuzione dei dati raccolti al loro arrivo al Gran Sasso”. Il fisico Jon Butterworth, docente all’University College of London in un articolo sul Guardian ammette “di aver pensato, alla lettura della notizia, che l’esperimento dovesse contenere un errore”. Ma aggiunge che “sarebbe ingiusto fare con leggerezza dichiarazioni così dure sul lavoro di anni di un nutrito team di professionisti, senza perlomeno leggere attentamente lo studio e aspettare ulteriori conferme o smentite da altri gruppi di ricerca”. Altri scienziati hanno rilasciato dichiarazioni sicuramente più pessimistiche. “L’esperimento potrebbe essere corretto e il risultato possibile, ma diciamo che è più probabile che ci sia qualche errore che è sfuggito ai ricercatori” – ha detto Jim Al-Khalili, docente alla University of Surrey sul Guardian. “Ma per farvi capire come la penso su tutta questa storia – ha aggiunto lo scienziato – la metterò così: se dovesse venir fuori che i dati del Cern sono corretti e che effettivamente i neutrini possono superare la velocità della luce, giuro di mangiare i miei boxer in diretta tv”. Il pilastro della Relatività di Einstein è forse in pericolo? C’è una possibilità su 506.707.346 che i dati di Opera siano sbagliati. Insomma, 60 nanosecondi ci separano alla Rivoluzione scientifica del XXI Secolo. I neutrini, infatti, tanto hanno impiegato per raggiungere l’esperimento Opera sotto il Gran Sasso, battendo i fotoni con un alto livello di affidabilità statistica, dichiarata dal team CNGSs in 6-sigma. Il livello che indica la quasi totale certezza del risultato. Più è alto il numero sigma, più vicini siamo alla verità. Già con un livello 5-sigma, equivalente a una possibilità su 1.744.278 che il risultato dell’esperimento sia sbagliato, raggiunto altre volte al Gran Sasso, si può annunciare una scoperta scientifica. Ora il livello 6-sigma è una possibilità ancora più convincente, più elevata, pari appunto a una negativa su 506.797.346 positive che si possa stappare lo Champagne. Chi vorrà farlo davvero? La prudenza è d’obbligo prima di mettere definitivamente in soffitta Albert Einstein che ha ancora molte carte da giocare con la sua Relatività (per i viaggi interstellari luminari). D’altra parte risultati così eccezionali richiedono prove altrettanto eccezionali e l’evidenza del fantastico richiede verifiche altrettanto fantastiche, parafrasando Carl Sagan. Attenzione però. Non è possibile violare il principio di indeterminazione di Heinsenberg. Nella meccanica quantistica impone che certe coppie di quantità come la posizione e la velocità di una particella, non possono essere predette entrambe con una precisione assoluta. Immaginaria, forse. I fisici hanno scoperto che quando si combinano la meccanica dei quanti (unità discrete di elementi infinitesimali di materia) con la Relatività generale, c’è la nuova possibilità, assolutamente seria, anch’essa venuta fuori dal totalmente inatteso, che spazio e tempo assieme possano creare uno spazio-tempo finito quadridimensionale, senza singolarità e senza confini. Un po’ come viaggiare sulla Terra, da un continente all’altro, senza timore di cadere nel nulla. Quindi Einstein non vola in soffitta! Anzi. I satelliti Cobe, Wmap e Planck negli ultimi 20 anni hanno collezionato stupende foto dell’Universo antico, osservando il fondo di microonde prodotte quando il Creato diventò trasparente alla luce, circa 300mila anni dopo il Big Bang. Un’informazione decisiva. Perché l’Universo appare uniforme a grande scala con piccole disomogeneità a piccola scala! Che significa? La freccia del Tempo non cambia. Un giorno Einstein disse:“Per me le equazioni sono più importanti, perché la politica è per il presente, ma un’equazione è per l’eternità”. La scoperta dei neutrini tachionici artificiali sparati dal Cern sull’esperimento Opera, ha il potenziale di eternità cui alludeva Einstein? Se abbiamo creato neutrini tachionici messaggeri, cioè latori di un’informazione che viaggia più veloce della luce, allora siamo in guai seri. Perché oltre a far crollare la Relatività, crollerebbe tutto il resto. La Relatività di Einstein al massimo permette l’esistenza di particelle immaginarie nell’Altrove inconoscibile della struttura quadridimensionale dello spazio-tempo disegnata dalla gravità. Che possiamo anche raffigurare come un insieme di coni di luce del