Malinconico dire

C’è qualcosa che accomuna Daniele Greco e Carlo Malinconico, il primo che ha perso il suo posto di direttore per la chiusura del giornale “Liberazione”; il secondo costretto a dimettersi a seguito delle voci, ormai confermate, di regalie da parte di quel costruttore che rideva la notte del terremoto de L’Aquila e che ora, agli […]

C’è qualcosa che accomuna Daniele Greco e Carlo Malinconico, il primo che ha perso il suo posto di direttore per la chiusura del giornale “Liberazione”; il secondo costretto a dimettersi a seguito delle voci, ormai confermate, di regalie da parte di quel costruttore che rideva la notte del terremoto de L’Aquila e che ora, agli arresti, si è deciso a cantare.
In verità che li tiene assieme non è la disoccupazione, vera per Greco e solo presenta per Malinconico, che continua a percepire il suo stipendio a molti zeri. Ad accumunarli è il fatto che era proprio l’ex sottosegretario, già segretario generale della presidenza del consiglio sotto Prodi, che si sarebbe dovuto occupare della riforma dell’ editoria, una riforma che alcuni considerano minore, rispetto a pensioni, lavoro e liberalizzazioni, ma da cui dipende la sussistenza della libertà e del pluralismo espressivo in questo Paese che investe poco in ricerca e nulla in cultura e che fa di tutto per imbavagliare la stampa.
Travolto da una scandalo di vacanze pagate, di cui Libero aveva già detto nel 2010, con ripresa più recente da parte de Il Giornale e il Fatto Quotidiano, Melanconico aveva dapprima detto di non sapere delle vacanze pagate da Francesco De Vito Piscicelli, il costruttore indagato nell’inchiesta sulla “cricca” e diventato “famoso” nell’intercettazione in cui – in piena notte – reagiva ridendo al terremoto in Abruzzo, personaggio legato ad Angelo Balducci, l’ingegnere al centro dell’indagine sulla cricca.
Poi, dopo un lungo faccia a faccia con Monti, si è dimesso, dicendo di farlo per salvaguardare il governo, gesto considerato dal premier segno di “senso di responsabilità” e che comunque non cancella l’incrinatura sulla credibilità e la trasparenza del nuovo direttivo.
Ieri, poi sulle Colonne del Corriere, il ministro della Pubblica amministrazione e la Semplificazione, Filippo Patroni Griffi, consigliere di Stato, con una serie di incarichi di responsabilità, che ha acquistato, grazie al placet di Melanconico, un immobile dell’INPS, 109 metri quadrati in zona Colosseo, per soli 177.000 euro, difende il suo operato e getta una nuova ombra su un governo che, come si crede, ha voglia di operare, in ogni direzione, con un radicale cambiamento etico e all’insegna della discontinuità rispetto al passato.
Patroni Griffi, aveva già spiegato a Il Fatto Quotidiano- giornale che aveva scovato le visure catastali e svelato il costo a saldo dell’acquisto – che nel lontano 1986 aveva fatto domanda e ottenuto dall’Inps l’assegnazione dell’appartamento (109 metri quadri prima a equo canone, poi ad un costo di circa 1.000 euro al mese).
Quando l’Inps decise di vendere l’immobile – che, per inciso, dista 50 metri dal terrazzo Scajola – i 40 assegnatari fecero fuoco e fiamme per ottenere la classificazione “popolare” e rispedire al mittente (ovvero al Tesoro, dove regnava Tremonti) quella ben più onerosa “di pregio”.
Questo perché senza la classificazione “popolare” sarebbe sfumato anche lo sconto del 45% (su valutazioni del 1999). Ne scaturì un’infinita battaglia legale che dopo 9 anni portò anche al pronunciamento del Consiglio di Stato (dove l’attuale ministro è Presidente di sezione), che mise la parola fine: dando ragione agli assegnatari e quindi avallando la tesi che il palazzone vista Colosseo era tanto malmesso da doversi considerare “popolare”. A perorare la causa, tu guarda il caso, l’avvocato Carlo Malinconico (già consigliere di Stato e da ieri ex sottosegretario della presidenza per le vacanze “offerte” all’Argentario).
Insomma nuovi fatti incresciosi, che dalla discontinuità col passato allontanano molto.
La vera novità viene invece dalla “vecchia politica”, che ieri, con il placet della Lega, ha inchiodato Cosentino, fra i furori di Cicchitto e del Pdl, con la giunta per le autorizzazioni della Camera che si è espressa a favore dell’arresto e un atteso analogo verdetto che si attende in Aula, domani.
“In Aula il voto é individuale e presumibilmente segreto, dunque ognuno voterà secondo la propria coscienza”, ha detto il deputato della Lega Nord, Luca Paolini, lasciando la Giunta per le Autorizzazioni a procedere della Camera. Ed ha poi precisato che “tuttavia, sull’atteggiamento da tenere giovedì in Aula, non é stata presa una decisione ufficiale da parte del leader Umberto Bossi”.
E’ proprio per il rischio di salvataggi in extremis e trasversali che da più parti, con in testa l’IDV, si è richiesto di passare al voto palese.
Pensando a questi “melanconici fatti”, mi viene un brivido, alla vigilia dell’incontro fra La Merkel e Monti.
Deriva da una frase pronunciata da Bersani l’altra sera da Lilli Gruber, secondo cui occorre far sapere alla Germania e alla Europa tutta, che dietro a Monti ce una salda e responsabile politica nazionale.
Tenendo conto di quanto si legge ed accade, giornalmente, non so se questo, per Monti, sia da considerarsi un atout o un handicap.

Carlo Di Stanislao

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