Nuova Zelanda, corsa contro il tempo per fermare la marea nera

Sempre piu’ preoccupante la situazione in Nuova Zelanda a causa della nave portacontainer incagliata sulla barriera corallina a 12 miglia nautiche da Tauranga, sulla costa est di North Island. Secondo le autorita’ circa 350 tonnellate su 1.700 di gasoio sono fuoriuscite. Cartelli gialli sulle spiaggie avvisano di non fare il bagno e non mangiare pesce. Numerosa […]

Sempre piu’ preoccupante la situazione in Nuova Zelanda a causa della nave portacontainer incagliata sulla barriera corallina a 12 miglia nautiche da Tauranga, sulla costa est di North Island. Secondo le autorita’ circa 350 tonnellate su 1.700 di gasoio sono fuoriuscite. Cartelli gialli sulle spiaggie avvisano di non fare il bagno e non mangiare pesce.

Numerosa preoccupazione per le specie a rischio, “Conosciamo tutti molto bene quali sono gli effetti del petrolio sulle penne dei nostri uccelli marini come cormorani, berte, sule e pinguino minore blu. Se raggiunti in tempo possono essere raccolti e portati in centri di soccorso specializzati per essere lavati e riabilitati. L’area colpita dallo sversamento riveste una notevole importanza per uccelli rari, endemici o a rischio estinzione come uccelli delle tempeste, pittime, procellarie, piovanelli e molti altri trampolieri e limicoli. E’ fondamentale che gli ecosistemi delle zone umide importanti come l’estuario Maketū e quelli dell’isola Matakana siano protetti”, afferma Isabella Pratesi, Direttore Politiche di Conservazione Internazionali del WWF Italia.

Sorgono dubbi sull’utilizzo dei solventi utilizzati per disperdere gli idrocarburi, “L’autorità Marittima della Nuova Zelanda si sta muovendo per raccogliere il petrolio sversato dalla nave Rena e prevede anche di continuare a utilizzare il Corexit: controverso disperdente, simile a quello utilizzato nel Golfo del Messico. Anche se ogni situazione è diversa, e sosteniamo gli sforzi di coloro che sono coinvolti nel contenere la fuoriuscita di petrolio, chiediamo cautela nell’uso dei solventi disperdenti dei s visto che non rimuovono il petrolio e che ci sono ancora molte domande senza risposta circa il loro impatto ambientale”.

Corsa contro il tempo per fermare la marea nera, “le prossime 24-48 ore sono decisive per evitare una catastrofe ambientale”, ha riferito Rebecca Bird, della sezione marina del WWF.

SCHEDA DI APPROFONDIMENTO: MAREA NERA – ILWWF RISPONDE

MAREA NERA: COSA SUCCEDE ALL’AMBIENTE

Effetti immediati: morte degli animali colpiti per ingurgitazione degli idrocarburi e inalazione delle esalazioni del petrolio e per ipotermia (soprattutto nel caso di uccelli e alcuni mammiferi come le lontre), dovuta al mancato funzionamento (perché ricoperta di petrolio) del piumaggio e della pelliccia come isolante termico.

Sui fondali, muoiono ricoperti da uno strato di idrocarburi più o meno spesso, mitili (ostriche e cozze), gamberi e molti altri animali importantissimi per le catene alimentari e, quindi, per la produttività ittica. Il petrolio inoltre è fortemente tossico per le larve e le uova di pesci, compromettendo ulteriormente la produzione ittica.

Medio e lungo periodo: Gli idrocarburi aromatici policiclici che si trovano nel petrolio persistono nell’ambiente, si accumulano negli organismi (soprattutto quelli ai vertici delle catene alimentari come gli squali, i cetacei, gli uccelli e alcuni mammiferi come la lontra) producendo effetti molto nocivi sul materiale genetico, sul sistema riproduttivo e su molte altre funzioni vitali fino all’insorgere di vari tipi di tumore in diversi organismi.

LA LUNGA SCIA DEL PETROLIO: I DANNI

Tendenzialmente i danni che svaniscono sono quelli più immediati (meccanici e fisici) mentre quelli che tendono a perdurare sono quelli biologici (tumori, alterazioni genetiche, etc.) che si trasmettono di generazione in generazione. Questo perché anche piccoli concentrazioni di alcuni tipi di idrocarburi possono produrre nel lungo periodo danni permanenti ad alcune specie. In Alaska, dopo l’incidente della Exxon Valdez, salmoni selvatici ed aringhe sono in continuo declino. Caso tipico di questa vicenda è quello delle orche, ancora oggi alcune popolazioni sono in drammatico declino.