passato e del futuro i cui vertici sono focalizzati sul presente di ciascuno di noi, in virtù del fatto che non possiamo lanciare o ricevere messaggi a velocità superiori a quella della luce. Un Universo che comunica con i neutrini tachionici messaggeri, è totalmente diverso da tutto ciò che finora è stato umanamente immaginato, descritto, osservato, compreso e dimostrato. L’idea che qualcuno o qualcosa possa tornare indietro nel tempo (o magari andare avanti nel futuro) della storia di ciascuno di noi, per sbirciare nelle nostre vite e in quelle dei nostri discendenti o avi, magari per cambiarle, non è una prospettiva molto allettante. In questo strano universo non saremmo più liberi e padroni del nostro destino. La Natura lo permette? Ecco cosa c’è in ballo. Avrebbe senso un universo reale, non immaginario, che permette l’evoluzione di creature così complesse come gli esseri umani, capaci un giorno di investigare le Leggi della Natura e porsi le domande su Dio, per poi provocare la distruzione di Tutto? Qualcosa non torna e spetterà ai fisici ricomporre il complesso puzzle cosmico con un equazione altrettanto elegante come quella di Einstein. Senza regole ed equazioni, infatti, non si va da nessuna parte. Bisogna capire, cioè, parafrasando Hawking, cosa infonde vita nelle equazioni: perché l’Universo esiste? Perché dovrebbe permettere all’uomo di farlo finire? È giunta l’ora che i fisici si pongano anche queste domande. Il “che cosa” non basta. Parallelamente occorre che i filosofi e i teologi si aggiornino per tenere il passo con le conoscenze scientifiche, teoriche e sperimentali. Come accadeva nel passato, prima che la Scienza diventasse troppo tecnica, da Aristotele a Kant. Sappiamo che il neutrino è soggetto solo alla forza debole ed alla gravità. La velocità finita della luce non fu stabilita con un solo esperimento e da un solo scienziato. L’astronomo danese Ole Christensen Romer, osservando Giove e i suoi satelliti, e la distanza variabile tra la Terra e Giove, calcolò la velocità della luce in 225mila Km al secondo. Un risultato raggiunto 11 anni prima dei Principia di Newton. Bisognerà attendere il 1865 e le equazioni di James Clerk Maxwell sull’elettromagnetismo per avvicinarsi al dato reale e fisso. Poi nel 1887 Edward Morley ed Albert Michelson scoprirono che la velocità della luce era costante nello spazio, indipendentemente dalla direzione di moto della Terra. Dal fisico olandese Hendrick Lorentz fino al 1905, si cercò di spiegare l’esperimento di Michelson in termini di contrazione degli oggetti e di rallentamento del tempo a velocità prossime a quelle della luce. Finchè arrivò il giovane brillante Albert Einstein che annullò l’etere e il tempo assoluto. Idem Henri Poincarè. La colonna portante della Relatività è che tutti gli osservatori devono misurare la stessa velocità della luce, come accadeva già per le leggi del moto di Newton. Maxwell incluso. Le implicazioni della Relatività di Einstein sono notevoli: l’equivalenza di energia e massa; la legge che nulla può muoversi a velocità superiore a quella della luce ed altro ancora. A causa di tale equivalenza l’energia di un oggetto si somma alla sua massa. La Relatività ci confina per sempre a muoverci a velocità inferiori alla barriera della luce, altrimenti aumenteremmo infinitamente o immaginariamente la nostra massa. Soltanto la luce o altre onde che non abbiano una massa intrinseca, possono viaggiare a tale velocità limite. L’altra conseguenza della Relatività è la struttura dello spazio-tempo. Einstein mette fine all’idea del tempo assoluto. Quindi se viaggiamo a velocità prossime a quella della luce, il tempo rallenta rispetto a tutto il resto. I fisici possono calcolare esattamente di quanto rallenta. Einstein ci ha così insegnato a ragionare in termini quadridimensionali, un’esperienza che apparentemente non viviamo tutti i giorni ma che permette già il funzionamento di molti manufatti tecnologici. Gli eventi per i due osservatori necessariamente si svolgono in tempi diversi: l’astronauta in volo luminare e il fratello gemello sulla Terra. Grazie ad Einstein è anche possibile descrivere geometricamente questa profonda implicazione. La luce si piega solo a una grande massa. Effetto osservato da Einstein durante un eclisse di Sole. Non solo. La luce che si diffonde da un evento presente verso