Visto negato e rogo n° 5

Già nel 2009 il Sud Africa aveva negato al Dalai Lama l’entrata nel territorio nazionale per partecipare a una conferenza sulla pace e il calcio, nel timore di far arrabbiare Pechino, partner economico e diplomatico di rilievo. Ed ora, due anni dopo, non fa pervenire il visto necessario perché sua santità Tenzin Gyatso, XIV Dalai […]

Già nel 2009 il Sud Africa aveva negato al Dalai Lama l’entrata nel territorio nazionale per partecipare a una conferenza sulla pace e il calcio, nel timore di far arrabbiare Pechino, partner economico e diplomatico di rilievo. Ed ora, due anni dopo, non fa pervenire il visto necessario perché sua santità Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama e premio Nobel per la pace nel 1989, possa partecipare, il prossimo 7 ottobre, ad inaugurare la conferenza in programma sabato a Città del Capo “Desmond Tutu per la pace”, su invito dell’acrivescovo anglicano dello stato africano, che nella stessa data compie 80 anni. ” Gli ultimi viaggi in Sudafrica del capo spirituale dei tibetani risalgono al 1996, quando fu accolto dall’allora presidente Nelson Mandela e poi nuovamente nel 1999 e 2004. Da parte sua, il portavoce del ministero sudafricano degli Affari esteri, Clayson Monyela, ha dichiarato che “sfortunatamente, il Dalai Lama ha deciso di annullare il suo viaggio, è la sua decisione e ne prendiamo atto”. Secondo Monyela, “l’originale del passaporto è stato depositato solo il 20 settembre data che fa fede per la domanda del visto”. Secondo un comunicato dell’ufficio del governo tibetano di New Delhi, la domanda per il visto era stata avviata a fine agosto e il passaporto era stato consegnato due settimane fa all’ambasciata del Sudafrica di New Delhi. Nonostante le sollecitazioni dello stesso Tutu e le proteste degli attivisti per il temporeggiamento del governo di Jacob Zuma, “il permesso non è arrivato in tempo”. “Siamo convinti – prosegue la nota – che ci sia una ragione o delle ragioni che hanno spinto il governo sudafricano a non ritenere opportuno il rilascio”. Dopo aver ricordando che “Sua santità viaggia in tutto il mondo per promuovere valori universali, armonia religiosa, messaggi di pace e di tolleranza” il comunicato si conclude con una nota di rammarico “per il disturbo arrecato a coloro che lo dovevano ospitare e a un grande numero di sudafricani che avrebbero voluto sentire il suo messaggio”. Intanto è di ieri la notizia del quinto monaco tibetano che, per protesta contro il Governo di Pechino, si è appiccato il fuoco nell’Ovest della Cina. Il gruppo Free Tibet ha detto che un giovane monaco, di nome Kalsang, “stava tenendo in mano una foto del Dalai Lama quando si è dato fuoco, invocando diritti religiosi e libertà in Tibet”. “La polizia ha spento le fiamme ma dove si trovi attualmente Kalsang, questo il nome del giovane monaco, non si sa, come non si conoscono le sue condizioni di salute. Stephanie Bridgen, direttrice del Free Tibet, ha detto a Reuters che il gruppo ha ricevuto la notizia dell’incidente da due fonti. Si tratta del quinto gesto di immolazione da parte di monaci del monastero, chiamato Ngaba dai tibetani, diventato ormai epicentro del malcontento tibetano nei confronti del governo cinese.Il monastero Kirty ha subito una dura repressione da parte delle forze di sicurezza a maggio. Lo scorso 26 aprile, cento monaci tibetani appartenenti sia al monastero di Kirti Jeypa di Dharamsala che e a quello di Sukhe Kirti di Darjeeling, hanno iniziato una marcia di solidarietà con i confratelli del monastero tibetano di Ngaba Kirti, da settimane assediato dalle forze di sicurezza cinesi (nella foto il momento della Sfidando l’ormai intensa calura dell’estate indiana, i monaci intendono percorrere in una settimana i 500 chilometri che separano Dharamsala da New Delhi per richiamare l’attenzione della comunità internazionale sulla violenta repressione in atto nel monastero tibetano. “Chiediamo a quanti credono nella pace e nella giustizia, ai governi, ai parlamentari, alle organizzazioni non governative e ai nostri fratelli e sorelle in tutto il mondo di manifestare ed esercitare pressioni sul governo cinese affinché ponga immediatamente fine alle brutali azioni di forza compiute dalla polizia a Ngaba”. Questo l’appello espresso dai monaci dei due monasteri di Kirti nell’esilio indiano assieme alla richiesta del rilascio di tutti i prigionieri politici in Tibet, incluso il Panchen Lama, con particolare riferimento ai due monaci tibetani recentemente arrestati a Kirti, Lobsang Tsundrue e Lobsang Dargay. Naturalmente sono stati arrestati. L’11 luglio , la questione è stata oggetto di concertazione all’interno dell’Unione europea, il cui Servizio esterno ha convocato l’ambasciatore di Cina presso la Ue per esprimere la profonda preoccupazione dell’Unione per le notizie di violenze da parte delle autorità del Sichuan ai danni dei monaci tibetani. Ma l’atteggiamento di Pechino non è affatto cambiato. In quella occasione, la sottosegretaria gli Esteri Stefania Craxi rispondendo ad un’interrogazione del Senatore Francesco Maria Amoruso (Pdl), ebbe a ribadire che: “il Governo italiano “nel rispetto dell’integrità e della sovranit‡ territoriale della Cina, non manca di sostenere la posizione comune in sede europea a favore di un dialogo costante e costruttivo tra le autorità di Pechino ed i rappresentanti tibetani”. Sarà interessante vedere cosa faranno ora le nostre autorità circa i suicidi dei monaci ed il visto di fatto negato al Dalai Lama.

Carlo Di Stanislao

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