Prima luce sul bosone di Higgs al Cern di Ginevra

“Mi piacciono le teorie della relatività e dei quanti perché non le capisco e perché mi danno l’impressione che lo spazio si trascini qua e là come un’anima in pena, rifiutandosi di fermarsi e non lasciandosi misurare; e che l’atomo sia come un essere impulsivo che cambia idea continuamente”(David Herbert Lawrence). Si avvicina la “prima […]

Mi piacciono le teorie della relatività e dei quanti perché non le capisco e perché mi danno l’impressione che lo spazio si trascini qua e là come un’anima in pena, rifiutandosi di fermarsi e non lasciandosi misurare; e che l’atomo sia come un essere impulsivo che cambia idea continuamente”(David Herbert Lawrence). Si avvicina la “prima luce” sul bosone di Higgs al Cern di Ginevra. I fisici ne ipotizzano una massa compresa tra i 114 ed i 185 GigaElectronVolts. Se l’Universo è la domanda qual è la risposta? Se siete capaci di credere nella possibilità dell’impossibile, allora preparatevi alla soluzione di uno dei più affascinanti misteri scientifici del XXI Secolo, sulle melodiose armonie dell’arpa magica di Brian Henson, nel film “Jack e il fagiolo magico”. Fino a pochi anni fa si pensava che i neutrini fossero piccoli furbacchioni inafferrabili che lasciavano la loro invisibile firma su tutto l’Universo attraversando ogni cosa. Ma poi li abbiamo fotografati al Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Infn, scoprendone alcuni che addirittura sembrano più veloci della luce. “La fantasia di ieri è la scoperta di oggi e lo strumento di domani” – afferma il fisico Leon Lederman nel famoso libro “La particella di Dio”(Mondadori) che introduce il secondo atto di un dramma scientifico shakespeariano del 2011. Come nella favola del “fagiolo magico” qualcuno sta cercando di sottrarre l’arpa dell’armonia, l’oca della prosperità con le uova d’oro dal regno incantato della conoscenza dove tutto è possibile. Sono i ricercatori del Cern. La comunità scientifica internazionale è di nuovo in fibrillazione. Gli scienziati di Ginevra si stanno davvero arrovellando le meningi man mano che si avvicinano sempre più alla scoperta della “particella di Dio”, cioè del bosone di Higgs con il relative campo di energia. Dal superacceleratore LHC i segnali stavolta sembrano forti, chiari, solidi e coerenti, dopo due anni di analisi dei dati finora acquisiti. Ma le speranze per la soluzione del secondo caso scientifico più complicato degli ultimi decenni, sono riposte nell’abilità dei fisici di superare se stessi. C’è sicuramente grande attesa per il seminario del 13 dicembre 2011 al Cern di Ginevra (alle ore 14) per la presentazione ufficiale dei risultati degli esperimenti Atlas e CMS. Ma basterà per capire lo stato dell’arte nella ricerca della più incredibile e sfuggente particella del Modello Standard, il famoso bosone di Higgs, la madre di tutte le altre dotate di massa, la nostra “finestra sull’Universo” in grado, secondo la teoria di Higgs, di generare la massa di tutte le altre particelle elementari? I dati di questa “prima occhiata” si basano sull’analisi di una maggiore quantità di informazioni rispetto a quelle presentate l’estate scorsa, precisano al Cern. Più che sufficienti per segnare un decisivo progresso nella ricerca della particella teorizzata dal professore britannico Peter Higgs dell’Università di Edimburgo tanti anni fa; ma ancora insufficienti per potere affermare l’esistenza o meno della “particella di Dio”. I fisici europei finora hanno saputo solo teorizzarne l’esistenza per completare il quadro parziale delle nostre conoscenze sull’Universo in cui viviamo. Nell’ambito del Modello Standard fondato, tra l’altro, sulla colonna portante dell’invarianza della velocità assoluta della luce, come insegna Einstein. Grazie al Large Hardon Collider, l’elusiva “particella di Dio”(espressione criticata dal fisico Stephen Hawking, perché “buona solo a vender libri”!) finirà nella rete predisposta dagli scienziati del Cern? Le speculazioni, i titoli e gli annunci ad effetto, gli articoli scritti sulla carta stampata e su Internet, hanno alimentato all’inverosimile fantasie e false aspettative su una scoperta data per imminente. Ma la scienza non ha fretta. Né teme il giudizio della storia, perché è sempre pronta a mettere in discussione se stessa. Lhc è custodito sotto la città di Ginevra in un tunnel circolare lungo 27 chilometri, all’interno del quale fasci di protoni e di antiprotoni vengono sparati e fatti scontrare quasi alla velocità della luce. Le collisioni producono, nell’infinitamente piccolo, viste le masse in gioco, uno zoo di particelle esotiche. Tra le quali, forse, il bosone di Higgs. La cui scoperta, oltre al meritato premio Nobel, varrebbe al professor Higgs il merito di aver intuito, disegnato, offerto, calcolato, sperimentato e provato il quadro forse più esauriente, elegante e semplice dell’Universo in cui viviamo. Dove, quasi per miracolo, riusciamo a vedere le stelle. In quanto le particelle che osserviamo, dotate di massa, oltre ad essere fondamentali per la nostra esistenza, non sarebbero altro che un “effetto” di un mondo fisico reale “materializzato” da una particella speciale loro “latrice” di massa: il bosone di Higgs. Le conseguenze della scoperta potrebbero essere incalcolabili e imprevedibili. I fisici ne ipotizzano una massa compresa tra i 114 e i 185 GigaElectronVolts (se preferite, GeVs). Un GeV è equivalente alla massa di un protone, la particella di carica positiva dei nostri nuclei all’interno degli atomi. Lo scorso luglio 2011 ad alcuni scienziati non sembrava vero di averla finalmente stanata e inchiodata nel sensazionale ed allettante intervallo energico (range) compreso tra i 120 e i 140 GeV. Dati che non potevano essere utilizzati scientificamente, utili solo a una preliminare analisi statistica. Tre mesi prima, nell’aprile 2011, una fuga di notizia da parte di uno dei team di ricerca aveva suggerito e dato per imminente l’annuncio della scoperta del bosone di Higgs. Ma non era vero perché, a meno di verifiche dell’ultimo minuto, nessuno oggi può provarla o negarla. Da Lhc e da nessun altro esperimento sulla Terra. Ma, allora, che cosa verrà annunciato al Cern? In primis la collaborazione internazionale dei vari gruppi di ricerca nei due esperimenti che collezionano eventi selezionati statisticamente significativi ma ancora non sufficienti, che però vanno nella giusta direzione. Se immaginiamo la particella di Higgs come un invisibile pesciolino che nuota in un stagno producendo piccole onde e increspature che si sommano e si confondono a quelle causate da una leggera brezza, allora scopriremo qual è lo stato dell’arte delle nostre attuali conoscenze sulla cosiddetta “particella di Dio”. La cui esistenza potrebbe confondersi con il segnale di altre particelle esotiche. Per evitare errori occorre aumentare la “risoluzione” di Lhc fino ai limiti teorici necessari e possibili che gli scienziati giudicano comunque sicuri, abbassando le fluttuazioni statistiche dei segnali di laboratorio ed aumentando la presa dei dati. Per scoprire la “particella di Dio” bisogna pescarla all’interno di Lhc, come si fa con tanti pesciolini in trappola nella rete immersa nello stagno, producendone e concentrandone un gran numero in uno spazio piccolissimo. I sensori ultrasensibili di Atlas e CMS a questo servono. Nulla in confronto al secondo mistero scientifico del 2011 che si sta consumando a colpi di pubblicazioni, verifiche, testimonianze e controanalisi: la presunta scoperta dei neutrini tachionici sparati dal Cern di Ginevra nell’esperimento Opera al Laboratorio Nazionale del Gran