Tra le tante associazioni sportive che operano sul territorio ho conosciuto il Panathlon International di Pavia, una realtà fondata nel 1951, composta da affermati professionisti delle competizioni, da semplici amanti dello sport, da persone disposte a dare il proprio contributo e la propria disponibilità affinché lo sport con le sue regole possa diventare sempre più occasione di incontro, di coesistenza, di rafforzamento delle relazioni, dentro percorsi interculturali praticabili nella molteplicità di convinzioni e punti di vista, nel rispetto delle differenze, dei diritti fondamentali di ogni essere umano.
A parte i volti noti grazie alle medaglie conquistate sul campo, tanta gente anonima, ma attenta alle sfumature, ai contorni, alle parole da fare diventare un vero e proprio motto “ludis jungit” uniti nello sport, come dovrebbero essere tutti i popoli e tutte le genti, nello sport che apre i cancelli e non per mantenerli chiusi.
Il Panathlon non è solamente un associazionismo socialmente utile, con una espressione culturale e l’altra conviviale per soci e amici, è piuttosto una rampa di lancio per spiegare ai giovani l’importanza di valori come amicizia, cultura, etica e azione, nello sport come nella vita, perché domani saranno chiamati a dare quanto è nelle loro capacità, onore e amore al proprio paese, o più semplicemente per diventare adulti davvero.
Il Panathlon è l’unica organizzazione mondiale di promozione umana nello sport che ha quale obiettivo principale la difesa dei principi etici, la moralità nello sport e nella comunità.
Il Presidente Lorenzo Branzoni con poche parole ha ribadito il valore della lealtà e del fair play sportivo, qualunque sia il ruolo che un cittadino ricopre, fosse anche quello di spettatore, di ragazzo in azione su un campo di calcio, su una pista, in una piscina, e verrebbe da dire anche in una classe di una scuola qualsiasi, alla fermata dell’autobus, in famiglia, all’oratorio, dove ciascuno dovrebbe sentirsi impegnato a rispettare se stesso e l’altro, a non ritenere gli altri occupanti di una dimensione assoggettata, annullando di fatto il valore insito in ogni persona,
Ho ascoltato l’intervento dell’ospite d’onore della serata, il Prof. Marco Rossi docente di psichiatria e sessuologia clinica dell’Università degli Studi di Pavia, il quale ha spiegato i benefici che derivano dallo svolgere attività sportiva, scegliendo discipline anche diverse tra compagni, tra coniugi: dandosi tempi differenti, è possibile avere sempre qualcosa da dirsi, da raccontarsi, da condividere, da consegnare alla storia della propria relazione.
E quando si arriva a una certa età bisogna continuare a fare sport, infatti farlo non è prerogativa solamente dei giovani.
Lo sport come veicolo educativo, per chi lo fa, per chi lo insegna, per chi impara, promovendo l’ideale panathletico che fonda le sue convinzioni e il suo entusiasmo nel rispetto delle regole, nell’esplicitare il meglio attraverso un volontariato capace di raggiungere gli scopi prefissi, ricercando l’amicizia, il rispetto tra tutti coloro che si avvicinano a questa realtà umana, affinché lo sport sia considerato e vissuto come elemento di cultura degli uomini e dei popoli, da proporre soprattutto ai più giovani, con un comportamento esemplare anche durante una competizione, e non solo quando lo si pratica.
Vincenzo Andraous
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