Il lusso fa gola all’estero e l’equità si insegue in Italia

Nonostante la crisi mondiale il mercato immobiliare del lusso in Italia tiene e nei prossimi anni i prezzi dovrebbero salire. L’ottimismo che accompagnerà le aziende del lusso fino alla fine del 2011 – e probabilmente per i mesi e anni successivi – viene dai numeri, ma soprattutto dall’analisi e dalle riflessioni sui numeri. I dati […]

Nonostante la crisi mondiale il mercato immobiliare del lusso in Italia tiene e nei prossimi anni i prezzi dovrebbero salire. L’ottimismo che accompagnerà le aziende del lusso fino alla fine del 2011 – e probabilmente per i mesi e anni successivi – viene dai numeri, ma soprattutto dall’analisi e dalle riflessioni sui numeri. I dati e le ricerche presentate ieri alla Borsa di Milano da Fondazione Altagamma (consultabili su www.altagamma.it), sono i più esaustivi, stimolanti e diversificati mai elaborati dall’associazione che riunisce le eccellenze italiane di abbigliamento, accessori, design, nautica e ospitalità di lusso. Un’associazione che nella sua relativamente breve vita ha offerto occasioni di confronto tra i suoi membri, ma ha saputo anche organizzare intorno a sé un pool di analisti e ricercatori del mondo universitario (come la Sda Bocconi) e della consulenza aziendale (un nome per tutti: Bain&Co). Una recente ricerca denominata “Esportare la dolce vita” (http://www.1channel.it/?p=5106)  mette in luce come entro il 2016 l’Italia potrebbe aumentare di 3,4 miliardi di euro le esportazioni di prodotti di lusso verso i nuovi mercati (Russia, Emirati Arabi Uniti, Cina, Arabia Saudita, Malesia e Polonia), coprendo una quota totale sull’import pari al 9,4%. Il 3 dicembre, “il Fatto Quotidiano”, in un articolo, scriveva come presto i cinesi avrebbero potuto comperare la nostra Ferretti oberata di debiti, mentre oggi si scopre che la Gancia, uno dei marchi storici della nostra produzione vinicola di lusso, potrebbe passare ai russi. La possibilità che gli yacht Ferretti potessero passare alla conglomerata asiatica Shandong Heavy Industry Group si era delineata, fra alti e bassi, già a settembre. La proposta si basava su un aumento di capitale da 100 milioni di euro, in cambio dell’esclusiva concessa a produrre e commercializzare gli yacht italiani in tutta l`Asia,  tramite la creazione di una joint venture. Dopo una prima proposta su cui però le banche avevano espresso riserve, la seconda versione ha avuto una forte componente finanziaria: Shandong sembrava motivata dalla prospettiva di produrre e vendere imbarcazioni di lusso in un`area geografica ad alta potenzialità e, riferivano vari rumors, avrebbe intesoe proporre ai finanziatori dell`azienda italiana (Rbs, Mediobanca, Oaktree e Anchorage) l’acquisto a sconto del debito. Ora si apprende che il nuovo timoniere che dovrà traghettare la società di Forlì fuori dalle secche dell’indebitamento (superiore a 600 milioni) arriva dalla Cina. Nei giorni scorsi Shandong – sollecitata anche da Mediobanca – aveva già trovato l’intesa con gli altri due principali creditori, cioè il fondo californiano Oaktree e l’hedge fund newyorkese Strategic Value Partners. Ieri, poi, il gruppo cinese, assistito dai consulenti di Citigroup e dallo studio legale Bonelli Erede Pappalardo, ha sistemato l’ultima casella che le mancava, quella di Rbs. Già nelle scorse ore una lettera sarebbe stata inviata al consiglio di amministrazione della Ferretti, assistita dall’advisor Hsbc, per prendere visione dell’intesa appena raggiunta. Come scrive “Il Sole 24 Ore”, la transazione avverrà, da una parte, rilevando, in contanti, una fetta di debito; dall’altra, rifinanziando la società che alla fine si troverà con debiti per soli 100 milioni di euro rispetto ai 600 attuali. In questo modo gran parte dei creditori usciranno definitivamente dalla partita Ferretti. Ma il piano di salvataggio prevede un secondo passaggio: Shandong inietterà risorse fresche per circa 180 milioni, delle quali 100 milioni di equity (cioè risorse proprie) e altri 80 milioni come working capital facility. I 100 milioni di mezzi freschi saranno forniti in maggioranza da Shandong e, in parte minore, da Rbs e Strategic Value Partners. Alla fine del piano ne uscirà una Ferretti risanata dove la conglomerata asiatica avrà tra il 70-75% della compagine e dove soci di minoranza saranno Rbs e Svp,  con una piccola quota anche all’attuale management. Così, per non portare i libri in tribunale e in zona Cesarini, la Ferretti si