Disobbedienza civile: spazio al confronto in “Luoghi sicuri”

Emerge con particolare urgenza in un territorio smembrato come quello dell’aquilano: il bisogno di trovare proposte concrete al fine di ripristinare una sicurezza nell’identificazione simbolica e funzionale di luoghi che vengano riconosciuti da tutta la comunità come stabili punti di riferimento. Si è tenuto la scorsa settimana il festival “Luoghi sicuri”, una quattro giorni che […]

Emerge con particolare urgenza in un territorio smembrato come quello dell’aquilano: il bisogno di trovare proposte concrete al fine di ripristinare una sicurezza nell’identificazione simbolica e funzionale di luoghi che vengano riconosciuti da tutta la comunità come stabili punti di riferimento.
Si è tenuto la scorsa settimana il festival “Luoghi sicuri”, una quattro giorni che ha visto il susseguirsi di dibattiti, spettacoli teatrali, installazioni, proiezioni di video all’insegna della riflessione e del confronto sul significato di luogo sicuro, inteso come territorio in cui tutti gli abitanti hanno il diritto-dovere di partecipare alla sua gestione, conservandone l’identità storico-culturale e promuovendo una cultura di accoglienza e di dialogo, la sola arma che può difenderci dalla paura di non avere voce.
La giornata di domenica è stata dedicata al tema “la forza della memoria”, intesa come imprescindibile necessità, non solo di considerare le esperienze del passato come preziosi riferimenti per orientare le nostre azioni nel presente e nel futuro, ma anche come capacità di riconsiderare le esperienze del passato sotto nuovi punti di osservazione, considerando, di volta in volta, le motivazioni che hanno sospinto l’agire dei singoli protagonisti che prendiamo in considerazione.
“Un fiume rosso”, così come è stato definito nell’audio-video realizzato da Animammersa e proiettato a fine mattinata, ha collegato le tre diverse esperienze che ieri mattina sono state portate all’attenzione del pubblico della Casa del Teatro: Il terremoto del Belice, i movimenti no TAV in Val di Susa e il terremoto dell’Aquila. Tre esperienze che hanno visto e continuano a vedere un’asprissima conflittualità tra istituzioni, locali e nazionali, e comunità residenti per la gestione del territorio. Un territorio che, in casi sempre maggiori e ravvicinati in Italia, è rigato dal sangue di vittime provocate non tanto da catastrofi naturali, ma dall’incapacità dell’uomo di rendere prioritaria la salvaguardia dell’ambiente naturale come condizione necessaria al benessere della popolazione. La lotta a far prevalere l’interesse personale, e non quello della comunità, l’andamento dell’economia sono divenute leggi di sopravvivenza nel processo di territorializzazione.
Hanno aperto la tavola rotonda le letture tratte dal libro “I ministri del cielo” di Lorenzo Barbera, uno dei protagonisti della grande esperienza di azione politica nonviolenta promossa da Danilo Dolci in Sicilia dagli anni 50, e fondatore del CRESM, laboratorio di esperienze di gestione del territorio pienamente partecipativa. Il libro funge da memento ad una tragedia “censurata” così come la definisce lo stesso Barbera: si tratta del terremoto del Belice, la prima grande catastrofe nazionale del dopoguerra, e dei mali di un post-sisma segnato dall’impreparazione dello Stato a gestire l’evento, le popolazioni costrette all’emigrazione o allo squallore eterno delle baracche, gli errori nella ricostruzione, le infiltrazioni mafiose.
Barbera ha voluto portare alla luce la dignità, il coraggio, la sobrietà dei contadini del Belice protagonisti di un’importantissima stagione di lotte politiche per l’affermazione dei diritti sanciti dalla Costituzione, di fatto violati dai provvedimenti stabiliti da uno Stato dichiarato “illegale”. La lotta di questi siciliani è fatta della capacità di sopportare l’umiliazione di essere dichiarati “rei” nella convinzione di essere nel giusto, di perseguire un’etica basata sull’affermazione dei diritti fondamentali di una comunità. Questa forza li spinge a manifestare nel marzo del ’68 a piazza Montecitorio per chiedere una legge per la ricostruzione e lo sviluppo della Belice, questa forza consente nel marzo del 68 a Danilo Dolci di denunciare le condizioni di degrado della popolazione, il disimpegno dello Stato e gli sprechi di denaro pubblico nella ricostruzione in una trasmissione radiofonica clandestina, questa forza anima Don Antonio Riboldi, allora parroco di Santa Ninfa, a domandare come si possa testimoniare l’amore di Dio tra gente che vive in baracche <>. Dopo 12 anni di stenti tra baracche in lamiera, si dichiara lo “Stato fuorilegge” per non aver rispettato la legge sulla ricostruzione varata anni prima.
