Instabilita’ e oscillazioni del paesaggio aquilano

L’instabilità del paesaggio contemporaneo, rispetto alla persistenza di quello storico, oggi ha raggiunto accenti così esasperati che hanno intensificato la frammentazione sociale, già spinta verso gli eccessi da preesistenti comportamenti di individualismo. Mai come in questo momento storico la nostra comunità è vissuta in un simile stato di mutazione e di instabilità del paesaggio! Ovviamente, […]


L’instabilità del paesaggio contemporaneo, rispetto alla persistenza di quello storico, oggi ha raggiunto accenti così esasperati che hanno intensificato la frammentazione sociale, già spinta verso gli eccessi da preesistenti comportamenti di individualismo. Mai come in questo momento storico la nostra comunità è vissuta in un simile stato di mutazione e di instabilità del paesaggio! Ovviamente, a cambiare è stato anche il nostro modo di guardarlo, di viverlo e di gestirlo. I significati che oggi attribuiamo alla parola paesaggio o al concetto di qualità del paesaggio rimandano al nostro modo di vagliare la connessione fra natura e cultura. Sul piano concettuale si è tutti concordi nel considerare paesaggio l’intero territorio: sia le aree storiche e naturalistiche di pregio, che quelle degradate o realizzate di recente, ciascuna bisognosa di essere gestita per governare l’inevitabile trasformazione e tradurla in ciò che definiamo sviluppo sostenibile. Tuttavia, pur considerando la tradizionale collaborazione dell’uomo con la natura nella trasformazione dei paesaggi, oggi assistiamo ad un cambiamento epocale che non possiamo disconoscere, perché è mutato il “tempo” delle modificazioni,  un tempo che tradizionalmente richiedeva l’apporto di più generazioni e che oggi invece ha subito un esponenziale scatto di accelerazione. Ciò ha prodotto quantità, crescita smisurata e, conseguentemente, ingovernabilità, deregulation. Alle grandi mutazioni prodotte dall’uomo e dai fenomeni calamitosi della natura, oggi rispetto a ieri, si è aggiunta la trasformazione della nostra visione etica del paesaggio, che da un sentire utopico e visionario è precipitata ad una concezione che ne ha fatto oggetto di merce commerciabile, da prosciugare nel disprezzo di tradizioni, natura, risorse e persone. Simile all’archeologia, il paesaggio però si mostra anche come stratificazione di segni, da cui lentamente ci lasciamo afferrare e facciamo affiorare le nostre storie. In tal modo esso si carica di un senso aggiuntivo che va ben oltre quello delle geo-grafie e dei valori economici. Basta porci di fronte ad una porzione del nostro habitat, abbandonando temporaneamente le finalità legate alla conoscenza scientifica o agli scopi pratici, con la sola intenzione di osservarlo, che immediatamente lo vediamo caricarsi di una molteplicità di significati, solo in parte riconducibili a quelli degli atlanti geografici o dei mercati fondiari. E’ la visione di paesaggio inteso come teatro della nostra esistenza, ma anche come Patto di Alleanza della società civile, che contribuisce a dare senso alla vita della nostra comunità e a cui la vita dà significato. Visto sotto questa luce esso diventa parte indivisibile del testo narrativo della nostra storia. Se ci viene tolto il paesaggio narrativo non potremmo narrare ad altri la nostra storia: al di fuori di esso siamo degli inenarrabili. E’ a partire da questa posizione che possiamo osservare la differenza tra “paesaggio geografico” e “paesaggio narrativo”. Il primo ci dà informazioni sul paesaggio ecologico, geologico, politico, socio-economico, storico e dei loro processi di morfogenesi; il secondo, servendosi dell’intricato sistema dei segni, delle immagini, delle emozioni ci parla attraverso il linguaggio evocativo della memoria, che lo fa funzionare alla stregua di un testo, dove i significati immediati delle cose, quelli geo-grafici, rimandano ad altri significati, non univocamente definibili e che inducono a compiere escursioni deduttive all’interno della nostra “enciclopedia interiore”, alla scoperta di un senso, che dia espressione agli echi provenienti dalla nostra sfera emozionale. Questo tipo di lettura, che fa funzionare il paesaggio come un testo aperto, a valenza estetica, procede in senso contrario a quello della lettura scientifica delle varie discipline geo-grafiche. Mentre queste sono intente “a “controllare la lettura”, racchiudendola in ben delimitati sottosistemi semantici, il paesaggio narrativo “la apre” all’intero universo dei segni, che costituisce il sottile fondamento di una grammatica ecologica, che presiede ad ogni autentico Progetto di paesaggio: una categoria di pensiero che richiede una complessa visione dell’immaginare e del sentire,  ma anche una trasparente modalità di governare e di agire

Giancarlo De Amicis

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