Abruzzo, Chiodi invia una nota agli erogatori della spedalità privata

Gianni Chiodi, presidente della Regione e Commissario ad acta per la sanità, ha inviato una nota agli erogatori della spedalità privata scrivendo:  “Nonostante due anni di commissariamento e l’applicazione coerente e rigorosa di norme e procedure scaturenti dalla partnership ministeriale, è stato necessario proseguire ancora sulla strada commissariale per portare a compimento quelle riforme strutturali […]

Gianni Chiodi, presidente della Regione e Commissario ad acta per la sanità, ha inviato una nota agli erogatori della spedalità privata scrivendo:  “Nonostante due anni di commissariamento e l’applicazione coerente e rigorosa di norme e procedure scaturenti dalla partnership ministeriale, è stato necessario proseguire ancora sulla strada commissariale per portare a compimento quelle riforme strutturali ineludibili per uscire da una crisi economica e finanziaria oltre che politica e sociale. Il prolungamento del presidio governativo sul settore sanitario non è, quindi, una colpa da espiare, quanto un estremo atto di responsabilità, di compimento di un ciclo riformista, che, infatti, ha dato i suoi frutti: da una parte ha consentito il raggiungimento del pareggio di bilancio; dall’altro ha permesso lo start up di indispensabili forme di riorganizzazione di attività e strutture, attraverso la definizione dei fabbisogni sanitari. Tra questi fatti nuovi occorre citare la riconversione dei piccoli ospedali (obsoleti e non più sicuri) in presidi territoriali; la rimodulazione delle unità operative e dei dipartimenti che ammoderna gli ospedali per acuti e li rende più efficaci nella medicina attuale e futura; le reti ospedaliera e territoriale. Per quanto attiene, invece, alle misure di controllo della spesa pubblica per la sanità, una misura indispensabile al raggiungimento dell’equilibrio di bilancio è stata la definizione dei tetti totali della spedalità privata, per pazienti residenti e di fuori regione. I tetti di spesa sono il modo con cui la Regione stabilisce quanto può spendere per acquistare dai privati quelle prestazioni che non produce direttamente. Nel 2008 e 2009, tali tetti ammontavano ad oltre 160 milioni, e nella maggior parte dei casi sono risultati non sottoscritti dagli erogatori perché ritenuti insufficienti. La mancata firma dei contratti, per rivendicare il diritto ad un maggior finanziamento, aveva come conseguenza diretta quella di alterare i meccanismi di governo della spesa pubblica, riducendo la Regione a mero ente erogatore di prestazioni pagate a piè di lista, con l’aggravante di non poter contestare il fatturato se non in sede di controllo ispettivo. D’altro canto, la mancata firma del contratto permetteva ai privati di fatturare oltre i tetti stabiliti, adducendo le giustificazioni più disparate: dal soddisfacimento delle richieste dei cittadini, a presunti ritardi nella predisposizione dei contratti a vari ostacoli amministrativi e procedurali, tutti alla Regione imputabili. Il mancato governo della spesa sui tetti è stata una delle cause all’origine dell’enorme debito pubblico che ha portato l’Abruzzo a conquistare la disdicevole vetta delle regioni italiane in rosso. Nel 2010 i tetti sono stati fissati a quota 140 milioni di euro non per punitiva volontà di tagliare ma solo nell’intento di garantire qualità delle prestazioni e risposte ai fabbisogni dei cittadini. Il nuovo plafond è stato determinato sulla base del fatturato 2008 (il 2009 per effetto del terremoto, rappresentava una anomalia dal punto di vista di tutti i parametri), sul quale si è agito attraverso la rimodulazione delle prestazioni appropriate e trasferendo le prestazioni da regime ordinario al regime diurno e ambulatoriale, così come auspicato dai Patti della Salute tra Stato e Regioni. Il punto è anche di natura contabile atteso che la Regione Abruzzo, per l’assistenza dei pazienti che provengono da altre Regioni, deve remunerare immediatamente le proprie case di cura, a fronte di un rimborso da parte della Regione di residenza degli assistiti prossimo ai due anni, rischiando quindi un deficit finanziario nell’anno in corso. Va, infine, aggiunto che i tetti 2010 conservavano comunque i vincoli imposti dal Ministero dell’Economia in ordine alla conformità del tetto sulle prestazioni ai pazienti extraregionali alla spesa sostenibile da una Regione in grave difficoltà economica. Comunque sia, le Regioni, a maggior ragione quelle in Piano di Rientro, hanno manifestato l’interesse a muoversi sulla strada dell’autosufficienza per diminuire la mobilità passiva e ridurre, in qualche modo, la fuga dei pazienti verso la cura extraregionale. Anche l’Abruzzo non è immune da questa problematica, peggiorata nel 2009, anno del terremoto, e perdurata costante nel 2010, tanto da ammontare ad oggi a circa 60 milioni di euro. Le cause della mobilità non sono solo e sempre legate alla inefficienza delle nostre strutture, alle liste d’attesa o alla qualità degli ospedali del nord: è un dato di fatto che i primi consigli sul cosa fare arrivano sovente dai medici di famiglia, che indirizzano i pazienti fuori regione. Qualche volta è accertato che alcuni di costoro, pur operanti nelle nostre strutture private, hanno contratti anche con case di cura nelle Marche verso le quali inducono alla mobilità. C’è un altro aspetto che crea un effetto di evidente disparità, ed è il seguente. La Regione Marche, non essendo in deficit, né in Piano di rientro, non è obbligata a porre un