salva,  ma diventa cinese. E, sempre Il Sole 24 Ore, ci riferisce che un altro marchio storico del made in Italy,  potrebbe cambiare passaporto. Si tratta della storica Fratelli Gancia di Canelli al centro delle attenzioni dell’oligarca Roustam Tariko, proprietario della Russian Standard Bank e della vodka Russkij Standart. Paolo Fontana, ad della Gancia, ha detto: “non confermiamo la notizia nei termini e nei modi in cui è stata lanciata dalla stampa russa”; mentre l’imprenditore Lamberto Vallarino Gancia ha rinviato le comunicazioni a “domani”. Fondata da Carlo Gancia nel 1850, Casa Gancia è oggi una struttura traballante, che ha nominato un nuovo management con Fontana e Carlo Pavesio al vertice e  negli ultimi due esercizi ha perso 10,5 milioni, con un bilancio chiuso lo scorso marzo, che evidenziava debiti verso banche per 36 milioni, verso terzi per 13,3 e liquidità inferiore al milione ed una posizione netta negativa per 35,5 milioni. Le industrie del lusso italiano, quindi, indebitate fino al collo, fanno gola all’estero, ma(s)venderle non risolve certo i nostri problemi. Anche perché se non abbiamo più cosa esportare quanto in premessa, cioè la vendita di prodotti di qualità fuori dai nostri confine, naufraga miseramente.  Succede anche che a sbarcare in Italia siano, sempre più frequentemente, colossi europei, monopolisti storici nel loro Paese d’origine e dunque poco propensi ad accogliere a braccia aperte gli operatori tricolore a casa loro. Tutto questo rende assolutamente urgenti non solo le liberalizzazioni, di cui con insistenza ma per ora solo teorica parlano Passera ed il governo, ma anche un miglioramento di infrastrutture ed aiuti per i nostri imprenditori. Senza tutto questo e molto tempestivamente, meccanica, alimentare, lusso ed altro del made in Italy , rischia di passare agli stranieri. Non solo le imprese attive nei settori dell’energia, della logistica, dei trasporti e delle consulenze, ma anche ex “gioiellini” in cattive acque,  su cui stanno investendo gli operatori esteri, con un aumento del 13 per cento negli ultimi dieci anni, come rivela la fotografia scattata dalla Banca Dati Reprint del Politecnico di Milano, del tutto recentemente.  Intanto, dopo il lavoro delle commissioni, la manovra “salva Italia” sembra essere più equa, con salvaguardia delle pensioni sino a 1.400 Euro, sconti sull’ICI in rapporto ai figli, contributo di solidarietà sulle ‘pensioni d’oro’ del 15%, applicato per l’importo eccedente i 200 mila euro  e tassa sui capitali scudati portati al 4%. Ma, dicono da più parti, non basta inseguire il debito e varare misure più o meno eque di emergenza. Il valore del governo si misurerà su quanto saprà mettere in campo su lavoro e rilancio. Illustrando le variazioni alla manovra in Commissione Bilancio, Monti non solo ha voluto dimostrare  di avere recepito i diversi emendamenti richiesti da più parti, cercando di limare l’onere per i ceti sociali più deboli economicamente, ma alle polemiche,  ha risposto di non essersi autocandidato alla carica ma di avere risposto alla chiamata, ma di essere stato chiamato, con un governo di tecnici, da una politica che aveva dichiarato il suo fallimento. Mario Monti ha appena illustrato la manovra al Senato, continuamente interrotto con urla e cartelli dalla Lega sempre più simili ai “Montagnardi” (anche se federalisti come i “Girondini”), ma che non hanno affatto intimorito il suo discorso, tutto basato, come già il 17 novembre, a sottolineare il particolare momento di gravità della Nazione. La Lega ha scelto la strada della contestazion., ma Monti li ha guardati, sospendendo per qualche secondo di parlare, poi è ripartito, mentre il presidente del Senato, Renato Schifani, riprendeva Bricolo ricordandogli come il suo non sia esattamente “un atteggiamento da capogruppo”. Alla Camera, nel frattempo, è iniziata la discussione sulla manovra, con 82 gli iscritti a parlare e votazione fissata per le 16. Nella sua nuova versione la manovra prevede anche alcune correzioni che non piaceranno a molti cittadini. Sulle Province, il decadimento degli organi in carica a scadenza naturale e non più il 31 marzo 2012., senza anticipazione per gli organi che dovevano essere rinnovati in Primavera. E, ancora, niente liberalizzazione dei taxi e niente tagli sugli stipendi degli onorevoli, argomento di cui si occuperà il Parlamento. E, ancora, i consiglieri delle Circoscrizioni o quelli delle Comunità montane oggi in carica manterranno il loro gettone sino a fine mandato, mentre è confermata la vendita dei farmaci in fascia C nelle parafarmarmacie, con sciopero dei farmacisti già annunciato per lunedì.  