Uccidere un figlio per amore disperato

Uccidere per troppo amore è un’assurdità, una tragedia abissale ed infinita, che pure accade, molto, troppo  spesso.  Ed  è accaduto di nuovo ieri, a Barca, in provincia di Lucca, dove un uomo di 61 anni ha tolto la vita al figlio disabile di 39 anni. Lui e sua moglie sono malati e temendo di non […]

Uccidere per troppo amore è un’assurdità, una tragedia abissale ed infinita, che pure accade, molto, troppo  spesso.  Ed  è accaduto di nuovo ieri, a Barca, in provincia di Lucca, dove un uomo di 61 anni ha tolto la vita al figlio disabile di 39 anni. Lui e sua moglie sono malati e temendo di non poterlo più accudire, quel figlio difficile e amato per quasi quarant’ anni e per tutto quel tempo protetto e  difeso, ha preferito strangolarlo, come fosse un ennesimo atto d’amore: l’ultimo, il più disperato. Per settimane e mesi ha rinviato questo gesto estremo e poi l’ha fatto, perché il suo corpo si indeboliva giorno dopo giorno e la moglie diveniva sempre meno autosufficiente. Così, nella notte, ha raccolto tutto l’amore di padre ed ha ucciso il suo Andrea, cerebroleso della nascita,  per poi chiamare i carabinieri e costituirsi. I miti, le religioni, l’antropologia, la storia, le cronache dei giornali,  testimoniano l’ubiquitarietà delle tendenze omicide nei confronti dei figli. I miti di diverse culture ne rivelano l’esistenza. Urano aveva un profondo orrore dei figli e appena Gea glieli partoriva li imprigionava nelle visceri della terra. Ma tutto questo non c’entra con la tragedia della lucchesia, dove un padre, lasciato solo da tutte le istituzioni, ha ucciso per amore e timore di inadempienza e non certo per odio o gelosia. Se la nascita di un bambino è la prosecuzione, per via indiretta, della vita dei genitori, una sonda del proprio Sé corporeo e psichico lanciata nello spazio dell’eternità, essa rappresenta anche un segnatempo inesorabile del limite dell’esistenza individuale. Nel castello, con la nascita dei figli, s’incrociano i destini: assieme al mistero e alla trepidazione, la nuova vita dei figli evoca, come si conviene a tutti i castelli, gli aspetti della vita e della morte, anche quando esse sono in mano ai genitori, poiché i figli sono disabili o menomati. Più spesso ad uccidere è la madre, che compie l’omicidio per sottrarre il figlio ai mali del mondo, per salvarlo dalla sofferenza di esistere, per preservarlo da reali o presunte difformità. Impulsi irrazionali e convinzioni religiose possono confluire in uno stato depressivo in cui la sofferenza interiore, l’angoscia e il mal di vivere concorrono alla messa in atto di un gesto irreversibile, forse incubato e fantasmato da tempo. Ma il tragico fatto di Lucca non si lega né ad una sindrome di Medea, né di Munchausen e neanche ad una turba dell’accudimento materno. E non si è trattato neanche di un raptus con forte impronta psicotica, dettato da  allucinazioni imperative in forma di comando, sdoppiamento della personalità, turbe sociali, demonizzazione del figlio, depressione post-partum, scompensi ormonali, malinconia psichica, frustrazione individuale. Esso invece è disperatamente legato alla sola disperazione di un padre che invecchia ed è lasciato sempre più solo e senza aiuto.  