SPECIE MARINE E COSTIERE: L’IMPATTO IN ACQUA E A TERRA

Sia le specie marine sia quelle costiere sono molto impattate sia nell’immediato, sia nel lungo periodo. E’ più facile studiare e considerare i danni delle specie costiere in quanto sono popolazioni più facilmente monitorabili, mentre in generale poco si sa sugli effetti a medio e lungo termine sulle popolazioni marine e in particolare su quelle bentoniche (che vivono ovvero sui fondali colpiti dal petrolio).

Difficile dire se l’impatto è maggiore a mare o a terra in quanto in termini ecologici non c’è un vero  confine tra costa e mare. Nel lungo periodo crediamo che l’impatto maggiore riguardi le comunità di organismi marini. L’impatto che avrà il petrolio dipende dai parametri biofisici del territorio interessato: dalla temperatura delle acque nel corso dell’anno, dall’intensità delle correnti, dalla tipologia di substrato, da un’infinità di fattori che rende ciascun luogo unico nella conseguenze e nella risposta agli impatti. Molto dipende anche dal periodo in cui avviene lo sversamento. Il periodo delle migrazioni e della riproduzione (sia per i pesci sia per gli uccelli) è quello più delicato che ha il maggiore impatto.

Alcuni casi studio:

Exxon Valdez

E’ stato lo sversamento più rilevante della storia, anche perché ha colpito una zona di grandissimo valore naturalistico.

Sul momento morirono migliaia di animali fra cui 2800 lontre marine  e 250.000 uccelli marini. Purtroppo  dopo 20 anni il WWF nota che  molti ambienti ed organismi non hanno recuperato le condizioni precedenti alla tragedia:  pesci (aringhe, trote, salmoni), uccelli marini (anatre, cormorani, sule, beccacce di mare), mammiferi (lontre, orche) risentono ancora del drammatico impatto dell’onda nera. Nella zona del disastro sono ancora accumulati migliaia di litri di petrolio. Non si trovano direttamente sulla superficie ma al di sotto dei primi centimetri di sedimenti. Dimostrando che tutte le previsioni di “smaltimento” nel tempo degli idrocarburi sversati in mare erano del tutto fallate. Gli studi dicono che ci vorrano ancora decadi se non secoli prima che il petrolio scompaia dagli ambienti danneggiati. E’ stato proprio il dramma della EXXON Valdex ad insegnarci che è errato valutare il rischio ecologico sulla base dell’impatto immediato e diretto dello sversamento. L’Alaska ha dimostrato l’incredibile persistenza della tossicità degli idrocarburi aromatici policiclici anche in dose sub letali e, più in generale,  la difficoltà di recupero di molti organismi marini e costieri. Andrebbero realizzati seri studi di eco tossicologia per avere informazioni maggiori circa i reali danni prodotti dal petrolio.

Riguardo il disasstro della EXXON Valdex E’ importante sottolineare come subito dopo lo sversamento sia stato realizzato un efficace piano di recupero e monitoraggio, attivo ancora oggi

Amoco Cadiz

E’ stato valutato che morirono nell’incidente 260.000 tonnellate di organismi marini. Furono uccisi da 190.000 a 370.000 uccelli e furono distrutte 6.400 tonnellate di ostiche perché non più commestibili. Persero il lavoro migliaia di pescatori e il settore turistico fu gravemente danneggiato.

Per il recupero delle coste e il soccorso agli animali coinvolti ci fu un’attivazione di ben 14.000 volontari.. Furono utilizzati tutti i mezzi allora disponibili per recuperare e smaltire il petrolio piaggiato (ne furono recuperate 15.000 tonnellate). Furono attivati diversi centri di recupero per gli animali imbrattati. Tuttavia solo un uccello su 20 fu tratto in salvo.