Barbera si rivolge agli aquilani presenti invitandoli ad avere lo stesso coraggio nel voler pretendere la ricostruzione e nello stabilirne le modalità in quanto abitanti consapevoli del proprio territorio.
L’intervento di alcuni rappresentanti del movimento No TAV, ha consentito di far emergere le pericolose dinamiche di soffocamento delle ribellioni che provengono dal basso, laddove siano contrastanti con interessi politici, economici, particolaristici della casta che di volta in volta detiene il potere. Belice – Val di Susa – L’Aquila: luoghi in cui sono state attuate modalità simili da parte del Governo nello screditare i manifestanti ritraendoli, con la complicità dei mezzi di comunicazione di massa opportunamente asserviti, come dei violenti sovversivi, dei sanguinari terroristi capaci di mettere a repentaglio la sicurezza dei cittadini. Barbera ha sempre insistito sulle analogie che legano le popolazioni del Belice con quelle della Val di Susa: stesso desiderio di partecipazione democratica alla gestione del territorio, stessa modalità del Governo di disinnescare cariche sovversive dei movimenti col ricorso di una violenza che deve sembrare all’opinione pubblica come una legittima difesa.
Presenti alla tavola rotonda anche Sabina Guzzanti, ormai ben nota agli aquilani dopo la realizzazione del film “Draquila: l’Italia che trema”, e Simona Panzino. Il loro intervento si colloca nel solco di interventi “illegali ma leciti”, così come li definisce la stessa Guzzanti: nello scorso aprile alcuni attivisti a difesa dei residenti, insieme a personaggi noti del mondo del cinema e dello spettacolo, (Sabina Guzzanti, Paolo Virzì, Valerio Mastandrea) occupano l’ex Cinema Palazzo, storica sala che ha ospitato grandi dello spettacolo del calibro di Petrolini, Totò e Macario. La sala, proprietà di una società che ha in gestione il locale con un contratto di locazione da 15 mila euro, dovrebbe diventare una sala giochi di ultima generazione, con slot machine e videopoker. Ma non tutti ci stanno a rinunciare ad un luogo tanto importante per la nostra storia culturale, a costo di essere additati come dei “fuori legge”. La Guzzanti parla di una ribellione giusta nei confronti di uno Stato che ufficialmente dichiara di voler versare i guadagni ottenuti nelle sale giochi alla ricostruzione di un territorio devastato dal terremoto (così com’è stato documentato nella trasmissione “Report” nella puntata di domenica 30 ottobre) ma di fatto ne gode come entrate destinate a ben altri usi. Il gruppo che occupa l’ex Cinema Palazzo dichiara di ribellarsi ad una logica becera, incentivata dal Governo, di affidarsi alla “Dea bendata” in un periodo di devastante crisi economica.
Presenti all’incontro anche i comitati cittadini 3.32, Casematte, Asilo Occupato: i loro interventi hanno dato luogo ad un confronto diretto con il pubblico presente, in vista dell’individuazione di debolezze che dividono la cittadinanza ostacolando una ricostruzione che parta dal basso, grazie alle proposte degli stessi abitanti del territorio. Ne è emerso il problema di una mancanza di coesione sociale che impedisce agli aquilani di intraprendere percorsi coraggiosi e faticosi da poter portare avanti, e si è dato voce alle proposte dei comuni cittadini sulle possibilità di interventi efficaci in vista di un obiettivo che è comune e fortemente sentito: il desiderio di vivere in una città in cui possiamo riconoscerci e che ci rappresenti.

Elisa Giandomenico

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