l’esterno, trasmettendo l’informazione, forma un cono tridimensionale nello spazio-tempo quadridimensionale. Ciascuno di noi, cioè, può descrivere la propria storia (in ogni presente) unendo due di questi coni, uno rivolto verso il passato e l’altro verso il futuro. Coni congiunti dal nostro presente. Si tratta di coni di luce. Non di neutrini tachionici. Si tratta del passato e del futuro di ogni nostro evento. Meglio ancora, un cono di luce può essere descritto come l’insieme di tutte le traiettorie possibili nello spazio-tempo della luce emessa in quell’evento. Einstein ci dice che la velocità della luce è la stessa in ogni evento e in ogni direzione (Relatività ristretta) trascurando gli effetti gravitazionali. Tutti i coni di luce, quindi, sono identici e puntati tutti nella stessa direzione. Se la velocità della luce è costante, tutto bene. Perché la traiettoria di un qualsiasi oggetto attraverso lo spazio e il tempo deve essere rappresentata da una linea che si trova all’interno del cono di luce in ogni evento lo interessi. Non all’esterno, non nell’altrove. Con la sua Teoria speciale della relatività Einstein descrive cosa accade quando le cose viaggiano alla velocità della luce. Anche gli effetti gravitazionali (come dimostrato) devono propagarsi a velocità-luce o sub-luce. Nel 1915, con la sua Teoria generale della relatività, pur non avendo trovato una teoria della gravità che andasse d’accordo con la Relatività speciale, Einstein suggerisce (è questa la sua rivoluzione) che la gravità non è una forza come le altre ma un effetto del fatto che lo spazio-tempo non è piatto bensì incurvato dalla massa e dall’energia di oggetti fisici. Non immaginari. Nella Relatività generale si viaggia sempre seguendo linee rette nello spazio-tempo quadridimensionale. Vicini a un corpo di grande massa il tempo scorre più lentamente. Spazio e tempo influiscono su ciò che accade nell’Universo e, a loro volta, risentono di tutto ciò che accade nell’Universo. Secondo Einstein, quindi, tutto può essere descritto nello spazio-tempo e nulla ha senso al di fuori dei limiti dell’Universo. Immutabile per la cultura di Einstein, non per la sua matematica. E, soprattutto, non per noi, come dimostrato nel 1998 da alcuni astronomi che osservarono la luce di lontane di supernove. Oggi sappiamo che l’Universo si espande in maniera accelerata. Viviamo, cioè, in un Universo dinamico. Hawking e Penrose hanno dimostrato che la Teoria generale della relatività implica un’altra cosa molto importante: l’Universo deve avere avuto un inizio e dovrà avere una fine. Altra conseguenza. Non potremo mai fare il giro dell’Universo prima della fine dei tempi. Per potersi ritrovare tutti qui sulla Terra prima della fine dell’Universo si dovrebbe viaggiare a una velocità superiore a quella della luce, cosa che oggi non è permessa! Ma lo fu subito dopo il Big Bang, durante la fase iper-luminare di espansione dell’Universo. Se ciò fosse possibile oggi, qualcuno l’avrebbe già fatto o, per lo meno, ce l’avrebbe comunicato. Come? Con i neutrini tachionici? C’è poi la questione “pesante” dei buchi neri, stritolatori di massa e di energia, quindi di informazioni. Esiste un’equazione elegante in grado di mettere tutti d’accordo? Quei neutrini speciali del Cern raggiungono il Laboratorio del Gran Sasso in appena 0.0024 secondi. Sarebbero, quindi, 5 miglia al secondo più veloci della luce. Einstein si sbagliava? I ricercatori dell’esperimento Minos del Fermilab (Main Injector Neutrino Oscillation Search) hanno pubblicato nel 2007 queste misure (http://arxiv.org/abs/0706.0437) sul tempo di volo dei neutrini. Le energie in gioco erano molto diverse, così come differente era il grado di affidabilità statistica dell’esperimento, valutata in appena 1.8 sigma. Ben al di sotto del 5-sigma di Opera. Forse, la Relatività ne uscirà più rafforzata di quanto finora pensato. Nel frattempo, in tutto il mondo, altri fisici chiedono di verificare in maniera indipendente l’esperimento con una montagna come il Gran Sasso d’Italia, un tunnel di particelle, un cannone neutrinico come quello del Cern di Ginevra (non un tunnel fisico!) e un laboratorio sotterraneo simile al nostro. Gli scienziati di Minos sono già al lavoro per verificare la scoperta dei fisici italiani.

Nicola Facciolini

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