Attualmente i principali equilibri ecologici sembrano siano ripristinati, anche se permangono squilibri evidenti a livello delle cenosi bentoniche (organismi che vivono nei fondali). E’ importante segnalare che è difficile oggi come oggi riuscire a ricollegare eventuali squilibri ecologici al disastro dell’Amoco Cadiz (avvenuto ben 30 anni fa) in quanto sono tanti i fattori di disturbo che nel tempo si sono sovrapposti a quelli della marea nera (agricoltura intensiva, ulteriori sversamenti di idrocarburi, impianti di itticoltura, etc.)

Il WWF si domanda inoltre quanto siano stati studiati  gli effetti persistenti degli idrocarburi aromatici policiclici in quell’area.

Haven

Fu il principale disastro nel Mediterraneo. L’intervento a mare fu estremamente limitato in quanto non erano in dotazione mezzi sufficienti per arginare la chiazza nera (furono utilizzata la strumentazione disponibile quella ovvero utilizzata per arginare il fenomeno delle mucillagini). Il wwf partecipò attivamente al recupero della zona costiera colpita dal disastro ecologico allestendo anche un ospedale veterinario dove vennero utilizzati protocolli definiti nel caso Exxon Valdez.

L’associazione, ancora prima del ministero dell’Ambiente, si costituì parte civile.

Il risarcimento della compagnia responsabile dell’incidente fu del tutto  insufficiente e non adeguata al danno provocato. E’ importante sottolineare che nell’inquinamento a mare scattano delle norme internazionali che prevedono il risarcimento solo delle spese effettuate durante l’emergenza e non il danno ambientale. Questa è una gravissima incongruenza ancora in vigore. Le regole dell’IOPCF (Fondo per il risarcimento dei danni prodotti da inquinamento da idrocarburi) al quale aderiscono ben 70 paesi (Italia compresa) dal 1992 non prevede alcun risarcimento del danno ambientale ma solo i costi di un “ragionevole ripristino”.

Jessica

IL 9 maggio 2001 la nave Jessica ha sversato 240.000 galloni di petrolio nelle acque prospicienti l’arcipelago  delle Galapagos.

Solo una combinazione fortunata di correnti e venti marine ha fatto in modo che lo sversamento della nave Jessica affondata nelle prossimità delle isole Galapagos (vero e proprio santuario della biodiversità) si trasformasse in un disastro unico per l’area colpita. Tuttavia anche i non enormi quantitativi sono riusciti ad avere un forte impatto.

Pochi sono gli animali immediatamente morti, grazie anche all’intervento dello staff del parco e di molti volontari. Tuttavia a distanza di quasi un anno sono morte ben il 60% delle iguane dell’isola raggiunta dallo sversamento. Ciò dimostra come gli effetti a medio e lungo termine possano essere ancora più nocivi dell’impatto immediato

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IMPARARE DAI PRECENTI ECODISATRI DEL PETROLIO

Gli insegnamenti che possiamo trarre sono: ogni disastro ha caratteristiche diverse ma proprio per questo è necessario che ogni paese predisponga piani di pronto intervento che prevedano e tengano a disposizione strumenti e risorse  adeguati. Oltre all’applicazione severa di regole e strumenti l’unica speranza di salvezza per gli ultimi paradisi naturali resta la dichiarazione di queste zone come “Aree Particolarmente sensibili” e interdette all’estrazione petrolifera e a qualunque traffico di navi pericolose o inquinanti, come è avvenuto già per la Grande Barriera Corallina australiana.

Più in generale il wwf sottolinea che:

Dovrebbero esistere delle valutazioni di rischio che includano la previsione e la quantificazione dell’enorme danno ecologico, sociale, ambientale in caso di disastri connessi ad  attività estrattive in aree  delicate come il Golfo del Messico, il Mediterraneo e tanti altri mari fragili e sensibili per la loro biodiversità, i quali oltretutto forniscono insostituibile nutrimento a comunità e famiglie.  Se queste valutazioni fossero effettivamente fatte, si capirebbe quanto l’utilizzo del petrolio (sia che venga estratto a mare, sia che venga distribuito attraverso il mare) non sia più compatibile con la conservazione della biodiversità anche in un ottica economica.

Andrebbe cioè applicato il principio di precauzione perché le estrazioni a mare (come tutte le cose che avvengono sopra e sotto la sua superficie) sono poco controllate e poco controllabili. E infine….50 anni di ecosistemi compromessi e deteriorati non valgono una maggiore spinta verso le energie rinnovabili?

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