Ieri, dopo una riunione straordinaria del consiglio dei ministri, Monti ha autorizzato il ricorso alla fiducia, ma restano vivissimi i malumori anche nel Pd e nel Pdl, anche dopo  che il primo ha incassato l’indicizzazione delle pensioni sino a 1.400 euro ed il secondo il tetto massimo per gli stipendi della pubblica amministrazione e il contributo per le pensioni d’oro. Ed ecco allora che da Il Tempo, Patrizio Della’Orefice può scrivere che, dopo giorni di serrata e nonostante le parole di Monti in Commissione Bilancio e al Senato, il governo dei tecnici ha ceduto ai politici. Di più, ai partiti. Che subito si sono rimpadroniti della possibilità di decidere sui propri stipendi e di ricattare in ogni direzione l’esecutivo. Speriamo non sia vero. Ma, per ora, dobbiamo prendere atto che sulla manovra, anche ritoccata i mezzi per “salvare” il “treno Italia dal sicuro deragliamento”, si sono trovate dalle pensioni, con la scure che si abbattuta così pesantemente da far piangere in diretta TV il nuovo ministro del Lavoro, la garbata e sinceramente commossa prof.ssa Elsa Fornero, mentre si rinviano le azioni sui patrimoni e sulle prerogative dei politici. Non c’è neppure l’aumento delle aliquote Irpef per i redditi superiori ai 75.000 Euro, misura che per quanto poco gradevole, avrebbe potuto consentire l’abbattimento di almeno un punto sull’aliquota dei redditi più bassi o quantomeno consentire l’indicizzazione delle pensioni almeno sino a 3000 Euro mensili. Quanto poi alla “tassa” per ora unica ai privilegiata, il 4% ai capitali rientrati, sarà anche difficile da applicare, poiché, ammesso di ritrovarli i capitali coperti da anonimato,  fioccheranno i ricorsi di chi si sente forte per aver già firmato un patto con lo Stato. Ma la cosa che suscita più scandalo e vergogna, è che, dal 2013, l’indicizzazione delle pensioni sarà tolta dai 935 euro. Nel suo discutibile intervento a Porta a Porta, Monti è stato supportato dal sempre disponibile, verso il potere, Bruno Vespa, che, interrompendo il discorso del neo-premier, ha detto all’Italia televisiva, di aver saputo da un amico tedesco che in Germania non sono previsti adeguamenti automatici delle pensioni, ma solo un aumento direttamente proporzionale alla crescita del Paese. Benissimo, perché l’inossidabile partner di ogni governo italiano non ha ricordato che le pensioni minime in Germania sono almeno il doppio o il triplo di quelle italiane? E che, come hanno detto anche Lerner e Scalfaro, pensioni sino a 3000 euro, oggi in Italia, non sono certo trattamenti da ricchi? Per non parlare dell’ultima, discutibile trovata del governo: un’imposta di 34,20 euro, a partire dall’anno prossimo,  sugli estratti conto annuali dei conti correnti bancari, ma anche di quelli postali e dei libretti di risparmio, nel caso l’intestatario sia una persona fisica e che salirà a 100 euro nel caso il conto appartenga ad una società. Ed aggiungiamo un estremo dato allarmante. L’emergenza economica ha portato alla manovra di luglio, poi al decreto di agosto (lettera Bce), poi alla finanziaria di novembre e alla correzione ormai imminente di fine anno. Tutte misure approvate in pochi giorni, senza opposizione. Il governo precedente e quello nuovo, dunque, hanno chiesto e ottenuto tutto ciò che volevano dalle forze politiche. Ma nessuna manovra – per quanto urgente – è bastata a risolvere i problemi. Questo perché senza occupazione e lavoro non vi è alcuna possibile ripresa. Il deterioramento, infatti,  del mercato del lavoro rende la vita dei lavoratori, delle famiglie e delle comunità sempre più difficile, e contribuisce ad innalzare il livello di povertà. La crisi dell’occupazione minaccia inoltre il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del millennio, indebolendo le classi medie, aumentando il rischio di tensioni sociali e sgretolando la fiducia nei confronti dei decisori. Gli ultimi Consigli Ue sono stati “dedicati alla gestione della crisi finanziaria”, e “il rischio è che la Ue si dimentichi che il principale problema è la crescita e l’occupazione”, ha detto Mario Monti nella sua informativa al Senato sul Consiglio Ue dell’8 e 9 dicembre scorsi. Speriamo che ora non si dimentichi proprio di questo, limitandosi a fare il ragioniere.

Carlo Di Stanislao

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