Sasso. Dove, a differenza di quel che accade con il bosone di Higgs al Cern, il livello significativo di certezza statistica è superiore a “cinque sigma”, espressione dell’ineludibile efficacia e precisione delle misure. Tale da far gridare al premio Nobel prima ancora di una solida teoria fisica, ancora inesistente, che, secondo alcuni, dia il colpo di grazia alla Relatività di Einstein. Negli Stati Uniti le misure non convincono e si cerca di replicare l’esperimento. Per provare cosa? Che la velocità della luce può essere superata e che occorre mettere in soffitta Einstein? È una possibilità. Ma ce n’è un’altra ancora più significativa che sta emergendo: i neutrini artificiali del Cern nel loro viaggio attraverso la materia (non nel tunnel fisico!) da Ginevra fino al Gran Sasso, potrebbero benissimo attraversare altre dimensioni esotiche extra, totalmente invisibili a noi comuni mortali abituati alle tradizionali quattro (tre di Spazio e una di Tempo) in cui viviamo. Se così fosse, la rivoluzione, non solo nella Fisica, sarebbe totale. Potremmo riuscire a salvare la reputazione di Einstein, della sua Relatività e, quindi, l’invarianza della velocità assoluta della luce nello spazio ordinario. E, forse, il principio di causa-effetto. Secondo alcuni fisici, infatti, attraversando dimensioni extra, i neutrini (niente affatto tachionici e/o latori di informazione) potrebbero in effetti bypassare il nostro spaziotempo per giungere a destinazione prima dei fotoni. Un “taglia e cuci” dello spazio e del tempo, fatto proprio su misura di neutrino! E senza superare la velocità della luce perché i fotoni avrebbero semplicemente seguito lo spazio normale. È un’ipotesi da dimostrare. Ma potrebbe salvare Einstein fino a un certo punto. Perché spalancherebbe la porta, come il fagiolo magico della fiaba, a un universo di possibilità teoriche che prima o poi scardinerebbero comunque la validità assoluta della Relatività al di là del nostro spaziotempo ordinario. Con una teoria ancora più semplice e speciale, contenuta, magari come in una matriosca russa, all’interno della Relatività stessa. La fisica dei quanti che consente il funzionamento dei magici Ipod, Ipad e Iphone, ci ha ormai abituato all’impossibile. Il mistero scientifico, quindi, secondo alcuni scienziati, si complicherebbe solo nel voler rincorrere delle misure estremamente precise senza capire che cosa effettivamente è stato osservato e scoperto, cioè senza elaborare una teoria fisica unificata che metta d’accordo Einstein e il Modello Standard nell’abito della gravità quantistica. La cautela seguita nella pubblicazione delle misure da parte del team europeo di Opera, non è in discussione. Le verifiche sono in corso alla velocità della luce nei vari forum e blog dei fisici di tutto il mondo, che ormai hanno superato per intensità l’enorme flusso di dati comunicati ai media su Internet. Jim Al-Khalili, professore di fisica teorica alla Britain’s University di Surrey, ha annunciato di essere disposto a mangiare i propri indumenti intimi se l’esistenza dei neutrini tachionici di Opera, in grado di superare la velocità della luce, dovesse essere confermata. La società, in Tv ed al bar, ha assorbito il “dramma” scientifico in scena da mesi, rielaborando espressioni fino a qualche tempo fa solo frutto della fantasia degli autori di Star Trek. Come quella del barista esasperato, magari perché cacciato dalla Flotta Stellare:“Qui noi non serviamo più veloci della luce!”, mentre un neutrino (tauonico, muonico, elettronico?) attraversa la scena. Il sito scientifico “arXiv” ha raggiunto picchi di “ascolto” superiori ai successi di Fiorello sull’ammiraglia RAI. Potenziali anomalie nella presa dei dati di Opera, sono state avanzate da scienziati che lavorano al Laboratorio Nazionale del Gran Sasso, pochi metri più in