“Mafie, Sud e resistenza”,in scena all’Aquila il 6 ottobre alla Casa del Teatro

“Mafie Sud e Resistenza” è lo spettacolo prodotto dalla Compagnia dei Merli Bianchi in collaborazione con il Teatro Proskenion di Scilla e con la regia di Claudio La Camera. E’ parte dell’omonimo progetto, promosso dalla compagnia teatrale di Giulianova in collaborazione con il “Museo della ‘Ndrangheta” di Reggio Calabria e la “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato”, teso a […]

“Mafie Sud e Resistenza” è lo spettacolo prodotto dalla Compagnia dei Merli Bianchi in collaborazione con il Teatro Proskenion di Scilla e con la regia di Claudio La Camera. E’ parte dell’omonimo progetto, promosso dalla compagnia teatrale di Giulianova in collaborazione con il “Museo della ‘Ndrangheta” di Reggio Calabria e la “Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato”, teso a sostenere, anche tramite  il teatro, la diffusione di una cultura della legalità democratica. Nei mesi scorsi è stato proposto in diverse piazze italiane e abruzzesi, tra le quali L’Aquila.

In scena due due brave attrici, Margherita Di Marco e Mariangela Berazzi, note per l’impegno sociale e culturale rivolto soprattutto a favore dei ragazzi e dei bambini, anche in ambito scolastico, ai quali, forti di una formazione nel teatro di ricerca, propongono dimensioni educative di alto profilo drammaturgico, con una speciale capacità di stimolare interessi narrativi duraturi e coinvolgenti. “Mafie, Sud e Resistenza” è, in primo luogo,  teatro di impegno civile, con l’aspirazione manifesta ma poeticamente orchestrata, di fare avvertire allo spettatore il peso di quel giogo insopportabile e pernicioso che è la cultura mafiosa, intesa come controllo violento e omertoso e negazione di libero arbitrio personale e sociale. Lo spettacolo, infatti, si apre con una lucida denuncia, da parte di una delle protagoniste, sulla corresponsabilità civile del pubblico in quelle forme di condizionamento cui tacitamente in potenza tutti possiamo aderire ed un’esortazione al rifiuto dei compromessi anche quando questi tocchino il personale interesse. Tante e diversificate le suggestioni culturali e drammaturgiche che si percepiscono nello spettacolo, le cui atmosfere rimandano echi di Beckett e Pirandello.

Sulla scena due donne, ispirate l’una a Felicia Impastato, madre di Peppino, il giovane barbaramente ucciso dalla Mafia nel 1978, e Rita Atria, figlia di un boss pentito e morta suicida a diciassette anni, rivivono straniate alcuni pezzi delle loro vite, impazzite di dolore e come sospese in una terra di mezzo, che non è realtà ma neppure pienamente aldilà. Ciascuna porta con sé un fardello di memorie vive e brucianti, materializzato in una quantità di valigie di cartone, che ripetutamente spostano,  svuotano o soltanto aprono per rivelare brandelli di vissuto. Esprimono, a tratti gioiosamente ma il più delle volte dolorosamente, l’anelito verso una qualche pacificazione dell’anima, come falene intorno ad una luce che pare attrarle dall’alto ma incespicando continuamente contro i lacci che le tengono attaccate al suolo in una dimensione di farneticante sofferenza. La mafia non viene nominata, ma evocata come presenza incombente che tutto ascolta e tutto sa. La tragedia di Peppino è nell’evocazione di quei “cento passi” che il film di Giordana ha rivelato al grande pubblico e nel sacrario intimo che la Madre ha imbastito dentro una valigia.  La Resistenza è nel “no” che le protagoniste testardamente oppongono, in una trasognata rivincita culturale.

Aspettano…qualcosa. Che arrivi dall’alto, come la scia di un’aereo che le trascini via verso un mondo di utopica felicità, ma è un attimo di speranza fuggevole che si trasforma subito in disincanto: “Passa e mi regala una scia: come le lumache”, ripete ciclicamente l’una, mentre l’altra intona canti dolenti e affascinanti, immaginandosi fanciulla ridente e sposa. Entrambe le protagoniste a tratti tornano bambine e in quella dimensione di fanciullezza osano il rifiuto, la satira e lo spergiuro di quei “fottutissimi cornuti” che hanno avvelenato le loro vite e quelle di tanti. Il dramma non ha acme né risoluzione e le due figure: amate, tenere sorelle sognanti, dopo la recita di un brindisi improbabile, escono di scena e ritornano all’oscurità dalla quale erano emerse, rincorrendosi ed abbracciandosi non viste, condannate a rivivere, all’infinito. Sulla scena resta un vuoto emozionato di parole, le valigie di cartone bene ordinate ed il silenzio vibrante degli spettatori. Poi l’applauso convinto alla bravura delle interpreti e ad un lavoro teatrale di rara efficacia.

 Grazia Felli

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