Da anni, in Italia, l’Anffas, denuncia che le persone con disabilità e le loro famiglie sono state lasciate sole dallo Stato e dalle istituzioni e sono da tempo in una condizione critica. Ma nessuno sembra ascoltarli. Ed oggi, a due anni di distanza dalla ratifica italiana della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, possiamo affermare che la situazione non è affatto migliorata ma anzi, sta continuando a peggiorare costantemente: le persone con disabilità e le loro famiglie sono state lasciate sole dallo Stato e dalle Istituzioni e sono ora in una condizione critica, con a rischio l’esigibilità dei propri diritti e servizi sempre più scarsi e più costosi a livello di compartecipazione. La tragedia senza fine di Barca, ci richiama alla incomprensibilità del comportamento di un governo che, per fare cassa,  tagli sui diritti delle persone più deboli, senza toccare di una virgola ad esempio, i rimborsi elettorali megagalattici in termini di cifre, che si intascano tutti i partiti (tranne i soliti radicali), praticando anche il trucco truffaldino documentato dal libro “La Casta”, che consiste nel gonfiare le spese di 3 o 4 volte in più rispetto alle spese effettivamente sostenute dagli stessi partiti, per incassare ancora più denaro pubblico ovviamente. La legislazione italiana ha realizzato negli anni una complessa ed articolata rete di tutela dei diritti dei disabili. Con queste leggi si è cercato di realizzare gli impegni di solidarieta’ previsti dalla Costituzione e ottenere il superamento della condizione di svantaggio detta handicap o invalidita’. Con la Legge quadro 5/2/92 n.104, finalmente, dopo anni di norme settoriali, è stato promulgato un quadro di riferimento complessivo. Tale legge comunque non ha raccolto in un testo unico tutte le norme relative alla disabilita’, ma costituisce semplicemente una cornice entro cui devono prodursi le norme successive che, visto il passaggio di competenze, sono sempre piu’ norme regionali e locali. Rimangono quindi in vigore numerose leggi relative a singoli e specifici aspetti come per esempio le barriere architettoniche, l’integrazione scolastica, l’integrazione lavorativa, le provvidenze economiche, gli sgravi fiscali, i permessi lavorativi, ecc. Una legislazione così affollata presenta problemi di correlazione tra norme, che stanno amplificandosi con la crescita della normativa regionale e locale. Si può citare l’esempio paradossale dei contributi economici previsti a favore dei disabili dalla Legge statale 162/98, che esclude gli ultrasessantacinquenni, e dei bonus regionali a favore degli anziani che escludono chi non ha raggiunto i settantacinque anni: le due normative lasciano così una fascia cieca che non può usufruire né dell’uno né dell’altro contributo.  La cosa piu’ grave è che tutte queste norme sembrano mancare di un progetto globale in cui sia fissato un obiettivo finale. Questo rischia di disperdere le risorse già esigue e continuamente depauperate,  senza raggiungere alcun obiettivo apprezzabile. E in tutto questo, il 25 agosto scorso, il ministro Calderoli portabandiera della Lega nelle serrate trattative di rielaborazione della manovra allora bis, uscì  allo scoperto, rivelando i due nuovi bersagli per fare cassa: le indennità di accompagnamento e le pensioni di reversibilità e pur di non cedere sulle pensioni, sulla lotta all’evasione fiscale, sulla tassazione sui grandi patrimoni, se la prese, vergognosamente,  con le vedove e con le persone con grave disabilità’.  Chissà se Calderoli ha letto del figlicidio per disperazione della lucchesia e chissà se, nel frattempo (ma ne dubito), qualcuno gli ha fatto capire che chi pensa alle persone disabili, anziane e povere, solo in termini di  pesi per la competizione e per certo efficientismo, non è degno di dirsi rappresentante di uno stato civile, ma è bene se ne stia in una ben sorvegliata riserva, magari padana. Ieri, mentre Calderoli era intento difendere il suo Bossi, contestato a Varese perché la base della Lega Nord non vuole Maurilio Canton segretario provinciale; un uomo di 61 anni si è trovato di fronte al dilemma di dare la morte a suo figlio, che non riusciva più ad accudire, mentre attorno cresceva l’ombra nera del vuoto delle carenze  istituzionali e l’alba, ormai, era stata cancellata dal suo cielo.

Carlo Di Stanislao

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