tetto all’assistenza dei cittadini che provengono dall’Abruzzo, sicché inevitabilmente finiscono con il favorirla. Perciò, nei tavoli competenti, le Regioni in Piano di Rientro si sono mobilitate verso le Regioni dove avviene la migrazione, e non solo, affinché governino i processi di mobilità, per esempio abbassando le tariffe dei ricoveri inappropriati, che rappresentano la voce più significativa. Al tempo stesso è ovvio è necessario che si debba lavorare tenacemente per dare prestazioni di qualità e per abbattere le liste d’attesa. Il Programma nazionale sugli esiti del Ministero della Salute, che misura la efficacia degli ospedali pubblici e privati italiani, ha dimostrato che le Cardiochirurgie di Chieti e Teramo sono tra le migliori d’Italia per qualità, tanto da attestarsi tra le primi dieci in Italia. Ciononostante, – ha concluso Chiodi – nel 2010 più di 200 cittadini abruzzesi sono andati a farsi curare presso strutture di Modena, Bologna e Roma, dove hanno creduto in buona fede di essere curati meglio ed invece, forse, non avevano informazioni complete sulle eccellenze della loro stessa regione” Per arrivare ai nostri giorni, il Tavolo di Monitoraggio dei Ministeri della Salute ed Economia, ha verbalizzato per la Regione Abruzzo il pareggio di bilancio nel 2010 ed una tendenziale invarianza dei valori per il 2011. Questo obiettivo, ottenuto – ripeto – grazie al nostro rigore ed osservanza delle norme, ci consente oggi, in un contesto in cui tutto il Paese è in estrema difficoltà e compie manovre di riordino, di non ritoccare al ribasso i tetti di spesa per gli erogatori privati, per tutte le tipologie di prestazioni, almeno fino al 2013. In sostanza, siamo entrati nella fase che prevede di ottimizzare le risorse, anche attraverso l� integrazione e la cooperazione tra pubblico e privato. In primo luogo, come richiede il Ministero, di formulare i tetti di prestazioni stabilendo, anzitutto, di quali prestazioni il sistema regionale ha bisogno per rispondere alle esigenze dei cittadini. Si tratta, in definitiva, di capire cosa devono fare gli ospedali pubblici e cosa i privati, per spendere al meglio le risorse a disposizione e ridurre le duplicazioni, le ripetizioni, gli sprechi. I tetti di spesa, come già annunciato, sono confermati anche nel 2012 perché la Regione ha raggiunto più sicurezza e credibilità. Questi fattori essenziali di affidabilità introducono un ulteriore aspetto che voglio con forza sottolineare: l’assioma tra la credibilità della politica di bilancio regionale e la sostenibilità economica di imprese che, a loro volta, garantiscono occupazione e posti di lavoro. Tale sostenibilità, inoltre, è garanzia anche per affrontare i processi di accreditamento e di qualità e la contemporanea riduzione dei costi che queste strutture come, peraltro, quelle pubbliche devono implementare per lavorare nella competizione di sistema. Il pensiero va alla recente vicenda legata alla crisi del Gruppo Villa Pini. Allora tutto l’Abruzzo si strinse intorno ai dipendenti per garantire loro i posti di lavoro e la Regione, pur nella difficoltà estrema, successiva al sisma, correttamente stanziò il finanziamento del tetto di spesa alla Curatela, per agevolare ed assicurare la sopravvivenza delle aziende e della occupazione. Dal nostro punto di vista, non vorremmo più vedere la sanità “in fallimento” o “in svendita” come è purtroppo accaduto per la spregiudicatezza di certe operazioni avvenute in assenza di regole e di governo. Per questo è incomprensibile che sulla definizione dei tetti di spesa si facciano ancora barricate, pur avendo tutti preso atto che è stata la loro assenza una delle cause qualificanti i guai finanziari di questa Regione, con implicazioni per il sistema sociale ed economico. Tutti dobbiamo farci una ragione del fatto che l’Abruzzo deve scontare un ritardo di regole significativo, il cui rovesciamento, per il bene e la crescita di tutti, ingloba ancora un serio e duro lavoro perché non basta il pareggio di bilancio per diventare una Regione “normale”. Essere una Regione normale vuol dire uscire dalla logica dell’emergenza continua, che fa piani triennali e non agisce giorno per giorno, che indirizza e verifica la qualità delle prestazioni e non si limita a fare controlli ispettivi per evitare il superamento dei budget. Di buono c’è che l’Abruzzo è andato meglio delle altre Regioni e sta cercando con tutto l’impegno possibile di crescere, di sviluppare, di garantire a chi vuole fare impresa di essere messo nelle condizioni di competere, di fare qualità, di investire, ma sempre di rispettare le regole e di rispettare il tetto di spesa che la Regione è in grado di finanziare. Dal 2010, faticosamente e con difficoltà, è iniziata comunque una nuova fase: le imprese private sono complementari alle pubbliche per garantire la risposta ai fabbisogni dei cittadini e si deve lavorare in modo integrato e sinergico per rispondere alla complessità della medicina e sanità attuale. Le nostre case di cura lavorano e si impegnano con mezzi costosi, personale preparato, passione, competenza e flessibilità e la Regione riconosce questi come valori e li finanzia e sostiene con un budget giusto fino al 2013. Di contro, – conclude – sarebbe un traguardo di vera maturità e reciprocità di intenti per il bene dell’Abruzzo, che le imprese avvertano la nobile responsabilità di accettare le regole senza le quali si rischia il fallimento del sistema pubblico e privato”.

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