là, nell’altro esperimento neutrinico Icarus, utilizzando lo stesso flusso di neutrini artificiali sparati dal Cern. Alcuni ricercatori hanno suggerito che le particelle in questione avrebbero dovuto perdere la maggior parte della loro energia se avessero davvero infranto la barriera della luce. Ma quando i neutrini giungono al Gran Sasso, i loro valori energetici sono completamente sussistenti con un normale viaggio alla velocità della luce. Chi ha ragione, chi ha torto? Le misure estremamente più accurate risolvono il problema di fondo? I segnali dei satelliti Gps in orbita che, nel pieno rispetto della Relatività di Einstein, si muovono di moto relativo rispetto ai neutrini ed agli esperimenti Cern-Gran Sasso, hanno fatto registrare un tempo di volo più corto di esattamente 64 nanosecondi. Naturalmente il potenziamento del raggio neutrinico focalizzato su Opera e Icarus, consente di ottenere misure più precise con pacchetti di particelle in partenza e in arrivo, che confermano i risultati preliminari. Verranno utilizzate le fibre ottiche al posto del Gps, per meglio sincronizzare tutti gli esperimenti coinvolti. Nel giro di un anno, entro il 2012, qualcuno dovrà rassegnarsi all’evidenza fisica del “fagiolo magico”? “Qualsiasi teoria fisica è sempre provvisoria, nel senso che è solo un’ipotesi: una teoria fisica non può cioè mai venire provata” – afferma Stephen Hawking. Detta così sembra paradossale ma tutto è possibile, anche celebrare il definitivo trionfo della ragione umana sulla bruta realtà quotidiana che ci circonda. Magari poco prima della fine quando potrebbe ripresentarsi la scena della Creazione, del Big Bang. Ma ci pensate? Un’equazione-Madre ancora più semplice di quella elaborata da Einstein per spiegare il Tutto. Come ci apparirebbe l’Universo a bordo di un fotone e di un neutrino? Molto diverso da quello ordinario al quale siamo tutti abituati. Perché sono due oggetti altrettanto diversi nello spaziotempo che “configurano” in maniera sorprendente e totalmente differente. Ora, niente può viaggiare più veloce della luce (299.792.458 metri al secondo) secondo Albert Einstein. Gli scienziati dell’esperimento Opera (Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus) sotto il Gran Sasso d’Italia, insieme ai loro colleghi fisici del Cern di Ginevra (autori del raggio neutrinico muonico, collaborazione Cngs) nella loro pubblicazione ufficiale dimostrano con numeri, schemi, tabelle e diagrammi (in inglese e con il linguaggio della matematica) non soltanto che è possibile superare la velocità della luce. Grazie a neutrini muonici capaci di anticipare i fotoni sul traguardo fissato al Laboratorio dell’Infn presso L’Aquila (730 Km dalla partenza del Cern di Ginevra) di 60 miliardesimi di secondo, magari senza delegittimare Albert Einstein , la Relatività e tutte le altre teorie fisiche note. Ma che ora tutti gli scienziati del mondo possono farlo, riproducendo l’esperimento europeo. Anche i loro vicinissimi colleghi di Icarus sempre sotto il Gran Sasso. Apriti cielo! La stampa britannica ed americana si sono scatenate, dando fiato alle trombe più disparate di un’opposizione che contesta apertamente, “ab origine”, i risultati di Opera. Tutto previsto come accade quando si preannuncia una “rivoluzione”. Anche nel caso fossero smentiti i dati di Opera, bisognerà pur sempre capire che cos’è successo davvero ai neutrini. Dove e come hanno viaggiato? A poche settimane dai risultati scientifici pubblicati, che dimostrano come queste particelle sfuggenti che ci attraversano siano effettivamente di 60 nanosecondi più veloci della luce, l’altro famoso esperimento dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, Icarus, sembra sollevare forti dubbi sulla bontà delle osservazioni di Opera. In un articolo pubblicato sempre sul sito “Arxiv”, alcuni ricercatori di Icarus hanno coraggiosamente rifiutato l’interpretazione che i neutrini possano essere più veloci della luce, data dalla collaborazione internazionale di Opera. La conclusione si basa sull’osservazione fatta dal Nobel, Sheldon Lee Glashow, quando, nell’ottobre scorso, sono stati pubblicati i primi risultati sui “magici” neutrini. In quella occasione Glashow aveva affermato che i neutrini si comportano come le altre particelle, che possono diventare più veloci della luce nel particolare mezzo nel quale si trovano e che nel tragitto che compiono perdono energia a causa di un fenomeno chiamato “effetto Cerenkov”. Questo significa che una particella che percorre una data distanza giungerà al punto di arrivo con un’energia minore rispetto a quella che aveva al momento della partenza. La conclusione, rilanciata anche da alcuni blog e quotidiani on line britannici e statunitensi, è stata anche più ardita: i neutrini possono essere più veloci della luce solo in condizioni analoghe a quelle previste da Glashow e di conseguenza al momento del loro arrivo al Gran Sasso dovrebbero avere uno spettro di energia minore rispetto a quello che avevano in uscita dal Cern. Un fenomeno, questo, che l’esperimento Icarus sembrerebbe confermare. E che per alcuni ricercatori-blogger “in modo definitivo” salverebbe così uno dei pilastri della teoria della Relatività formulata da Albert Einstein: nulla può viaggiare più veloce della luce. “Tuttavia – rileva il neopresidente dell’Infn, Fernando Ferroni – tutte queste osservazioni vengono fatte nell’ambito del mondo che conosciamo. Non c’è naturalmente nulla da dire sulle conclusioni alle quali è giunto l’esperimento Icarus, ma se effettivamente i neutrini fossero più veloci della luce la teoria di riferimento cambierebbe”. Logico. L’ultima parola, quindi, spetta ancora agli esperimenti indipendenti in preparazione nel Fermilab americano e nel laboratorio giapponese Kek. Un’avvertenza è d’obbligo. Mai prendere per uova d’oro (come quelle dell’oca magica) ciò che appare su Internet. Perché tutto può essere smentito dai fatti, ossia dall’alta velocità delle scoperte preannunciate, in attesa di verifiche ufficiali. Ma quando il grado di affidabilità di un esperimento supera il “sigma 6”, come nel caso della secondo set di dati del team di Opera, resta ben poco da smentire. Il più grande acceleratore sulla Terra, Lhc, alla ricerca del bosone di Higgs, non può con tutta la sua potenza confermare o smentire i risultati di Opera. Tuttavia l’attuale teoria non può funzionare per spiegare ciò che effettivamente è stato osservato. E che pare contraddire la teoria della Relatività speciale formulata da Einstein. I fisici teorici (sempre più utili accanto agli sperimentali) Sheldon Glashow e Andrew Cohen della Boston University negli Usa hanno sollevato il problema. In particolare, sostengono Glashow e Cohen, un neutrino superluminare dovrebbe decadere in una coppia elettrone–positrone (materia-antimateria) perdendo energia. Effetto che non sarebbe stato osservato dall’esperimento Opera. Ora, Hooman Davoudiasl del Brookhaven National Laboratory di New York e Thomas Rizzo del SLAC National Laboratory in California, hanno riesaminato la teoria di Glashow e Cohen. Effettivamente è quello che dovrebbe accadere ai neutrini nel vuoto, ma Opera rivela neutrini che viaggiano attraverso la crosta terrestre, la roccia viva, non nel vuoto cosmico. Le elaborazioni continuano. E se tassassimo la tecnologia quantistica dei dispositivi elettronici, per superare la crisi mondiale e inventarne di nuovi? Chissà dove arriveremo. Nel frattempo si compie al Cern il secondo atto del dramma più importante: la scoperta della “particella di Dio”, cioè del campo di Higgs…

© Nicola Facciolini

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